Valeria Gandus (Il Fatto Quotidiano 12.6.2014)
“Enrico Berlinguer”, un libro per capire il ragazzo di Sassari che diventò comunista
L’ha scritto Chiara Valentini, giornalista di lungo corso e apprezzata saggista, e la sua opera s’intitola, semplicemente, Enrico Berlinguer (Feltrinelli). Quella appena uscita è l’ultima edizione, ampliata da nuove interviste e inediti documenti, dei due libri scritti alla fine degli anni ‘80.
Ora che il giorno dell’anniversario è passato e le celebrazioni ufficiali sono terminate, è arrivato il momento di fare sul serio e cercare di conoscere veramente Enrico Berlinguer. Per farlo è utile andare in libreria e dotarsi della più completa biografia del più amato segretario del Pci: l’ha scritta Chiara Valentini, giornalista di lungo corso e apprezzata saggista, e s’intitola, semplicemente, Enrico Berlinguer (Feltrinelli).
Quella appena uscita è l’ultima edizione, ampliata da nuove interviste e inediti documenti, dei due libri che Valentini scrisse all’indomani della scomparsa di Berlinguer, Il compagno Berlinguer (1985) e Berlinguer il segretario (1987), poi unificati in un volume unico con la prefazione di Paolo Spriano.
Non si respira, nelle oltre 400 pagine del volume, quel clima agiografico né quell’aria nostalgica che hanno fatto la fortuna del film di Walter Veltroni, evento staffetta delle celebrazioni berlingueriane. Ma c’è tanta storia, non solo (e come potrebbe?) di Berlinguer, ma dell’Italia, del mondo e della sua trasformazione. C’è la seconda metà del secolo scorso vista e vissuta da un ragazzo di Sassari che diventa comunista nel meno ortodosso dei modi (grazie alla passione per il poker: giocava in un gruppo di antifascisti dove l’azzardo proveniva dalle parole più che dalle carte), che progetta un comunismo ancor meno ortodosso (il comunismo nella democrazia), che rompe ponti (con l’Urss) e ne costruisce di nuovi (il celebre compromesso storico), che come un profeta laico pone una questione, anzi “la” questione che è oggi di più stringente attualità, quella morale.
Un leader amatissimo dal popolo di sinistra, almeno negli ultimi anni, e a lungo osteggiato all’interno del Pci, come testimoniano i verbali delle riunioni della Direzione del partito.
Un uomo che sapeva cambiare idea su temi dirimenti come la questione delle donne: al ritorno dal suo primo viaggio in Unione sovietica (1946) ad amici e parenti che gli chiedono come sono le donne laggiù, risponde: “In Urss non ci sono donne, ci sono compagne sovietiche”; negli anni Cinquanta propone come esempio di virtù per le ragazze italiane Maria Goretti, la santa bambina morta per difendere la propria verginità; nei Settanta giudica severamente le femministe (“Non possiamo accettare un’ideologia che individua nel dominio dell’uomo sulla donna la caratteristica fondamentale dell’attuale società”); ma negli anni Ottanta arriva ad affermare, nello sconcerto di molti dei suoi compagni: “Questo secolo ha avuto tre grandi rivoluzioni: quella sovietica e cinese, il movimento anticoloniale degli anni Cinquanta e il movimento delle donne”.
Uno “strano comunista”, come lo definiva la stampa americana, che non riuscì a portare a termine il suo progetto di comunismo democratico, ma che aveva una sorprendente capacità di leggere il futuro: per esempio, a proposito della rivoluzione informatica. Lui abituato a scrivere ancora a mano i suoi discorsi, immagina che l’informatica potrà allargare moltissimo il campo della conoscenza, potrà arricchire la vita degli esseri umani. “Ma è inaccettabile” sostiene quasi indovinando il nostro presente “una democrazia elettronica che voglia sostituirsi alla vita democratica. Nessuno riuscirà mai a reprimere la naturale tendenza dell’uomo a discutere, a riunirsi, ad associarsi”. È lo stesso Berlinguer invocato a gran voce da Casaleggio nel comizio finale per le elezioni europee.
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