Gianna Lai
25 aprile ad Auschwitz. Gli studenti del Martini di Cagliari nel monumento aperto, dedicato a tutte le vittime. Le immagini e le impressioni.
Introduce Valentina, 4^R (relazioni internazionali).
La memoria dell’Olocausto nelle installazioni del Museo ebraico di Berlino, con le figure di donne e uomini calpestati dai visitatori, che producono suoni di orrore e di sofferenza.
Il filo spinato e la triste canzone iddish. Gunter Grass, Willy Brandt e l’appello per un monumento aperto, al centro della città, in ricordo dello sterminio. Inaugurato nel 2004, a 60 anni dalla Seconda guerra mondiale, esso si compone di 2.711 stele in calcestruzzo, che formano un labirinto percorribile, e vuole rappresentare sofferenza e solitudine, e un ordine soffocante per la ragione stessa, disumano.
Nel sotterraneo, il Centro di documentazione dei morti della Shoah, le famiglie sterminate, la Sala dei nomi e l’altoparlante che ripete le biografie di ciascuno. La Sala dei luoghi rappresenta i campi di concentramento e la persecuzione, la Sala delle dimensioni trasmette il terrore di quegli anni. ‘Molti bambini strappati alla vita’: le lettere dei ragazzi internati. Valentina legge la lettera di Rachele alla mamma, anch’essa internata e lontana, chissà se ancora viva.
Giacomo, Quinta Cp (programmatori). Auschwitz.
In Polonia verso la soluzione finale. Il commento di Giacomo accompagna le slides, e le immagini, e le riprese degli studenti. ‘Il lavoro rende liberi’, la scritta all’ingresso del campo. Le condizioni disumane del lavoro coatto dal 1940, le immagini degli internati scelti secondo la loro capacità di resistenza, i numeri tatuati nelle braccia e nel collo. Le immagini del muro della fucilazione e dell’unica camera a gas restata integra, le altre essendo state distrutte dai tedeschi con veri bombardamenti, prima dell’arrivo dei russi e degli americani. Come le baracche in cui vivevano i prigionieri. Gli ebrei stessi costruiscono le strutture e spogliano e cremano i loro simili.
Le foto degli studenti ritraggono le scarpe degli internati, gli occhiali e gli spazzolini. I barattoli del gas, gli insetticidi usati nelle camere a gas, e i forni crematori. E recuperavano i tedeschi, dice Giacomo, anche cinque chili al giorno di oro sottratto alle vittime, destinate alle camere a gas. E gli esperimenti sui bambini, in particolare sui gemelli.
Da Primo Levi, Giacomo legge ‘L’orario di lavoro è variabile con la stagione’ e ‘Per noi parlare con i giovani è sempre più difficile’.
Alessandro.
Si amplia Auschwitz con la costruzione di Birkenau, costruito dai prigionieri russi, di cui i nazisti avevano già fatto strage negli anni precedenti. Il più grande campo, capace di contenere fino a un milione di persone. Ci arriva una ferrovia e lo attraversa un binario lungo chilometri. Ai prigionieri vengono sottratti gli oggetti personali, appena scendono dai treni, dopo un viaggio nei vagoni destinati al trasporto degli animali, senza cibo, nè acqua. Le foto delle baracche di legno e i giacigli stretti, sistemati a castello, nei dormitori, oggi ricostruiti, così come erano in quel tempo. E poi il filo spinato
Susanna, Quinta C. La fabbrica di Schindler.
