1° Maggio: il lavoro decide il futuro anche in Sardegna

1 Maggio 2014
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 Gianna Lai 

1° maggio, festa del lavoro. Il lavoro decide il futuro della Sardegna nella relazione introdottiva all’ultimo Congresso regionale della CGIL.

C’è nell’intervento di Michele Carrus al XIII Congresso della Cgil sarda, le scorse settimane, presso1 l’Hotel Regina Margherita, lo sguardo diretto e attento ai problemi gravi della Sardegna, e insieme la preoccupazione che viene da un contesto così difficile da decifrare, per chi vuole costruire il futuro dell’Isola. Lavoro e progresso e ‘valore della solidarietà su cui si impernia il senso della confederalità’, e se c’è un disorientamento generale e una crisi di valori che non trova risposte nella società del nostro tempo, così ingiusta nei confronti dei più deboli, è perchè la finanza del mondo globalizzato mette in discussione l’autonomia degli Stati, cui la  politica dovrebbe invece restituire forza e autorevolezza. Ma già in Sardegna la metà degli elettori non va a votare, in risposta a intollerabili privilegi di una rappresentanza che non rappresenta, responsabile anche di una legge elettorale di ampia intesa, particolarmente discriminatoria verso le minoranze e le donne. E’ il modo di entrare nel merito delle cose, del lavoro da fare subito, così come lo vede il Sindacato, che vuol dire recuperare al più presto i cinque anni di vuoto della programmazione Cappellacci, di un governo regionale sottomesso a Berlusconi, e segnato da inchieste giudiziarie su peculato e politica e affari. Assente un Piano socio assistenziale, col governo della Destra, un Piano dei trasporti, un Piano energetico regionale, e interventi per la metanizzazione del territorio, ha la meglio, invece, la speculazione del fotovoltaico e dell’eolico. E intanto le industrie sono in ginocchio, e si  impegnano ‘ingenti risorse  del Fondo sociale europeo’, senza tener in alcun conto il parere del Sindacato, come nel caso del Piano paesaggistico, costruito secondo le pretese dei cementificatori. E intanto è aumentato  il numero dei disoccupati nell’isola, e persiste il ricorso alla Cassa integrazione, e migliaia di giovani abbandonano i territori, e la povertà colpisce il 20% delle famiglie sarde. Non si sofferma, il Segretario, ad analizzare vertenze aperte in questo momento, rapporti con le aziende  e interventi del Sindacato dentro i luoghi della produzione, sembra l’intera Regione una vertenza aperta, che chiede interventi immediati per salvare i territori e le popolazioni. E chiede quindi all’attuale governo Pigliaru, la Cgil, il coinvolgimento delle rappresentanze sociali, e un intervento che garantisca investimenti e opere pubbliche, superando vincoli e patto di stabilità, in un territorio devastato da alluvioni, incuria e incendi. E propone un Piano del lavoro, per creare nuova occupazione e nuova formazione,  per ‘definire l’obiettivo’, si chè la  Sardegna non sia più quasi solo terziario, al 78% del Pil, appena intorno al 3% il primario, al 19% l’industria. Una buona politica industriale, per un sistema debole e periferico come il nostro, ‘puntando alla fase più avanzata dello sviluppo industriale’, con sapere e istruzione al centro, naturalmente. E una battaglia di civiltà a partire dal lavoro, la pubblica amministrazione come ‘presidio di democrazia’, per ricostruire un’Italia dei diritti, secondo gli intenti e lo spirito del Piano del lavoro della Cgil. Perchè  occupazione e  solidarietà non derivano dal mercato, semmai è il contrario, è il lavoro a incrementare reddito e ripresa. E la Cgil, che rappresenta milioni di lavoratori,  vuole ‘consolidare e espandere i diritti delle persone’, e con questa autorevolezza intende presentarsi anche al governo centrale. Per niente condizionata da ‘certe forme di dirigismo neoautoritario’, che si esplicano attraverso ‘un’ impostazione ideologica piuttosto antiquata’, sia nelle politiche del lavoro e nei provvedimenti sulla liberalizzazione dei contratti a termine, sia nella riduzione delle  tutele per gli apprendisti, che fanno venir meno i diritti e creano nuova precarietà. Restituire al lavoro la sua funzione di ‘pilastro della società’, ricostruendone l’unità, contro ogni forma di indebolimento e frammentazione,  che lo offende  e lo svilisce a rango di merce. E per una contrattazione  che ricomprenda tutte le aree, anche quelle del lavoro più debole e  precario. Queste  l’impegno della Cgil nel confronto col governo, un Sindacato che vuole ampliare la partecipazione a lavoratori e giovani  e studenti e  donne e migranti, e a tutti quelli  ancora privi di rappresentanza. Questo l’impegno con la nuova Giunta regionale in Sardegna, che si è subito dichiarata, durante il suo primo insediamento, per una politica dei sacrifici, ci pare non nuova in questi anni. Bisognerà vedere quanto le pressioni del Sindacato e dei lavoratori sapranno orientarne le scelte.
     
 

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