Giorgio Gattei
Da Contropiano.org - giornale comunista
A disintossicazione dell’orgia di retorica celebrativa della Prima Guerra Mondiale un estratto da uno scritto in via di ultimazione di Giorgio Gattei su “I marxisti e la Grande Guerra”, il paragrafo dedicato a Friedrich Engels.
Nel settembre del 1914 così Lenin riassumeva la natura del conflitto che si era aperto in Europa: «la guerra europea, preparata durante decenni dai governi e dai partiti borghesi di tutti i paesi, è scoppiata. L’aumento degli armamenti, l’estremo inasprimento della lotta per i mercati nella nuova fase imperialista di sviluppo del capitalismo nei paesi più avanzati, gli interessi dinastici delle monarchie più arretrate dell’Europa orientale, dovevano inevitabilmente condurre, e hanno condotto, a questa guerra… Alla socialdemocrazia incombe innanzi tutto il dovere di svelare il vero significato della guerra e di smascherare senza pietà le menzogne, i sofismi e le frasi “patriottiche” propagate dalle classi dominanti, dai grandi proprietari fondiari dalla borghesia in difesa della guerra»[1].
Infatti soltanto la “socialdemocrazia” (come allora la si denominava) si presentava attrezzata per questo compito di denuncia potendo contare, oltre che sulla teoria economica dell’imperialismo appena elaborata[2], sulla lucida previsione prodotta da Friedrich Engels negli ultimi anni di sua vita in cui già si diceva che una Grande Guerra Europea prima o poi si sarebbe scatenata a seguito delle trasformazioni imposte al capitalismo dalla Grande Depressione. Questa, cominciata nel maggio del 1873, si sarebbe trascinata, con pochi e brevi intervalli di ripresa, fino al 1896 e così lo storico economico Landes l’ha descritta: «gli anni dal 1873 al 1896 parvero a molti contemporanei una sconcertante deviazione dall’esperienza storica… Fu la più drastica deflazione a memoria d’uomo… durante la quale i profitti si contrassero in una depressione economica che sembrava trascinarsi interminabilmente»[3] (terminò soltanto con la scoperta delle miniere d’oro in Alaska e nel Transvaal che, aumentando la massa della moneta circolante, poté porre fine a quella esageratamente prolungata caduta dei prezzi.
Di questa particolare congiuntura economica Engels era stato attento osservatore: «noi viviamo dal 1876 in una cronica situazione stagnante in tutti i rami principali dell’industria. Né viene la completa catastrofe né il lungamente bramato tempo della fioritura degli affari su cui noi credevamo di avere un diritto, tanto prima che dopo il crack»[4]. Ma questa era soprattutto la condizione dell’economia britannica perchè altrove si affacciavano nuovi Stati capitalistici, come la Germania, gli Stati Uniti, il Giappone, decisi a mettere sotto pressione la supremazia, fino ad allora indiscussa, dell’Inghilterra. La loro aggressiva presenza apriva una stagione d’incertezza negli equilibri internazionali che avrebbe richiesto una difficile risistemazione dell’ordine economico planetario. E proprio in questa necessità per Engels andava ritrovato l’innesco della crisi sociale e politica globale che avrebbe portato, per risolversi, ad una Grande Guerra Europea così da far recuperare a qualche Stato nazionale (a scapito di altri) quei mercati di sbocco che «crescono in proporzione aritmetica mentre la forza produttiva cresce in proporzione geometrica»[5]. Era infatti il bisogno d’esportare all’estero merci e capitali per la ristrettezza degli sbocchi nazionali, che costringeva ad una rivalità intercapitalistica la cui prima vittima era quella politica del “libero scambio” da sempre celebrata dagli economisti. Ed Engels a commento: «la teoria del libero scambio aveva in fondo un supposizione: che l’Inghilterra doveva divenire l’unico grande centro industriale di un mondo agricolo, ma i fatti hanno smentito completamente questa supposizione. Le condizioni della moderna industria (forza a vapore e meccanica) si possono produrre ovunque v’è combustibile e specie il carbone: Francia, Belgio, Germania, America e la Russia stessa… E quale sarà mai la conseguenza se le merci continentali e specie americane erompono in massa ognora crescente, se la parte da leone ancora toccante alle fabbriche inglesi nel mantenimento del mondo di anno in anno si rimpicciolisce? Rispondi, libero scambio, tu rimedio universale!»[6]. Erano quindi le barriere protezionistiche, necessariamente introdotte a protezione delle proprie aree privilegiate di commercio ed investimento a dar esca ad una, per il momento latente, conflittualità internazionale perchè «questi dazi rappresentano in realtà solo degli armamenti per la definitiva campagna industriale universale che dovrà decidere della supremazia sul mercato mondiale»[7].O
