Francesco Cocco
Leggo di venti di rinnovamento nel nostro Consiglio regionale. Regolamentare le cosiddette “indennità di reinserimento”, ridimensionare i vitalizi già erogati, porre su basi nuove l’ indennità consiliare è certamente un vento di rinnovamento. Forse è qualcosa di più: un’ inversione di tendenza rispetto alle formule su cui è andato modellandosi il nostro istituto della rappresentanza consiliare, anzi “parlamentare”, perché il Consiglio è il nostro parlamento di cui mai dobbiamo ridimensionare ma al contrario sempre esaltare la funzione.
Sappiamo che esso è il punto d’approdo di secolari battaglie che a lungo avevano visto i sardi (cioè il popolo sardo) escluso dalle cariche pubbliche. La responsabilità di questa esclusione ricadeva sul dominatore di turno , spagnolo prima, piemontese poi. La conquista dell’ autonomia regionale sanciva la fine anche formale di una tale esclusione. I sardi riacquistavano il dominio politico di sé, o meglio avrebbero dovuto riconquistare il potere di un pieno autogoverno.
Purtroppo l’aspetto più saliente di un tale processo di costruzione (si fa per dire) della nostra autonomia sì è concretizzato in una ricerca da parte della nostra classe politica (non mi piace il termine ma lo uso per comodità di linguaggio) di situazioni privilegio. Ricordo che Antonio Pigliaru al convegno internazionale su Gramsci del 67 su questo punto fu estremamente esplicito.
Allora voglio essere ottimista, voglio convincermi che nelle proposte che tendono a prender corpo in Consiglio regionale possa concretizzarsi l’inizio di un processo nuovo di costruzione della nostra autonomia. Da quel che leggo vi sono molti aspetti da mettere a punto, proposte su cui evidenziare di più la dimensione dell’ equità e della parsimonia. Ma l’importante è che il cammino inizi e che intervenga un serio sostegno popolare perché il fuoco del rinnovamento non si spenga.
Come cittadini convinti dei valori dell’ autonomia, che sostanziano quelli della democrazia, dobbiamo esser capaci di una massiccia mobilitazione popolare che dia forza a chi vuole intraprendere e portare a compimento un tale processo di rinnovamento. Non avremo più neo-baroni ma “onorevoli” servitori della nostra autonomia Saranno consiglieri veramente “onorevoli” che cioè sapranno tener fede all’ “onus” (gravame) di cui il popolo sardo li ha caricati. Allora non saranno più neo-baroni ma “onorevoli” rappresentanti del popolo sardo ed il titolo perderà qualsiasi valenza negativa.
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