Red
Lo sciopero nazionale indetto dai sindacati confederali (Cgil, Cisl, Uil), Snals e Gilda il giorno dopo l’approvazione al Senato del decreto Gelmini, ha riempito le piazze di tutta Italia. Manifestazioni e cortei in molte città italiane. Gli universitari sono scesi in piazza per “rivendicare un sistema formativo pubblico e sul quale non si possono operare tagli così vistosi”. Oltre a Milano e Roma gli studenti medi e universitari sono stati al fianco dei lavoratori in sciopero anche ad Ancona, Cagliari, Catania, L’Aquila, Lecce, Palermo, Pavia e Torino.
A Cagliari è partito da Piazza Garibaldi il corteo degli studenti universitari, cui si sono uniti gli studenti delle scuole medie superiori, personale e docenti di ogni ordine e grado, i precari della ricerca. Erano ventimila in una manifestazione gioiosa e combattiva. La partecipazione ha sorpreso tutti anche i sindacati, che, non prevedendo una manifestazione così imponente, avevano sistemato il palco a metà della piazza Del Carmine, che invece è stata riempita completamente.
La protesta degli universitari e delle scuole superiori si è unita con quella delle scuole elementari e dei Cobas. A Roma al corteo erano un milione. I manifestanti hanno occupato i binari della stazione ferroviaria di Piazza Principe. A Bologna diverse migliaia di studenti medi e universitari si sono concentrati in piazza Nettuno e in piazza Maggiore. A Brescia i manifestanti hanno occupato la stazione ferroviaria. Stessa cosa a Firenze, dove un centinaio di manifestanti, tra studenti e aderenti ai centri sociali, ha occupato per circa mezz’ora alcuni binari a Campo di Marte, con alcuni momenti di tensione.
La giornata di lotta ha avuto una ampia adesione. Secondo i sindacati ha scioperato l’80% dei lavoratori della scuola. La cifra diffusa dal ministero della Pubblica istruzione è molto più bassa: ad incrociare le braccia sarebbe stato solo il 57,1%, pari a 258.152 dipendenti. “Le cifre del ministero sono sempre al ribasso ma anche prendendo il dato come vero sarebbe tra i più alti degli ultimi 20 anni”, ha commentato Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc Cgil.
Se l’opposizione al governo Berlusconi alcuni anni fa partì dalla mobilitazione a difesa dell’art. 18 e dello Statuto dei lavoratori sotto la guida del vero Cofferati (quello attuale è un clone mal riuscito), ora è nella scuola che si accende la scintilla che sembra voler incendiare la prateria. E ben lo ha capito il governo. Non a caso nei giorni scorsi allorché un Berlusconi manifestamente alterato aveva minacciato l’intervento delle forze dell’ordine contro gli studenti in lotta. Ed ieri ha rilanciato le sue provocazioni, anche, se per fortuna, solo a parole, deludendo per ora le aspettative e gli auspici di Kossiga. E così il Cavaliere, rientrando a Palazzo Chigi, ha subito commentato la manifestazione e lo sciopero generale della scuola: “Vedo una sinistra scandalosa che ha la capacità di rovesciare il vero e dire il contrario della verità”. E Maroni si è affrettato a minacciare: chi occupa la scuola sarà denunciato; “la continuità didattica sarà garantita”. Però ha precisato subito che, fin quì, non ricorrono i presupposti nemmeno per le denunce. “Finora il fenomeno delle occupazioni rientra in manifestazioni fisiologiche di dissenso” ha spiegato il Ministro. Ma farebbe bene a seguire il consiglio del buon Veltroni, il quale invita “il governo ad ascoltare questa protesta di chi nella scuola vive ogni giorno”. Il segretario del PD è particolarmente soddisfatto per la serenità nella quale si è svolta la giornata di mobilitazione, per il senso di responsabilità e per la capacità di tenere insieme i diversi soggetti del mondo della scuola. Certo è che dopo la grande manifestazione di domenica al Circo Massimo, quella di ieri è stata una giornata memorabile – come ha detto Epifani – che segna una imprevista intensificazione ed estensione dell’opposizione sociale al Governo.