La conquista dello spazio terrestre era quindi una necessità dell’accumulazione capitalistica, ma «siccome la terra è rotonda»[8], essa avrebbe trovato un limite quando tutto il globo fosse stato occupato. Nel 1885 Engels già avvertiva che questo limite si stava ormai avvicinando perchè «adesso i nuovi mercati divengono ogni giorno più rari… e quale sarà la fine di tutto questo? La produzione capitalistica non può divenire stabile, essa deve crescere, deve estendersi o morire,…. ma questa espansione diviene ora impossibile. La produzione capitalistica corre in un vicolo cieco»[9]. Però un singolo capitalismo avrebbe potuto ritardare di toccare quel limite se, da solo o in alleanza con altri, non arrivasse a strappare ad un altro capitalismo o ad un’altra alleanza i loro mercati. Però per arrivare a tanto sarebbe stata necessaria una forza militare schiacciante, da cui quella corsa agli armamenti di proporzioni mai viste prima in cui si erano buttate allora tutte le grandi potenze europee: se nel 1880 le spese militari di Germania, Austria-Ungheria, Gran Bretagna, Russia, Italia e Francia erano ammontate a 132 milioni di sterline, nel 1900 erano salite a 205 milioni[10].
Però le armi hanno il difetto, prima o poi, di sparare. Ed Engels: «una guerra? E’ facile cominciarla, ma è estremamente difficile prevedere cosa accadrà una volta iniziata… La pace continua solo perché la tecnica degli armamenti si sviluppa di continuo e di conseguenza nessuno è preparato, e così tutti tremano al pensiero di una guerra mondiale (che è poi l’unica possibile) con effetti assolutamente incalcolabili»[11], «ma non appena si sparerà il primo colpo, il cavallo prenderà la mano al cavaliere e partirà di gran carriera»[12]. E quali avrebbero potuto essere, se non disastrose, le conseguenze su di una Europa già spaccata «in due grandi campi avversi: la Russia e la Francia da una parte, la Germania e l’Austria dall’altra»[13] per le questioni irrisolte dell’Alsazia-Lorena, che opponeva la Francia alla Germania alleandola con la Russia, e dei Balcani dove gli interessi russi e tedeschi collidevano da tempo?
Alla fine degli anni ’80 dell’Ottocento la prospettiva di una Grande Guerra Europea appariva ad Engels così tanto probabile da discuterne ampiamente nella corrispondenza fino a darne l’intero scenario di svolgimento possibile. Intanto, chi avrebbe potuto scatenarla? La Russia, perchè «chi oserebbe oggi addossarsi la responsabilità di provocarla, se non forse la Russia, il cui territorio, grazie alla sua enorme estensione, non può essere conquistato»[14]? E dove sarebbe iniziata se non nei Balcani? «La prossima guerra, se mai verrà,… avrà l’avvio nei Balcani e tutt’al più potrà rimanere per un po’ di tempo neutrale l’Inghilterra»[15]. Da qui quella sua opposizione viscerale alle rivendicazioni panslaviste che gli rimproverava Eduard Bernstein. Ed Engels nel 1882: «che la mia lettera non la convinca, poiché lei aveva già simpatia verso gli slavi meridionali “oppressi”, è assai comprensibile. Noi tutti, nella misura in cui siamo passati attraverso il liberalismo, abbiamo inizialmente condiviso queste simpatie per tutte le nazionalità “oppresse”, e io so quanto tempo e quanto studio mi è costato liberarmene definitivamente… (ma) se un paio di Erzegovini vogliono dare il via ad una guerra mondiale che costerebbe mille volte gli uomini che popolano l’intera Erzegovina – questo secondo me non ha nulla a che fare con la politica del proletariato»[16]. Fin dal 1848 Engels aveva osservato la pericolosa inclinazione degli slavi del sud (gli “jugo-slavi”) a risolvere i propri conflitti coinvolgendovi le grandi potenze: i croati e gli sloveni combattendo con zelo nelle file dell’esercito austriaco, ed i serbi attratti nell’orbita russa dal sogno panslavista. Il giudizio di eterogeneità irriducibile tra di loro trovava riscontro nella incapacità, ripetutamente dimostrata, d’instaurare reciproci rapporti di convivenza pacifica. «Ma gli slavi meridionali austriaci – si chiedeva retoricamente Engels – non potrebbero unirsi con serbi, bosniaci, dalmati e bulgari? Certamente, se l’antico odio tra le popolazioni ai confini dell’impero austriaco e gli slavi turchi dell’altra riva della Sava e dell’Una non esistesse; ma queste popolazioni, che per secoli si sono reciprocamente considerati l’un l’altro come ladri e banditi, si odiano tra di loro, nonostante la parentela etnica, assai più che gli slavi nei confronti degli ungheresi»[17].
