Solo la cultura ci rende sovrani

15 Giugno 2014
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Red
Interessante dibattito a Napoli fra Gustavo Zagrebelsky e Tomaso Montanari nell’ambito della Repubblica delle idee Repubblica.it.: “Solo la cultura ci rende sovrani”, Il presidente emerito della Corte costituzionale e lo storico dell’arte insieme in un dialogo che parte dall’articolo 9 della costituzione. E dalla sua fragilità. “La cultura garantisce la coesione della società, ci permette di non credere a chi promette di risolvere miracolosamente i nostri problemi. Ma non ha la forza delle armi e del potere”.  Ecco la sintesi  del dialogo di TIZIANA TESTA de La Repubblica - 6 giugno 2014 
 
Tiziana Testa

Un costituzionalista e uno storico dell’arte insieme. Gustavo Zagrebelsky e Tomaso Montanari, nel cortile di Palazzo reale a Napoli, per Repubblica delle idee. Un dialogo sulla cultura e sulla democrazia con un filo rosso costante: l’articolo 9 della Costituzione che recita “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura”. E’ Montanari a partire, con un omaggio ai padri costituenti:  “Mettere l’arte e il paesaggio tra i principi fondamentali della comunità fu un’idea geniale”, dice lo storico dell’arte. “Oggi si direbbe che è una frivolezza, invece allora -  con un’Italia messa molto peggio di adesso sul piano delle distruzioni materiali  - chi scrisse la Carta fece quella scelta coraggiosa. Capì che alla base dell’essere italiani c’è quella identità”. E va oltre, Montanari: “Noi camminiamo in nome di quel principio e dell’articolo 3 sull’uguaglianza. E lo dico in un momento in cui la diseguaglianza è il problema principale dell’Occidente. Dobbiamo lavorare perché diventi concreta quella rivoluzione: cioè mettere insieme patrimonio artistico e sovranità”. 
“E’ lui il vero costituzionalista”, sorride Zagrebelsky rivolto a Montanari, rispondendo alle domande di Simonetta Fiori. E fa un primo accenno all’attualità: “Quell’articolo 3 è il segno della vitalità di una Costituzione che tutti si affannano a voler modificare”. Molti si attendono un affondo sul Senato, un accenno alle trattative dei partiti sulle riforme. Ma il presidente emerito della Corte costituzionale prosegue sull’accezione del termine cultura. “Come potremmo definire questa parola, un po’ nebulosa? Cultura è renderci conto di dove siamo, è comprendere noi stessi. E non è mai un fatto individuale. E’ lo strumento per sottrarci alla mercificazione di qualunque bene della vita. E per convivere pur essendo dei perfetti estranei. E’ essere consapevoli e quindi non credere a chi ci dice che risolverà miracolosamente i nostri problemi. Senza, la democrazia sarebbe puro calcolo dei voti”.
E qui il professore approfondisce il rapporto tra cultura e democrazia. “Si dice che la società si fonda su economia, politica e cultura. Nelle società ben ordinate queste coesistono in relativa indipendenza, mentre nei regimi totalitari chi governa ha in mano economia e cultura. Il dominio dell’economia comporta il regno della sopraffazione, in cui il più grosso mangia il più piccolo. Se prevale la politica la comunità viene divisa in potenti e impotenti. Solo la cultura garantisce coesione, ma è debole perché non ha la forza delle armi e del potere”.
E su questa debolezza riprende il discorso di Montanari. “Il rischio della sudditanza, per la cultura, esiste. Regalare Piazza del Plebiscito alla festa della Nutella o piazza della Signoria alla Ferrari significa assoggettarsi alla dittatura commerciale. Questo non danneggia il passato ma il nostro futuro”. Montanari, però, non vuole passare per un integralista. “Una valorizzazione sostenibile della dimensione culturale esiste”, dice. E cita un caso napoletano: le catacombe del rione Sanità affidate a una cooperativa sociale.
Anche per Zagrebelsky il confine è sottile. Il professore cita un esempio torinese. “Nella mia città abbiamo un’università che fa gola a interessi privati. Un giorno ho scoperto che nell’aula Norberto Bobbio si stavano svolgendo le riprese di Littizzetto che partoriva per uno sceneggiato. La domanda è: questo è lecito? Lo è se, come mi ha spiegato il rettore, quei soldi servono a salvare la biblioteca?”. Zagrebelsky non si fa illusioni: “Il mecenatismo disinteressato non è mai esistito. Bisogna fare i conti con interessi speculativi, ma il mondo della cultura deve avere le energie per farsi valere”.
Insomma, l’equilibrio tra indipendenza e sudditanza della cultura è precario. Ma entrambi i protagonisti del dialogo pensano che sia una sfida possibile. “Gli storici dell’arte non hanno lavorato per essere popolari, ma se il discorso culturale è accessibile ma serio, trova un suo pubblico”, dice Montanari. Mentre Zagrebelsky chiude rivolgendosi alla politica: “Chi sottovaluta il problema della scuola o della formazione degli insegnanti ha un atteggiamento criminale sul piano democratico”. E infine: “A cosa vale la vita se non lasceremo nulla nel momento in cui spariremo? Questo lascito è, per appunto, cultura”.

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