1 commento
1 Giacomo Meloni/CSS
1 Novembre 2008 - 02:39
Leggevo con interesse l’esito di un sondaggio sul Corriere della Sera on-line di oggi 31/10/2008.Alla domanda se le ultime manifestazioni di Roma del PD al Circo Massimo e quella di CGIL/CISL/UIL/SNALS/GILDA E COBAS sulla Scuola abbiano o no favorito la risalita del PD nell’opinione pubblica,la maggioranza ha risposto NO per il 56,2% contro il 43,8% dei SI. Come dire che l’effetto manifestazioni non è sufficiente perchè la politica di sinistra ritorni a fare radici nei territori ed in mezzo alla gente.
Oggi però,davanti a centinaia di migliaia di giovani che scendono in piazza da protagonisti senza tutor nè politici nè sindacali,occorre riflettere seriamente.
Vi segnalo sul sito http://www.sardegna e lbertà un bellissimo articolo di Cristian Ribichesu dal titolo “Considerazioni di un insegnante” ed un mio commento sulla manifestazione del 30/10/2008 in Piazza Navona e il non intervento della Polizia,che,secondo testimoni oculari,ha lasciato fare a dei facinorosi che hanno bastonato gli studenti medi sotto lo sguardo indifferente della Polizia.
Questi gli articoli:
Questo discorso riassume il pensiero di molti colleghi insegnanti.
I docenti italiani non nascondono i dati o fanno cattiva informazione; noi siamo per l’informazione corretta e per l’informazione critica. Non nascondiamo il fatto che la Scuola italiana registri numerosi problemi, anzi, siamo convinti che serva un cambiamento, una vera riforma, e non neghiamo i dati registrati dagli indicatori OCSE e PISA, ma siamo assolutamente convinti, anche, del fatto che i dati debbano essere riportati integralmente e debbano saper essere interpretati. Purtroppo, non è accaduto questo e chi ci amministra ha deciso di praticare un cambiamento della Scuola operando solo verso una riduzione indiscriminata dei finanziamenti, indipendentemente dal vero miglioramento del sistema.
Ritornando ai dati OCSE PISA, se fossero stati analizzati e esposti correttamente, avrebbero dovuto indicare tre cose differenti che, in momenti diversi, genitori, operatori scolastici, studenti e tutte le persone preoccupate per la Scuola hanno ribadito, ma che è giusto ripetere, affinché anche gli altri italiani capiscano, vale a dire:
che la nostra Scuola primaria registra ottimi risultati in merito all’analisi e comprensione dei testi scritti e orali e che il grande buco con l’abbassamento dei livelli qualitativi si ha nella Scuola secondaria, iniziando da quella di primo grado, ma che questi risultati indicano chiaramente che esiste una Scuola italiana secondaria a due velocità, con un Nord agli stessi livelli degli altri Paesi OCSE e con, invece, notevoli problemi nel Sud.
Allora, questo tipo d’interpretazione dei dati avrebbe dovuto portare il Governo a due considerazioni differenti:
primo, che se esiste una parte della Scuola, in questo caso quella primaria, che funziona, allora questa non deve essere cambiata, perché se il modulo italiano delle tre maestre che ruotano su due classi è un modulo virtuoso, allora saranno gli altri Paesi europei a guardare questa parte del nostro sistema per imitarlo (come già capita per la scuola elementare dell’Emilia Romagna); secondo, che, se i dati indicano maggiori problemi per i livelli qualitativi delle scuole secondarie del Sud, problemi legati anche al particolare contesto sociale del Meridione d’Italia, non è ammissibile adottare un cambiamento globale, quando, invece, sarebbe opportuno intervenire localmente nelle regioni del sud Italia, e non certo riducendo ulteriormente risorse e organici.