Ovviamente i socialisti si opponevano ad una guerra europea anche perchè questa volta sarebbe stata particolarmente devastante, ben diversa dalle battaglie campali a ranghi serrati di un tempo: «questo non esiste più e chi vuol riesumarlo è falciato dal fuoco delle armi moderne»[18]. Con queste armi «la situazione militare è completamente nuova, sconvolge tutti i calcoli. Oggi i fucili possono sparare dieci colpi al minuto, la loro portata si avvicina a quella di un cannone, e i proiettili hanno una forza di penetrazione inaudita… Tutti questi spaventosi mezzi di distruzione non sono ancora mai stati sperimentati in una guerra e non sappiamo affatto quali sarebbero gli effetti di questa rivoluzione dell’armamento sulla tattica e sul morale dei soldati»[19]. Così «quello che è assai probabile che accada è una guerra di posizione con esito incerto al confine francese, una guerra offensiva con conquista delle fortezze polacche al confine russo e la rivoluzione a Pietroburgo che faccia vedere all’improvviso ai signori della guerra tutto in un’altra luce. Comunque è sicuro: non ci saranno più soluzioni rapide e marce trionfali né verso Berlino né verso Parigi»[20]. Ma pure un’altra cosa era certa: «questa guerra nella quale quindici o venti milioni di uomini armati si scannerebbero e devasterebbero l’Europa come mai non fu devastata, questa guerra o produrrebbe il trionfo immediato del socialismo oppure sconvolgerebbe talmente l’antico ordine delle cose e si lascerebbe dietro dappertutto un tale cumulo di rovine, che la vecchia società capitalistica diverrebbe più impossibile che mai»[21]. E allora? «Una guerra in cui ci saranno da 10 a 15 milioni di combattenti, una devastazione inaudita solo per nutrirli, una soppressione forzata e universale del nostro movimento, una recrudescenza dello sciovinismo in tutti i paesi, e alla fine un indebitamento dieci volte peggiore che dopo il 1815, un periodo di reazione basato sull’esaurimento di tutti i popoli dissanguati – e tutto questo contro la piccolissima possibilità che da questa guerra accanita scaturisca una rivoluzione – questo mi fa orrore»[22].
Ma Engels nella sua fosca previsione si spingeva anche oltre: immaginava lo svolgimento delle operazioni militari e chi, alla fine, avrebbe vinto. Intanto la Germania sarebbe stata impegnata su due fronti, con «la Russia debole nell’attacco ma enormemente forte nella difesa e colpirla al cuore è impossibile. La Francia è forte nell’attacco, ma dopo un paio di sconfitte è resa inabile ed inoffensiva. Poiché non tengo in gran conto gli austriaci come generali e gli italiani come soldati, sarà il nostro esercito a sferrare e a sopportare l’attacco principale. Contenere i russi ma sconfiggere i francesi: la guerra dovrà iniziare così… ma i francesi non si lasceranno sconfiggere così facilmente… In breve, nel caso più favorevole si arriverà ad una battaglia su vari fronti, condotta con l’aiuto di sempre nuovi rinforzi, su entrambi i lati, sino all’esaurimento di una delle parti o a causa dell’attivo intervento dell’Inghilterra che, nelle condizioni date, può prendere per fame la parte contro cui si risolve ad agire»[23]. Infatti, «se nessuna rivoluzione interrompe la guerra, se si lascia che segua il suo corso, la vittoria andrà alla parte che otterrà l’appoggio dell’Inghilterra»[24] perchè «non dimentichiamolo: nella prossima guerra chi deciderà sarà l’Inghilterra»[25].
