Gianni Marilotti
Con questo articolo Gianni Marilotti, scrittore, premio Calvino 2003, militante storico della sinistra e dei movimenti, inizia la collaborazione con Democraziaoggi. Dell’ultimo romanzo di Gianni Marilotti, L’errore (Il Maestrale), fresco di stampa, abbiamo pubblicato nei giorni scorsi una recensione di Gianna Lai.
A trent’anni dalla morte sono in molti, forse troppi e più spesso a sproposito, a rivendicare l’eredità di Enrico Berlinguer. In un paese come il nostro in cui pare dominare il “pensiero corto”, privo di una reale dimensione storica, può succedere che uno degli ultimi segretari dei DS, partito nato dalle ceneri del PCI-PDS, nonché fondatore del PD, Valter Veltroni, possa dichiarare senza contraddittorio che lui si è iscritto al PCI da non comunista, proprio negli anni in cui era leader Enrico Berlinguer, dando per intendere, e per scontato,che quel partito all’epoca non era più comunista. A seguire, una insopportabile pletora di giovani rampanti del Pd che si appropriano della figura di Berlinguer, senza probabilmente averne conosciuto nemmeno la biografia, rivendicando senza vergogna una continuità ideale tra il PCI berlingueriano e il PD di Renzi.
Non sorprende che nel dibattito politico ridotto a tifo da stadio, nei talk show televisivi così come nelle piazze, anche i grillini per contestare quell’indebita appropriazione inneggino al leader comunista, trasformandolo in una specie di antesignano della rete.
Sia concesso anche a me di dire la mia.
Parlare di Enrico Berlinguer mi riporta agli anni giovanili, gli anni ’70, gli anni della contestazione, del ribellismo; a quel movimento contestatario, ricco di fermenti, ma anche di esagerazioni ideologiche sfociate poi, in parte, negli anni di piombo. In quegli anni Berlinguer veniva visto da una parte non piccola del movimento giovanile come un avversario. Anch’io lo vedevo così, dunque volentieri oggi, a distanza di tanto tempo, tempo nel quale sono cresciuto e sono diventato “più saggio” e riflessivo, posso rivedere i giudizi tranchant espressi allora.
Berlinguer, al pari di Luciano Lama, suo equivalente sulla sponda sindacale, ci apparivano troppo moderati e il “compromesso storico” un cedimento nei confronti della Democrazia Cristiana, il partito-Stato da sconfiggere.
Non capimmo, non capii, il senso di quella proposta politica che, vista alla luce dell’evoluzione storica e della situazione attuale, appare oggi una proposta seria, realistica anche se allora di difficile realizzazione per le resistenze interne ed internazionali. Essa riprendeva la lezione di Gramsci sulla questione cattolica e la aggiornava secondo gli arricchimenti di Togliatti sul partito nuovo e la via nazionale al socialismo.
Berlinguer è stato uno degli artefici dell’unità nazionale, della coesione nazionale, in una fase storica caratterizzata da uno scontro acuto tra le due superpotenze per l’egemonia planetaria e da forti ripercussioni di quello scontro sul piano interno, mi riferisco ai tentativi golpisi, alla stagione delle stragi, alla collusione politica-mafia e poi politica-affari coll’esplodere della questione morale.
La biografia di Berlinguer, tutta politica, è lì a testimoniare di un costante impegno a favore delle classi subalterne per una coesione nazionale di fronte alla crisi economica (AUSTERITA’), di fronte allo scontro sociale (intesa tra le parti sociali e redistribuzione della ricchezza), di fronte al terrorismo (solidarietà nazionale) che ci han fatto superare momenti drammatici.
Ed è stato con profonda tristezza che ho ascoltato il discorso di Napolitano al Teatro Lirico di Cagliari in occasione delle celebrazioni per i 150° dell’unità d’Italia, soprattutto per le omissioni. Nel citare i sardi che hanno contribuito all’unità nazionale Berlinguer non figurava: Gramsci, Lussu, Grazia Deledda, Renzo Laconi; perfino Girolamo Sotgiu e Umberto Cardia. Enrico Berlinguer no! Il presidente Napolitano poteva e doveva essere più generoso nei confronti di un suo avversario politico interno al PCI, tenuto conto del fatto che la sorte, così avara di soddisfazioni con Berlinguer, è stata invece così prodiga con lui e, soprattutto, del fatto che senza la direzione politica di Berlinguer ben difficilmente Napolitano sarebbe mai potuto diventare Presidente della Repubblica.