Noi non vogliamo criticare il decreto legge del ministro Gelmini facendone una questione di divisioni politiche, non ci interessa da chi e quando sono iniziati i problemi che hanno danneggiato il sistema scolastico italiano, noi vogliamo contestare nel merito e tecnicamente questa sorta di riforma, e la trasversalità della protesta è un dato di fatto che dovrebbe far riflettere tutti gli amministratori. Allora, entrando nel merito, noi contestiamo la riforma sotto diversi punti di vista: didattico-pedagogico; sociale e economico. Infatti, non è ammissibile pensare di migliorare il sistema eliminando gli insegnanti specializzati di lingua inglese alle scuole primarie, sostituendoli con gli altri che, per l’insegnamento specifico della lingua straniera, dovranno seguire dei corsi da poche centinaia di ore. Così, non è ammissibile pensare di aumentare il livello della qualità delle lezioni aumentando progressivamente il numero di alunni per classe, dato che numerose sperimentazioni, americane (sperimentazione STAR) e europee, hanno dimostrato che con classi di pochi alunni questi migliorano i livelli qualitativi d’apprendimento, addirittura in maniera esponenziale per gli alunni provenienti dai contesti sociali peggiori.
Ritornando alla correttezza dell’informazione, in merito alla didattica, vogliamo ricordare, nuovamente, che il rapporto numerico tra insegnanti e alunni dell’Italia non è differente da quello di altri Paesi europei, dato che in quel rapporto compaiono anche figure d’insegnanti che in altri Stati vengono pagati da altri ministeri, come compaiono anche gli spezzoni di cattedre, e come, infine, sia un rapporto che, per l’Italia, debba considerare l’alta percentuale di piccole realtà locali, che per il nostro Paese rappresentano una ricchezza sociale e culturale, non certo luoghi da mortificare con la chiusura dei plessi scolastici. Infatti, in queste piccole realtà, che sono soggette allo spopolamento, e che invece la nazione dovrebbe tutelare, le scuole hanno pochi alunni, ma queste scuole devono esistere come servizio, che deve offrire lo Stato a cittadini che non possono essere diversi dagli altri, e come ricchezza per questi stessi piccoli paesi. Poi, però, davanti alle situazioni di queste zone, non si considera che nelle realtà urbane più grandi esistono già classi con trenta o più alunni, situazioni difficili in cui è fisiologico l’abbassamento del livello delle lezioni, situazioni che dovrebbero portare al ragionamento su un sistema dell’Istruzione che, preservando e difendendo le scuole dei piccoli centri, imponga comunque un tetto massimo di alunni per classe che scenda ben al di sotto dei trenta scolari, esattamente il contrario della riforma.
Ma noi contestiamo questa riforma anche dal punto di vista sociale e economico. In Italia i soldi per l’istruzione sono andati diminuendo, in proporzione al PIL, dal 1990 fino a oggi (rivista TUTTOSCUOLA), proprio in uno dei settori nevralgici per la ricrescita del Paese. Noi sappiamo che esistono gli sprechi, e certo vogliamo combatterli, ma non è ammissibile pensare di tagliare oltre 133000 posti di lavoro, che, sebbene molti siano rappresentati da lavoratori a contratto, indipendentemente dalle disquisizioni semantiche, nella realtà si traducono in un aumento della disoccupazione, sulle spalle di famiglie e di colleghi che per anni hanno contribuito a portare avanti, in mezzo a mille difficoltà, il sistema dell’Istruzione. Sempre per fare corretta informazione, chiediamo che agli operatori scolastici e agli insegnanti sia riconosciuta la giusta importanza, sociale e economica, dato che, a fronte del nostro stipendio, che dal 1995 a oggi ha perso un potere d’acquisto del 21%, quello della media dei Paesi OCSE è nettamente superiore, e non è possibile considerare premialità dei piccoli risarcimenti che dovrebbero andare agli insegnanti che rimangono, badate bene nel 2012, e sulle spalle dei colleghi che perdono il posto, perché questa è una vera e propria cannibalizzazione. Sempre economicamente, contestiamo i tagli del Governo perché, in questo momento di particolare recessione economica, crediamo sconsiderato, fermamente, eliminare 133000 posti di lavoro nel pubblico impiego, perché questo rappresenterebbe necessariamente una minore circolazione monetaria nel mercato, con un aggravamento del sistema economico generale, e del Sud in particolare, data l’incidenza del pubblico in queste regioni. … Ma come si fa, infatti, a parlare di fiducia e misure a favore delle famiglie, quando si vogliono privare 133000 persone del proprio lavoro,… e non siamo noi a fare informazione sbagliata dato che, quando si vogliono far risultare le statistiche dell’occupazione, si considerano tra gli indicatori anche i lavoratori a contratto e invece, quando si decide di tagliare i lavoratori a contratto che non vengono riassunti, questi vengono considerati semplicemente come non occupati e non disoccupati?