Ma avrebbe potuto esserci anche una sorpresa, che avrebbe potuto segnare la fine della centralità storica europea. Siccome «una soluzione rapida è impensabile, nonostante che le forze in campo siano gigantesche,…. se si combattesse fino alla fine senza che all’interno si muova nulla, avremo un esaurimento come l’Europa non ne conosce da 200 anni. L’industria americana vincerebbe su tutta la linea e noi saremmo di fronte all’alternativa: o regredire semplicemente all’agricoltura per uso interno (il grano americano non lascia altre possibilità), oppure una trasformazione sociale»[26], di cui naturalmente ad Engels era impossibile immaginare le coordinate[27]. Così, nello scontro imperialistico fra Gran Bretagna e Germania, la Germania avrebbe perso la guerra, ma l’Inghilterra avrebbe potuto perdere la pace a favore di quel “terzo incomodo”, gli Stati Uniti d’America, che Engel era andato a visitare nel 1888 tornandone impressionato perchè quelli avrebbe condotto «un giorno ad una svolta che stupirà il mondo intero. Se gli americani incominciano, lo faranno con una energia e una violenza a paragone delle quali noi in Europa saremo come bambini»[28].
Ma poi capitò quanto Engels aveva previsto. Il 28 giugno 1914 il duplice omicidio di Sarajevo (eppure di governanti ne erano stati assassinati parecchi dall’inizio del secolo – 4 re, 3 presidenti, 6 primi ministri[29] – senza che ci fossero conseguenze così devastanti) fu l’occasione per l’Austria-Ungheria di fare i conti con la Serbia, ritenuta mandante dell’attentato, con l’invio il 25 luglio di un duro ultimatum che, con qualche distinguo, la Serbia accettò. Però l’intenzione della corte di Vienna era ormai un’altra – e ciò segnò la caduta nel precipizio[30]: dichiarazione di guerra alla Serbia il 28 luglio, mobilitazione generale della Russia in sua difesa il 30 luglio, dichiarazione di guerra della Germania alla Russia il 1° agosto e il 2 agosto pure alla Francia. Quello stesso giorno l’Italia si sfilava dalla Triplice Alleanza con Austria-Ungheria e Germania, che pure aveva contribuito a fondare nel 1882, proclamando la propria “neutralità”: incerta ancora la posizione britannica, forse era meglio stare alla finestra. Ma il “briscolone” britannico venne calato il 4 agosto quando Londra dichiarò guerra alla Germania, con ciò ipotecando la sorte del conflitto a dar retta alla previsione di Engels. Il quale non aveva però immaginato che, per vincere, agli alleati (Gran Bretagna, Francia e Russia, a cui dal 1915 si accodò pure l’Italia) sarebbero stati necessari 51 mesi d’«inutile strage» (Benedetto XVI).
Ma fu una strage veramente “inutile”? A non interpretarla economicamente, certamente sì. Ma se la si riconduce alla sua “ragion economica” imperialistica, essa servì bene al capitalismo per ridiscutere gli ambiti d’espansione nel mondo dei singoli imperialismi. Ristampando nel 1920 lo scritto L’imperialismo come fase suprema del capitalismo, Lenin avrebbe spiegato al lettore che «nell’opuscolo è dimostrato che la guerra del 1914-18 fu imperialistica (cioè di usurpazione, di rapina, di brigantaggio) da ambo le parti, che si trattò di un guerra per la spartizione del mondo, per una suddivisione e nuova ripartizione delle colonie, delle sfere di influenza del capitale finanziario, e via dicendo. La dimostrazione del vero carattere sociale o, più esattamente, classista della guerra, non è contenuta, naturalmente, nella storia diplomatica della medesima, ma nella analisi della situazione oggettiva delle classi dominanti in tutti gli Stati che vi parteciparono»[31]. E che fosse una lotta per la spartizione di un “bottino” lo prova il caso del Giappone che il 23 agosto 1914, su sollecitazione britannica, dichiarò esso pure guerra alla Germania subito impadronendosi di tutte le colonie tedesche nel Pacifico!