Oggi io guardo con profondo rispetto alla figura di Enrico Berlinguer. Le mie esperienze politiche maturate nei movimenti non strutturati e il mio attuale impegno indipendentista, mi porterebbero lontano dalla figura di un leader come Berlinguer, eppure, pur da una certa distanza, non posso che provare un senso di empatia nei confronti di un segretario atipico, schivo, ma molto efficace che non tardò a farsi amare da tanti. Certo fu uomo della nomenklatura, non certamente un dirigente di massa, tutto dedito alla vita di partito. Ma il suo stile, la sua onestà intellettuale, la sua coerente ostinazione fanno di lui una delle migliori figure di questa disastrata Italia. E fa veramente specie sentire commenti su di lui da personaggi che ne rappresentano la più assoluta negazione.
Raccontano le biografie che la casa di Berlinguer era frequentata solo dagli intimi, che evitava i ristoranti frequentati da politici e personaggi della tv, che rifuggiva le terrazze romane radical-chic mete preferite di tanta sinistra, che non andava alle prime di gala teatrali o cinematografiche. Unica concessione lo stadio Olimpico a vedere le partite, ci andava con Ignazio Pirastu, ed era tifoso del Cagliari, lui, sassarese.
Quale distanza siderale dalle tante sirene di oggi!
Austerità, questione morale, critica del sistema capitalistico, partito nuovo, stile di vita sobrio. Questo il lascito ereditario di Enrico Berlinguer. Chi può legittimamente rivendicare questo lascito? L’Ulivo? Il PD? Il Movimento 5 stelle? Una sinistra ormai in caduta libera? Papa Francesco?
O chiunque si impegni, in Italia o in Sardegna, nella ricerca di un sistema di produzione non basato sui consumi di massa ma sul rispetto dell’ambiente e su una dimensione sociale ed umana del vivere?
3 commenti
1 francesco Cocco
9 Giugno 2014 - 08:45
Concordo totalmente con la riflessione di Gianni Marilotti: Enrico Berlinguer aveva ben compreso la deriva della “sinistra”, che poi ha consentito l’affermarsi del berlusconismo: . Una dei suoi lasciti di pensiero più importanti è sia quello della “questione morale” che quello dell’ “austerità”. Quest’ultima categoria mi sono permesso di richiamarla anche in questo blog, e mi son preso critiche a non finire da tanti “compagni”. Berlinguer aveva capito la necessità di sviluppare i consumi sociali (scuola, cultura, paesaggio, territorio etc) diversamente il consumismo di stampo capitalistico ci avrebbe portato allo sfascio, come poi ci ha portato allo sfascio. La sinistra ha finito per optare per il il consumismo privatistico e così ha virato per una visione che coincide con certa visione berlusconiana.
2 Davide Marino
11 Giugno 2014 - 11:13
Complimenti a Gianni Marilotti per questa osservazione ben sviluppata. Nonostante sia giovane, conosco Berlinguer per averlo studiato a scuola e per averlo sentito nominare in televisione, e anche se non mi trovo totalmente d’accordo con alcune sue idee credo e sono convinto che ad un personaggio politico capace di dar voce ad una classe operaia, che non veniva forse rappresentata in modo corretto, sia giusto concedere un ricordo e un ringraziamento: perchè senza il compromesso storico e senza gli anni della contestazione forse adesso saremmo messi ancora peggio.
3 Francesco Ratto
12 Giugno 2014 - 11:57
Personalmente mi sembra che l’autoproclamarsi successore di Berlinguer sia un atto di consumismo intellettuale mirato al raggiungimento del consenso degli elettori più superficiali che non ha niente a che vedere con la sua politica fatta di proposte concrete. Viene quindi da chiedersi non solo a chi spetti l’eredità di Berlinguer ma anche se l’attuale situazione italiana consenta di emergere a personaggi come lui.
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