Andrea Pubusa
Stasera alle 18 nei locali dell’Hostel Marina - Scalette San Sepolcro 2/4 a Cagliari ricordiamo Nuto. Lo faremo in modo sobrio, come era lui. Parleremo della sua personalità. E non potremmo che enunciarne le virtù. Ma io voglio uscire dal coro e voglio parlarne anche male, bene e male. Non un ricordo di circostanza, dunque.
Delle sue virtù ricorderò anzitutto la coerenza. Nuto è vissuto da comunista e da comunista è morto. Un comunismo appreso da Gramsci nei libri e da Laconi e Berlinguer per conoscenza diretta. Sobrio come il segretario del PCI, come lui tenace fino all’inverosimile. Il comunismo di Nuto non era enunciato, proclamato e ancor meno gridato. Traspariva con naturalezza dalle sue parole e dai suoi comportamenti, dal suo rapporto con gli altri. Era così anche in Pintor. Mentre in altri compagni era un’acquisizione cerebrale. Questa sua indole lo portava ad una altrettanto naturale attenzione per gli altri, alla solidarietà. E così era per l’uguaglianza. L’operaio o il giovane praticante-avvocato alle primi armi con Nuto istintivamente, dopo un attimo di perplessità, parlava e trattava come con un suo fratello od amico.
In politica, non solo la coerenza lo rendeva unico. Era la sua chiarezza nell’individuare il problema e nell’indicare le soluzioni a destare interesse per i suoi interventi fatti di poche parole. L’unico a eguagliarlo in questa dote era Cenzino Defraia, altro indimenticabile compagno di quel gruppo eccezionale che fu Il Manifesto di Cagliari. I suoi interventi poi erano poco frequenti. Parlava solo se e quando lo stato della discussione lo richiedeva. Mai per ripetere concetti acquisiti. Solo per dare un contributo utile al dibattito.
Per tutte queste doti non comuni Nuto era amato senza riserve dai compagni e da chi aveva l’avventura di avere un rapporto con lui.
Ho promesso però di parlarne anche male. Ed allora ecco il suo grande difetto. Nuto aveva tutte le doti per essere un leader popolare, per rappresentare il popolo comunista e della sinistra nelle aule parlamentari e ai vertici del partito. Non lo fu per modestia, per il suo ritrarsi davanti a personaggi spesso molto al di sotto di lui. Dati i tempi che corrono, questa - voi direte - è una grande, grandissima virtù. No, compagni ed amici, permettetemi di dissentire. Chi ha quella tempra, quella propensione a lavorare per gli altri, quella capacità di suscitare fiducia all’istante, quella onestà cristallina ha il dovere di farsi avanti. Deve proporsi per rappresentare le persone di cui interpreta aspirazioni e sentimenti. Lui si tirò indietro. E questo è stato un suo peccato imperdonabile. Nuto ha preferito dedicare la vita ai lavoratori su una trincea meno esposta ai riflettori e agli onori. Ha combattuto per la dignità e i diritti dei lavoratori nelle aule di giustizia. Un lavoro quotidiano duro, impegnativo, assorbente, che non faceva pagare mai ai lavoratori ma solo ai padroni, quando vinceva la causa (e ne vinceva molte). Non c’è mai stato un operaio discriminato, non pagato o licenziato, un poveraccio, che non abbia ricevuto da lui accoglienza e difesa. In questo suo campo di battaglia ha dato un luminoso esempio di professionalità, zelo, generosità.
Caro Nuto, sei proprio un bel tipo! Anche quando mi riprometto di parlar male di te, non posso che finire per fare l’opposto. Chi ha avuto l’avventura di incontrarti e conoscerti ha avuto un privilegio raro.
1 commento
1 T.D.
29 Aprile 2014 - 10:49
Nuto era un nobiluomo.
Non ti sembri infantile o irriverente se faccio un parallelo con i personaggi di una mia lontana passione letteraria giovanile romantica, di formazione, il ciclo dei “tre Moschettieri” di Alexandre Dumas.
Nuto poteva essere Athos, il quale ricordò (nel romanzo), al re Luigi XIV di appartenere a una casata nobiliare più antica della sua, ma rifiutò di stanziarsi a corte, a Versailles.
Noi siamo (stati) dei D’Artagnan, servitore dello Stato (noi della causa pubblica) e combattente spesso ingenuo.
Qualcuno un Porthos, gigante eroico e fiducioso, senza pretese di sottigliezza.
Nessuno finora un Aramis (che divenne generale dei Gesuiti e sopravvisse a tutti).
Peccato. Forse.
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