Schindler è agente dei Servizi militari tedeschi, e acquista un immobile con capitali ebrei. Ebrei gli oltre mille lavoratori che producono pentolame e munizioni nella Rekord. Aveva assistito, tempo prima, a un feroce raid nazista nel ghetto di Cracovia, e deciso di salvare la vita di quanti più ebrei fosse possibile. Egli organizza feste e corrompe le autorità naziste per ottenere commesse e, per non destare sospetti, costruisce un lager apposito, destinato ai lavoratori della sua fabbrica, salvandoli così da morte certa. Divenuto quel lager stazione di trasporto, nel trasferimento della sua fabbrica egli riuscì a salvare altre trecento operaie destinate ad Auschwitz, accogliendole tra i suoi lavoratori. Sempre aiutato dai suoi collaboratori e dalla moglie Emily. Oggi è possibile visitare quella fabbrica, monumento all’aperto che si allarga al ghetto di Cracovia, attraverso il quale conoscere la vita della città come si svolgeva dal ‘39 al ‘45, e prima della guerra e dopo la guerra. Mostre permanenti e temporanee ne approfondiscono storia e significati. E scorrono le foto dei ragazzi sul ghetto degli ebrei, la piazza delle sedie, la piazza degli eroi, il mercato dei tessuti, e poi le svastiche e le scritte contro gli ebrei, verboten juden. La prima occupazione nazista, rumori e suoni che coinvolgono fortemente i visitatori. E ancora la fabbrica Rekord, la scrivania dove fu stesa la lista di Schindler, i timbri e i documenti.
Che cosa mi ha colpito di questo viaggio? si chiede Susanna. I forni crematori. Le scarpe degli internati, quelle dei bambini, e le pentole e le valigie, maniacalmente conservate. E i capelli, sette tonnellate di capelli che, mischiati alla lana, servivano a fare matterassi e coperte per i tedeschi. L’immensità del campo di Birkenau, mille ettari di bosco sottratto ai polacchi e distrutto. E le unghiate nei muri delle camere a gas. E gli ebrei che si scavano la fossa, una cosa che non si può credere. E l’enormità delle camerate, con i letti sovrapposti a piani nelle baracche di legno, dove si muore dal freddo, con temperature che scendono a meno 30 gradi, neppure protette dalla neve. E la stanza enorme delle latrine, anch’esse senza distinzione di spazio. E poi pecorrere quei pavimenti, che ti rimandano le urla degli ebrei, mentre ci cammini sopra, trasmettendoti incertezza e dolore. E, alla fine, la forca destinata dai liberatori al comandante di Birkenau.
Giacomo, Alessandro, Michele, Federica, Matteo, le impressioni.
Un ambiente surreale, impossibile da comprendere. Come capire l’ immensità di quel campo? Di Birkenau non si vede la fine, forse era destinato ancora a ulteriori ingrandimenti, al concentramento di altre centinaia di migliaia di persone. Come immaginare la folla immensa di internati? E le stanze della morte e di punizione, un metro quadro per quattro persone, l’ ingresso una botola. Il dolore per la sorte dei bambini, destinati al lavoro e al trasporto dei morti: su 150 mila se ne salvarono solo 150. E i 144 mila corpi bruciati ogni giorno! E pensare che è successo così poco tempo fa!
Ma oggi i tedeschi hanno preso coscienza di questa immane tragedia, che è offesa contro l’umanità intera, e i monumenti che abbiamo visitato dimostrano la partecipazione collettiva alla memoria.
Un canto di disperazione e di ammonimento accompagna la lapide Auschwitz-Birkenau, 1940-45, tra le ultime immagini della storia. E lo schermo viene attraversato da un gruppo di ragazze israeliane, che ripetono ogni anno la cerimonia di commemorazione, per restituire i nomi degli ebrei morti nei campi di concentramento. E poi l’albergo che ha ospitato gli studenti e il Duomo cittadino e il Castello, e la Dama con l’ermellino di Leonardo. E la fotografia di gruppo finale, con l’autoscatto, la 5^A e la 5^C programmatori.
Un lavoro di documentazione attraverso le immagini, un sicuro montaggio e una continua attenzione, nelle riprese, ai luoghi e alla storia, che ha saputo restituire sentimenti e stati d’animo degli studenti. E della Preside, prof. Angela Testone, e della docente di Italiano e Storia Elisabetta Sforza, che li accompagnavano.
Nell’ Aula Magna del Martini, con la partecipazione di professori e studenti, e dei rappresentanti dell’Anpi di Cagliari e della Provincia, e dello Spi-Cgil, giornata conclusiva de ‘Il percorso della memoria. La Shoah e la persecuzione nazista nell’Europa della Seconda guerra mondiale’.
Il viaggio degli studenti ad Auschwitz è stato in parte finanziato dallo SPI-CGIL e dall’ANPI della provincia di Cagliari.
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