Rosamaria Maggio
Ho visitato di recente la mostra dei Giganti di Monte Prama al Museo archeologico di Cagliari. Queste grandi sculture calcaree, risalenti probabilmente all’età del Bronzo, ci raccontano, certo tra mille incertezze, di un popolo, quello, nuragico che viveva in una realtà globalizzata. Si ipotizza infatti che gli scultori non fossero nuragici, ma specialisti provenienti da altri territori dell’area del Mediterraneo, probabilmente da oriente. Siamo quindi anche storicamente una terra di accoglienza e di diversità culturali.
La sfida principale consiste quindi nel proporre una visione coerente della diversità culturale e nell’individuare le condizioni grazie alle quali essa, lungi dall’essere una minaccia, può divenire vantaggiosa per l’azione della comunità internazionale.
Nel rapporto mondiale dell’Unesco per la diversità culturale nel 2010, si sostiene che, è profonda convinzione dell’organizzazione la necessità ed il valore “della feconda diversità delle culture del mondo”. In relazione alle politiche educative, si sostiene che esse hanno una incidenza capitale sullo sviluppo o sul declino della diversità culturale. Esse devono oggi tendere a far acquisire competenze interculturali che consentano di vivere insieme alle differenze culturali. Un programma pedagogico determinato da processi di apprendimento e da contenuti standardizzati – un approccio per così dire “unico” – non può rispondere, in alcun modo, ai bisogni di tutti gli apprendenti.
Ciò presuppone che vengano elaborati percorsi didattici multiculturali e multilingue basati sulla molteplicità delle voci e dei punti di vista, ispirati alle storie e alle culture di tutti i gruppi della società. Tale approccio, sensibile alla diversità degli apprendenti, dovrebbe prevedere anche misure speciali per raggiungere i gruppi vulnerabili e marginalizzati e per migliorare gli ambienti scolastici ed educativi, soprattutto nel caso delle bambine, allo scopo finale di contribuire al rafforzamento dell’autonomia grazie alla promozione dei diritti dell’uomo, lo sviluppo del senso civico e democratico e la promozione dello sviluppo sostenibile. Tali sono gli scopi verso cui deve tendere l’educazione.
La promozione del diritto all’educazione, come è stato ribadito nei principi dell’Educazione per tutti (EPT), e l’attenzione per la protezione e il rafforzamento della diversità culturale pongono il pluralismo al centro delle attese di cui è oggetto l’educazione, e questo malgrado la tendenza dei sistemi educativi alla standardizzazione.
Guardando poi il nostro approccio istituzionale, le Linee Guida per l’integrazione degli alunni stranieri emanate nello scorso mese di Febbraio 2014, fanno riferimento all’aumento dei alunni di origine straniera anche nati in Italia, al fatto che il MIUR dal 2007/08 monitorizza queste presenze, al tasso di crescita tra le 60 e le 70 mila unità all’anno fra le quali occorre distinguere quegli studenti nati in Italia da genitori stranieri e quelli invece nati nei loro paesi di origine. Esse affrontano il problema del rapporto con le famiglie, della mancanza della cittadinanza, il diritto all’iscrizione anche nelle more della regolarizzazione del permesso di soggiorno, dei minori non accompagnati, dei rom, sinti, del numero di stranieri per classe, dei criteri di valutazione, dell’insegnamento dell’italiano L2,ecc.
Dal rapporto Eurydice 2009 sulla Integrazione scolastica dei bambini immigrati in Europa, dal mio punto di vista emerge che in Italia non esiste una vera e propria politica di sistema diretta a favorire l’integrazione dei bambini immigrati. A parte il limite del numero dei bambini stranieri per classe, sempre che questo limite venga osservato, le intese fra scuole per l’inserimento dei bambini nelle classi è una indicazione che resta nella carta, e sia l’insegnamento dell’italiano L2 che l’insegnamento della lingua madre, sono scelte rimesse alle iniziative delle scuole che devono fare i conti con le difficoltà economiche delle stesse.
Quanto alla presenza degli alunni stranieri in Sardegna, da una ricerca effettuata dal CIDi assieme all’AIMC , Lega ambiente e Proteo fare sapere sui dati del 2009, emerge che essi corrispondono nell’anno di riferimento all’1,6% degli alunni che frequentano la scuola statale nella regione e allo 0,6% del totale degli alunni stranieri in Italia.
Il totale degli alunni stranieri in Italia è del 7,3% ( 8,4% nel 2011/12), il che significa che la presenza degli alunni stranieri in Sardegna è molto al di sotto della media Italiana. Considerando poi anche il decremento demografico scolastico nel centro sud, possiamo dire che il fenomeno non ha in Sardegna dimensioni di difficile gestione. Il maggior numero di bambini stranieri si concentra nella scuola primaria (37,9%) con un dato comunque inferiore alla media nazionale del 39,8%. La Sardegna è indicata fra i territori che hanno meno di 5mila alunni non italiani( rapporto CNI Quaderni ISMU Iniz. E studi sulla multietnicità 2013 a.sc 2011/13)
Negli ultimi anni la presenza di studenti stranieri sta aumendo nella regione ovviamente anche alle superiori. Dati questi confermati anche dal Servizio Statistico del MIUR pubblicato nell’ottobre 2012.
