Al Tar è iniziata la battaglia contro la legge elettorale sarda. E’ a rischio l’attuale composizione del Consiglio regionale

19 Giugno 2014
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 Red

Al Tar si è aperta la battaglia legale che investe il Consiglio regionale della Sardegna eletto il 6 febbraio scorso. Le contestazioni si possono all’ingrosso dividere in due grandi gruppi: quelle che riguardano la legittimità delle operazioni elettorali, l’elezione di questo o quell’altro candidato, senza investire la legge-truffa regionale e quelle che contestano la composizione del Consiglio quale conseguenza dell’incostituzionalità della legge stessa. 
I giudici della Seconda Sezione del Tar Sardegna, presieduta da Francesco Scano, con relatore Antonio Plaisant, hanno dichiarato inammissibili una serie di ricorsi del primo tipo, presentati da Giommaria Deriu (ex assessore provinciale a Sassari con Rifondazione Comunista, candidato alle regionali e primo dei non eletti), e da Franco Cuccureddu (leader di Mpa, già consigliere regionale e attuale sindaco di Castelsardo). Stessa sorte per quello esaminato dallo stesso collegio con relatore Tito Aru, che era stato presentato da Bernardino Deiana (esponente Idv di Selargius), mentre per quello avanzato da Antonio Gaia (avvocato, ex sindaco di Sarule con l’Upc) la decisione si conoscerà solo nelle prossime ore. Il verdetto del Tar è arrivato dopo una camera di consiglio fiume durata fino a tarda sera.
Ciò che invece è interessante è il rinvio al 2 luglio dei ricorsi che mettono in discussione l’impianto della legge elettorale regionale-truffa che il 6 febbraio scorso ha amputato il nuovo Consiglio regionale dei 120.000 voti andati a Michela Murgia e a Mauro Pili, grazie ad uno sbarramento al 10% e ha dato a Pigliaru, il 60% dei seggi, benché abbia avuto solo poco più del 40% dei voti. Il 2 luglio infatti è fissato il ricorso-madre, quello presentato dal direttore del Manifestosardo Marco Ligas e da altri 25 elettori che chiede l’annullamento della legge elettorale sarda nelle parti in cui falsifica la volontà politica dei sardi con un’eccessivo premio di maggioranza e un’inaudita soglia di sbarramento. Si mette in discussione poi la disciplina che favorisce anziché combattere la discriminazione in danno delle donne, elette in Consiglio solo in numero di quattro, e la sottorappresentazione di alcune circoscrizioni: Olbia e Medio Campidano. Il ricorso contesta insomma la legge elettorale sarda nelle parti in cui, al di fuori di ogni ragionevolezza, intacca il principio di rappresentanza politica e territoriale che dovrebbe reggere la formazione del Consigio regionale.
Si può trarre qualche elemento in ordine al giudizio da questo rinvio? In realtà, l’unica considerazione certa è che i giudici, per ragioni di economia processuale, vogliono decidere insieme i ricorsi che pongono questioni di legittimità della legge elettorale e richiedono il rinvio di questa al vaglio della Corte costituzionale. Volendo forzare il senso del rinvio o, forse meglio, volendo manifestare un auspicio, almeno quello di chi combatte questa legge elettorale, si può dire che è positivo il fatto che il Tar non li abbia dichiarati manifestamente infondati, come avrebbe senz’altro fatto se avesse ritenuto campate per aria le questioni di legittimità costituzionale sollevate. La necessità di approfondimento è già segno che le censure verso la legge meritano considerazione, sono serie. E, in proposito, è bene ricordare che il Tar non deve esprimersi sulla fondatezza delle questioni di legittinità costituzionale (giudizio che spetta ai giudici della Consulta), ma solo sulla loro non manifesta infondatezza. Basta cioè il dubbio d’incostituzionalità a far scattare il rinvio della legge alla Corte costituzionale. E sarà allora al Palazzo della Consulta che si combatterà la battaglia decisiva per l’annullamento della legge elettorale o meglio delle sue parti che violano l’eguaglianza del voto in uscita. 
In questo momento d’attesa c’è tuttavia una notizia positiva: il Presidente Pigliaru non si è costitutito in giudizio a difesa della legge elettorale regionale. E’ un fatto rilevante sul piano politico perché indica che neppure Pigliaru condivide la legge che lo ha fatto diventare presidente e gli ha dato una grande maggioranza (il 60% dei consiglieri), pur avendo ottenuto meno del 20% dei voti dei sardi, considerando che la metà si sono astenuti. Un giudizio sfavorevole, del resto, è stato espresso anche dal Presidente del Consiglio Ganau nel corso di un incontro coi presentatori del ricorso contro la legge-truffa. Ganau e Pigliaru dovrebbero, però, fare di più, e cioè promuovere la modifica della legge ad opera del Consiglio regoionale. Si abrogherebbe così questa legge elettorale vergognosa, frutto di un accordo scellerato fra PD e PDL alla fine della scorsa legislatura, Sarebbe un bel passo in avanti, anche se una nuova legge non vanificherebbe i ricorsi pendenti che investono la legge attuale: la nuova disciplina varrebbe per il futuro, per le prossime elezioni, mentre una sentenza di annullamento della Corte costituzionale avrebbe effetto retroattivo, porterebbe alla modifica dell’attuale composizione del Consiglio o addirittura a nuove elezioni. E’ in vista un sommovimento a livello regionale? Il 2 luglio ne sapremo di più.

2 commenti

  • 1 in giro con la lampada di aladin… | Aladin Pensiero
    19 Giugno 2014 - 07:24

    […] contro la legge elettorale sarda. E’ a rischio l’attuale composizione del Consiglio regionale. Red su Democraziaoggi Al Tar è iniziata la battaglia contro la legge elettorale sarda. E’ a rischio l’attuale […]

  • 2 Alberto Rilla
    19 Giugno 2014 - 20:40

    Come ho già avuto modo di dire telefonicamente al Prof. Pubusa, la stampa ha riportato notizie inesatte sul ricorso sottoscritto da 16 liberi cittadini di cui sono primo firmatario; infatti non è stato rinviato al 2 luglio, bensì al 16 novembre, con concessione di un termine ampio per consentirci di effettuare le notifiche, in via ordinaria o in alternativa per pubblici proclami a mezzo PEC. Come scrive l’autore dell’articolo, è comunque un segno positivo che il TAR abbia ordinato l’integrazione del contraddittorio, dato che le “regole” consentono di omettere tale incombente quando un ricorso è manifestamente infondato.

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