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[1] V. I. Lenin, La guerra e la socialdemocrazia russa (1914), in La guerra imperialista, Roma, 1950, p. 11.
[2] Cfr. l’antologia di R. Monteleone (a cura di), Teorie sull’imperialismoa Kautsky a Lenin, Roma, 1974.
[3] D. S. Landes, Tecnologia e sviluppo nell’Europa occidentale, in H. J. Habakkuk, M. Postan (a cura di), Storia economica di Cambridge, Torino, 1974, vol. VI, p. 495.
[4] F. Engels, Prefazione a Le condizioni della classe operaia in Inghilterra, in K. Marx, F. Engels, F. Lassalle, Opere, Milano, 1903, vol. III, p. XII.
[5] F. Engels in K. Marx, Il capitale. Libro primo, Roma, 1965, p. 56.
[6] F. Engels, Prefazione a Le condizioni della classe operaia…, cit., p. XII.
[7] F. Engels in K. Marx, Il capitale. Libro terzo, Roma, 1965, p. 575.
[8] K. Marx, F. Engels, India Cina Russia, Milano, 1960, p. 413.
[9] F. Engels, Prefazione a Le condizioni della classe operaia…, cit., pp. XII-XIII.
[10] E. Hobsbawn, L’età degli imperi, Bari, 1991, tabella 11.
[11] Cit. in G. Mayer, F. Engels. La vita e l’opera, Torino, 1969, p. 286.
[12] F. Engels, Lettere, gennaio 1889 – dicembre 1890, in K. Marx, F. Engels, Opere complete, Roma, 1983, vol. 48, p. 13.
[13] F. Engels, La politica estera degli zar, Milano, 1978, pp. 75-76.
[14] Cit. in H. M. Enzensberger (a cura di), Colloqui con Marx ed Engels, Torino, 1977, p. 533.
[15] F. Engels, Lettere, gennaio 1893 – luglio 1895, in K. Marx, F. Engels, Opere complete, Roma, 1977, vol. 50, p. 32.
[16] Cit. in F. Andreucci, Engels,la questione coloniale e la rivoluzione in occidente, “Studi Storici”, 1971, n. 3, pp. 453-454 e 455.
[17] Cit. in R. Zani, La questione balcanica. Engels e Marx: panslavismo e liberazione del proletariato, “La Contraddizione”, 1993, n. 38, p. 79.
[18] F. Engels, Lettere, gennaio 1889 – dicembre 1890, op. cit., p. 45.
[19] Cit. in H. M. Enzensberger (a cura di), Colloqui con Marx ed Engels, cit., p. 533.
[20] F. Engels, Lettere, gennaio 1889 – dicembre 1890, op. cit, p. 32.
[21] F. Engels, Il socialismo in Germania, Milano, 1892, pp. 12-13.
[22] F. Engels, Lettere, gennaio 1889 – dicembre 1890, op. cit., p. 187.
[23] F. Engels, Lettere, gennaio 1891 – dicembre 1892, in K. Marx, F. Engels, Opere complete, Roma, 1982, vol. 49, pp. 165-166.
[24] F. Engels, Lettere, gennaio 1889 – dicembre 1890, op. cit., p. 215.
[25] F. Engels, L’Europa può disarmare?, in L. Gruppi (a cura di), Opere scelte, Roma, 1973, p. 1208.
[26] F. Engels, Lettere, gennaio 1889 – dicembre 1890, op. cit., p. 13.
[27] Sul coinvolgimento degli Stati Uniti nella Grande Guerra Europea, ben più complesso di quanto immaginato da Engels, cfr. G. Alvi, Dell’Estremo Occidente. Il Secolo Americano in Europa. Storie economiche 1916-1933, Firenze, 1993.
[28] F. Engels, Lettere, gennaio 1891 – dicembre 1892, op. cit., p. 325.
[29] N. Ferguson, Ventesimo secolo. L’età della violenza, Milano, 2006, p. 102.
[30] Cfr. il secondo capitolo di M. Gilbert, La grande storia delle prima guerra mondiale, Milano,1998.
[31] V. I. Lenin, L’imperialismo come fase suprema del capitalismo, Edizioni in lingue estere, Mosca, 1950, p. 8.
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