Gianna Lai
“Taglia taglia e la scuola raglia”, perché è la politica del governo a produrre asini con i suoi no all’istruzione pubblica.
Da tempo non si vedeva in città una partecipazione così ampia e spontanea, come quella del 30 ottobre alla manifestazione regionale organizzata dai sindacati confederali per la difesa della scuola pubblica. Fin dalle otto del mattino le vie del centro sono state invase da centinaia di ragazze e ragazzi con le bandiere e gli striscioni delle loro scuole, che già sfilavano per le vie adiacenti la piazza Garibaldi mentre si preparavano a partire in corteo migliaia di persone provenienti da tutti i centri della Sardegna. In 20 mila hanno attraversato Cagliari, tra bambini della scuola elementare e media, studenti, docenti e ricercatori delle superiori e dell’Università, genitori, e gente qualunque, uniti per la scuola di tutti, convinti che contro il decreto Gelmini appena approvato i cittadini debbano prendere la parola.
E il corteo colpiva per la varietà dei partecipanti, tutte le categorie erano rappresentate, e la vivacità dei giovani, dei loro slogan che rimandavano sempre alla volontà di contrastare una politica iniqua contro i più deboli, di indignarsi per la morte annunciata della scuola pubblica, dell’Università e della ricerca, il cui funerale era aperto da quattro docenti vestiti a lutto.
Lo sciopero nazionale di protesta era molto atteso nelle scuole, e non importa se qualche sindacato sia stato tirato per i capelli a decidere in favore della manifestazione cittadina pure in una giornata festiva per Cagliari. Infatti molti istituti superiori sono in agitazione da qualche giorno contro i tagli ai finanziamenti, alle ore di lezione, e il licenziamento di oltre 80 mila docenti; nelle scuole elementari insegnanti e genitori presidiano i locali per opporsi all’introduzione del maestro unico e all’abolizione del tempo pieno, mentre l’Università svolge lezioni in piazza contro i tagli alla ricerca e perché non vuole diventare Fondazione, ente cioè di diritto privato.
Dappertutto si preparano iniziative e dibattiti che mettano in collegamento tra loro studenti e lavoratori della scuola in lotta anche contro il precariato, e per questo alle assemblee degli istituti superiori gli studenti chiamano a partecipare gli universitari, i quali spiegano come sia impegnativo prendere una laurea in mezzo a tante restrizioni, che di fatto vanificano il diritto allo studio sancito dalla Costituzione e, ancor più, trovare un lavoro che consenta di mettere a frutto le proprie conoscenze.
Speriamo che la manifestazione del 30 sia servita a stringere ancora nuovi questi rapporti, perché la strada da fare tutti insieme sembra molto lunga, con scadenze immediate, prima fra tutte lo sciopero dell’Università del 14 novembre. Quello che conta è saldare gli interessi degli studenti e dei lavoratori della scuola, alle forme di protesta delle altre categorie impegnate in queste settimane in vertenze col governo, dal pubblico impiego ai metalmeccanici.
Perché l’istruzione pubblica si salva e può svolgere la funzione di mobilità sociale che la Costituzione le attribuisce, se la cultura della scuola esce dalle aule scolastiche per investire la società tutta, combattendo contro la prospettiva di un’Italia povera, priva di welfare, che si deve accontentare di una scuola povera perché destinata solo a pochi: Confindustria e gerarchie ecclesiastiche sono molto chiare a questo proposito, quando dicono che deve sparire ogni differenza fra pubblico e privato, e la scuola privata deve essa stessa considerarsi pubblica.
Crediamo di sicuro che la manifestazione del 30 sia servita a chiarire che ogni forma di minaccia e di intimidazione, del ministro, del capo del governo nei confronti degli studenti che svolgono assemblee nelle scuole, vada respinta: pretendere di impedire con questi mezzi lo scontro sociale, ricorrendo anche alle provocazioni, come è avvenuto a Roma, è impossibile e irresponsabile. E il movimento spontaneo che si sta creando nella scuola italiana in queste settimane dimostra di nuovo che scioperi e manifestazioni di piazza, rivendicazioni dei lavoratori e rappresentanza sindacale, sono il progresso dell’Italia repubblicana, e ne rafforzano la democrazia contribuendo all’emancipazione delle classi popolari. Già, perché se c’è qualcuno che vuole meno scuola, meno docenti, meno ore di insegnamento in classe, meno tempo pieno, meno intervento pubblico, insomma meno studio, quello è proprio il ministro.
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