Se poi si guardano i risultati di apprendimento, in termini di abbandono scolastico risulta che la Sardegna nel 2009 aveva un 22 % di abbandoni, livello che nel 2012 aumenta al 25,5 %, molto al di sopra dell’obiettivo di Europa 2020 che è del 10% .
Anche il dato sui Neet ci indica una Sardegna con percentuali del 27, 4% nel 2009 che arriva al 28,4% nel 2012. Il che sicuramente equivale a dire che questa fetta di popolazione scolastica non comprende solo gli stranieri
Quanto ai risultati Invalsi la regione Sardegna si conferma con risultati al di sotto della media nazionale sia nella scuola primaria che in quella secondaria di I grado, quelli Pirls in Literacy in lettura, sono prevalentemente positivi mentre quelli TIMSS in matematica e scienze sono negativi, come pure quelli Ocse -Pisa.
Rispetto agli stranieri il dato in nostro possesso come si evince nei quaderni ISMU (studi sulla Multiculturalità del MIUR 2013) per il 2011/12 risulta che il 39,5% degli stranieri sono in ritardo scolastico a fronte di un 10,7 % degli italiani. Quindi gli italiani sono in ritardo un caso su 10 e fra gli stranieri 4 su 10.
Quanto ai risultati gli stranieri raggiungono risultati mediamente più bassi degli alunni italiani sia in italiano che in matematica sia nelle indagini Invalsi che nel PISA OCSE.
Se si guardano i risultati per aree territoriali risulta che le distanze si riducono nel sud e isole fino addirittura in alcune scuole secondarie di I grado i risultati sono addirittura migliori fra gli strsnieri piuttosto che fra gli italiani. Infine per quanto riguarda le ripetenze la Sardegna ha tassi elevati di ripetenze degli alunni stranieri sia nelle primarie (3%) che nella secondaria di I grado al di sopra della media nazionale (10,3%), mentre nelle superiori i tassi di ripetenza scendono nel sud ed anche in Sardegna.
Questi dati confermano quindi che mettendo in relazione numero degli stranieri e risultati , certamente le modeste performance dei nostri alunni non sono legati alla presenza degli stranieri nelle scuole dell’isola.
Al contrario se invece si ragiona sulle difficoltà degli studenti stranieri nelle scuole sarde, è incontestabile la difficoltà di integrazione che vivono questi studenti presenti nelle nostre scuole con una diversità di tipologie, sia per la diversa provenienza geografica, in una stessa classe possono esserci cinesi piuttosto che filippini e marocchini, in numero molto diverso da classe a classe o da scuola a scuola a seconda che la scuola sia situata in zona ad alta intensità di immigrazione.
Gli insegnanti si trovano ad affrontare situazioni le più diverse a seconda dell’ordine e grado di scuola , a seconda del numero dei bambini stranieri presenti in classe, e della stessa provenienza linguistica. Diverso è avere 3 filippini (la maggiore provenienza in Sardegna assieme ai romeni), piuttosto che 3 marocchini o 3 cinesi. Diverso è ancora avere in classe bambini di madrelingua tutte diverse.
Solo raramente le scuole sono in grado di fornire l’insegnamento dell’italiano L2. Ancora più raro è prevedere l’insegnamento della e nella lingua madre.
Le competenze linguistiche sono evidentemente la condizione per l’apprendimento .
Ancora è notorio che la norma dovrebbe essere quello di apprendere nella lingua madre o in mancanza, di essere messi in condizione di apprendere velocemente la lingua del paese ospitante.
Ciò che positivamente fa la scuola italiana e quindi anche la scuola in Sardegna è l’ inserimento dell’alunno nel gruppo classe, condizione che favorirà l’apprendimento dell’italiano L2 , ma è evidente che ciò non sia sufficiente.
Per il resto anche un percorso personalizzato che però entra in rotta di collisione con un sistema di valutazione standardizzato, fondato sull’attribuzione di voti sin dalla scuola primaria, non favorirà certo il successo scolastico così’ come non sempre lo favorisce per gli studenti di cittadinanza italiana.
Che fare?
Se da un lato è indispensabile investire anche nella formazione dei docenti per prepararli a questa nuova sfida che è destinata in generale a vedere un aumento della presenza di bambini stranieri anche per le nuove forme di famiglie miste ecc., non si può prescindere da un maggior investimento nelle politiche educative destinate all’integrazione , che passi attraverso la previsione delle figure dei mediatori culturali da prevedere come presenze sistemiche almeno per reti di scuole anche per favorire il rapporto con le famiglie, la possibilità sempre sistemica, con la dotazione di un fondo ad hoc, per la programmazione di corsi di rinforzo linguistico per l’italiano L2, della possibilità, magari con un organico funzionale, di predisporre compresenze, lavori per gruppi di livello, possibilità di lavorare per gruppi in classe. ecc.
Ma forse in tempi di austerità si tratta di utopie!!
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