Gianfranco Sabattini
In un recente articolo, apparso su “la Repubblica” dal titolo “L’Occidente salvato dalla lotta di classe”, Michael Walzer, docente di filosofia politica all’Institue for Advanced Study di Princeton e co-redattore di “Dissent” (una rivista della sinistra americana), ha aperto un dibattito che ha visto impegnati Eugenio Scalari, da un lato, e Lucio Villari e Nadia Urbinati, dall’altro. Walzer, traendo spunto dai problemi sollevati dalle trasmigrazioni moderne dei popoli, sostiene che all’interno dei paesi di antica democrazia quanti “più diritti si estendono ai non-cittadini tanto più la parola ‘cittadinanza’ perde significato. Stiamo vivendo – continua Walzer - il processo di svalutazione della cittadinanza per il bene dell’umanità”.
Che cosa succede – si chiede il filosofo americano - quando le nazioni diventano eterogenee? Accade che si verifica una spinta a favore dei diritti umani, diritti che non dipendono da un’appartenenza politica e da ricordi condivisi; una spinta, cioè, a favore dei “diritti dell’uomo”, affermati dalla Rivoluzione francese, a scapito dei “diritti del cittadino”. Si tratta però di una spinta contraddittoria, perché “quanti più diritti si estendono ai non-cittadini tanto più la parola ‘cittadinanza’ perde significato”. Ciò è certamente un effetto positivo della spinta a favore dei diritti dell’uomo, ma lascia a volte disarmati, al cospetto di chi li contesta, coloro che condividono tale effetto; ciò rende difficile sostenere la formazione di una cultura civica comune. Qual è la causa della contraddizione?
Scalfari osserva che, con la Rivoluzione del 1789, è nata la democrazia e la nazione ha cessato d’essere di proprietà dei sovrani assoluti; tutto ciò è stato “il lascito dell’Illuminismo, deturpato, ma anche arricchito, nel corso del XIX e XX secolo”. Scalfari, condividendo la tesi di Walzer, afferma che il contrasto tra i diritti dell’uomo e quelli del cittadino sono dovuti alla trasformazione dei nazionalismi in una regressione populista che impedisce ogni possibilità di costruire una patria transnazionale; il populismo, soprattutto quello di destra, strumentalizza i diritti del cittadino come baluardo contro i diritti dell’uomo e combatte la formazione di ogni forma di società cosmopolita, trascurando di correggere gli esiti dell’impatto negativo della primazia delle istituzioni economico-finanziarie sulle due classi di diritti.
Lucio Villari, sempre su “la Repubblica”, riconosce attuali e puntuali i commenti di Scalfari sulle tesi di Walzer e riconosce anche che la democrazia e la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” sono “discendenze” che traggono origine dalla Grande Rivoluzione di fine XVIII secolo. Questa però, secondo Villari, non è mai stata universalmente accettata, come dimostra il fatto che “da oltre un secolo alcuni storiografi e filosofi…non trovano pace…intorno proprio alle discendenze”; persino la Chiesa, anche quella più “aperta”, preferisce non affrontare i nodi dell’Illuminismo e a non rivedere la propria posizione critica nei confronti dei valori del mondo moderno.
Più pregnanti di significato appaiono le osservazioni di Nadia Urbinati sulla regressione populista riguardante i diritti dell’uomo. Ella osserva che i responsabili della regressione nazionalistica sono principalmente le istituzioni economiche e finanziarie multinazionali, ma anche le società politiche di molti paesi democratici, che hanno trascurato di “ordire il discorso pubblico” sull’accettazione ed il rispetto dei diritti universali dell’uomo.
In particolare, le società politiche dei paesi europei, vittine spesso di un “twitterismo in diretta”, senza regole, hanno smarrito il senso della “funzione progressiva ed emancipatrice che hanno avuto i popoli europei”, per avere generato un “cosmopolitismo democratico che ha fatto dello stato-nazione il tramite di un nuovo ordine domestico internazionale fondato sul diritto e sugli scambi tra individui e popoli”.
La Urbinati conclude osservando che la contingenza della crisi economica è valsa sicuramente a favorire la regressione populista e a radicare l’idea che la “difesa della nazione passi, non per la cooperazione e la società aperta, ma per una strada che porta di nuovo al protezionismo e al nazionalismo”, e inevitabilmente al sacrificio dei valori della democrazia, propri dell’apertura al mondo da parte di ogni nazione.
Sennonché, la salvaguadia delle due classi di diritti (quelli dell’uomo e quelli dei cittadini) è irrinunciabile, in quanto costituisce un valido presidio per la tutela della stessa democrazia, all’interno degli Stati-nazione che fungono da contenitori delle comunità nazionali; è noto come le attuali forme di produzione del capitalismo internazionale (turbocapitalismo e supercapitalismo) si siano rivelate eversive della democrazia, allorché hanno determinato il prevalente spostamento del potere politico verso i cittadini in quanto consumatori, originando così un processo eversivo delle regole democratiche, smentendo la pretesa di molti, secondo cui il libero mercato, abbandonato allo spontaneismo, sia il presidio della democrazia stessa.
In tal modo, il capitalismo mondializzato è divenuto sempre più sensibile alle richieste dei cittadini in quanto consumatori, mentre le democrazie sono divenute sempre meno sensibili alla necessità del rispetto dei diritti universali dell’uomo. Questi, infatti, sono stati le “vittime sacrificali” sull’altare di uno sdoppiamento “schizofrenico”, indotto dal primato del mercato senza regole, fra soggetti in quanto consumatori vincenti e soggetti in quanto cittadini perdenti.
Di fronte a questa situazione, a ragione, Scalfari, sottolinea che i popoli delle nazioni democratiche possono difendere i diritti dell’uomo adottando una prospettiva di azione politica ispirata a quella propugnata dal Giuseppe Mazzini dei diritti e dei doveri; il patriota italiano era nazionalista e internazionalista al tempo stesso; egli infatti ha indicato come un diritto-dovere, sia l’impegno politico dei popoli nel perseguimeno dell’indipendenza delle nazioni, sia il perseguimento della fratellanza tra le stesse. Si tratta di una prospettiva certamente molto vicina a quella prospettata da Walzer in altri suoi scritti, nei quali il filosofo americano non ha nascosto la sua vicinanza alle istanze del neocomunitarismo come forma di tutela dell’autonomia delle singole comunità nazionali, soprattutto riguardo agli esiti della logica di funzionamento di un mercato ispirato al turbocapitalimso.
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