Gonario Francesco Sedda
I sondaggisti sbagliano spesso. I casi in cui la loro credibilità ha subito un fortissimo scossone sono molti di più di quelli in cui ne è stata confermata e/o rafforzata. Eppure di “sondaggismo” si vive nel quotidiano chiacchiericcio politico che coinvolge quasi tutti. Il sondaggismo è la malattia senile della politica.
Troppo spesso i sondaggisti sono “operatori ubriachi di ideologia” che, invece di offrire ulteriori dati per migliorare le analisi politiche, pretendono di renderle inutili. Ma, nonostante la statistica (e le sue rappresentazioni), non si sono allontanati molto dagli antichi sacerdoti (aruspici) che cercavano di indovinare il futuro esaminando le viscere delle vittime sacrificali.
Perché mai, se i sondaggisti hanno perso credibilità aruspicando (pronosticando) i risultati elettorali, dovrebbero ridiventare credibili subito dopo le elezioni quando ci scodellano le loro analisi dei flussi elettorali? Certo tutto dovrebbe essere più chiaro “a bocce ferme”. E invece no. Anche le “analisi” del dopo sono divergenti. Al mercato degli aruspici si può sempre scegliere: il giornalista o il politico pigro può prendere ciò che gli serve secondo il suo orientamento ideologico. Così nelle ultime elezioni europee del 25 maggio 2014, secondo l’istituto SWG verrebbe confermato il carattere ormai “liquido” di un elettorato che si muoverebbe in tutte le direzioni senza più remore. In quella condizione favorevole Matteo Renzi avrebbe finalmente trasformato il PD in “partito pigliatutto” capace non solo di dimezzare una forza vicina come SCELTA CIVICA (con 1.270.000 voti acquisiti), ma di erodere fortemente anche il M5S (con un saldo di 740.000 voti acquisiti). Meno importante, anche se non trascurabile, l’apporto di voti provenienti dal PDL_FI (con un saldo di 410.000) e addirittura leggermente negativo il saldo nello scambio di voti nell’area dell’astensione (-260.000).
Secondo l’Istituto Cattaneo sono tre i flussi che spiccano nell’analisi. «Il primo flusso di voti dominante è quello da Scelta civica al Partito democratico … [con] uno svuotamento dell’area della coalizione, che faceva capo a Mario Monti nel 2013, a quasi totale favore del Pd. Il secondo flusso altrettanto chiaro ed evidente è quello che conduce voti dal Movimento 5 stelle all’astensione. Il terzo flusso è quello che porta voti dal Pdl all’astensione». Oltre che nello svuotamento di SCELTA CIVICA, «la forza del Pd sta nell’aver saputo mantenere i propri consensi precedenti senza perderli sulla strada dell’astensione. […] La scarsa consistenza dell’apporto di ex-elettori del M5S e l’assenza di apporti di ex-elettori del Pdl mostra come l’impermeabilità tra gli schieramenti sia più resistente di quanto il dibattito politico di questi giorni sembra incline a sostenere».
Come si vede le “stime statistiche” non danno certezza scientifica all’analisi del voto. Ciò non nel senso banale che non danno “numeri esatti” (infatti si tratta di “stime” con un margine di incertezza), ma nel senso che danno risultati divergenti. Alla fine e troppo spesso i sondaggisti non fanno altro che “riproporre/rilanciare” opinioni già presenti nel dibattito politico.
Per parte mia avevo osservato [Democrazia Oggi, La vittoria di Renzi e il cambio del cavallo] che, essendo i voti in movimento oltre nove milioni, non era possibile stabilire un rapporto preciso con il successo del PD. Ma richiamavo all’attenzione il fatto «che i voti persi dalla sola SCELTA CIVICA nell’ultimo anno [erano] in numero superiore a quelli guadagnati dal PD nello stesso periodo». Analizzavo i dati elettorali il 26 maggio secondo la mia esperienza e cultura politica, che confermavano la mia convinzione che l’elettorato non era ancora prevalentemente “liquido” e che vi era ancora una relativa impermeabilità tra gli schieramenti, tale da farmi pensare che sono i simili ad attrarsi: SCELTA CIVICA e PD.
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