Basta! Noi non alziamo la voce, ma il nostro tono è fermo e deciso e ribadiamo che come insegnanti siamo contrari alla riforma nel merito, perché per noi una riforma del sistema può avvenire solo con una consultazione degli stessi tecnici che operano nel settore, con un dialogo che rispetti i principi della Costituzione Italiana, e nello specifico l’uguaglianza sociale, il diritto al lavoro e all’istruzione. Non solo chiediamo questo, ma, concludendo, diciamo che non è possibile tagliare 133000 posti di lavoro nell’Istruzione per “risparmiare” 8 miliardi di euro, quando in Italia esistono 1000 miliardi di euro di beni delle mafie; vogliamo maggiore rispetto per le persone e chiediamo, inoltre, che si riinizi a parlare di moralità, di maggiore correttezza politica, di riduzione degli sprechi dove questi sono maggiori, di lotta al nepotismo e di riduzione di privilegi per i parlamentari.
Pubblicato in: Politica e società |
Un commento a “Considerazioni di un insegnante”
Giacomo Meloni/CSS scrive:
31 Ottobre 2008 alle 16:13
Debbo ringraziare Cristian Ribichesu per quanto ha critto il 28.10.2008 in “Considerazioni di un insegnante”.Purtroppo leggo il testo solo oggi e giuro che l’avrei utilizzato come volantino da distribuire durante la grande manifestazione di Cagliari che ha visto non solo gli studenti in piazza,ma complessivamente tutto il mondo della Scuola a partire dai numerosissimi giovani studenti delle scuole superiori e degli universitari,ma anche numerosissimi docenti e tantissimi genitori ed educatori senza bandiere.E’ stata una risposta democratica e pacifica a chi nel Governo e nel Parlamento ha creduto di poter e voler procedere per legge senza
ascoltare gli operatori della Scuola,i loro Rappresntanti e le stesse Autonomie Scolastiche e Università.
Difetto di comunicazione,come dichiara il Ministro on. La Russa che accusa i giovani di essere disinformati nel merito della Riforma o piuttosto prova di forza di un Governo e di una Maggioranza che pecca vistosamente di democrazia ? Che dire del Ministro on.Maroni che invoca la Magistratura per chi occupa le Scuole;eppure il buon Roberto si dovrebbe ricordare di quando- militante di Democrazia Proletaria- si professava per la conflittualità permanente e per la lotta ai baroni dell’Università occupando le Aule e i Rettorati di tutta Italia. Pentito? Non credo,ma sicuramente sensibile alla tirata d’orecchi del Presidente on.Cossiga,che forse anche il “compagno” Roberto in gioventù scriveva con la Kappa iniziale. Eppure il Presidente emerito, non potendogli negare il voto complessivo dato all’intera compagine del Governo Berlusconi,lo aveva volutamente fatto oggetto di un giudizio pesantemente negativo nella sua dichiarazione di voto.
Il Presidente Cossiga “cattivo maestro”? In questa occasione sicuramente si,perchè,per quanto abbia altri meriti tra i quali le sofferte dimissioni da Ministro dell’Interno all’epoca del caso Moro, non può, anche ironizzando sul “debole” Maroni, rilasciare un’intervista dove suggerisce veri e propri reati a danno dei manifestanti pacifici che, provocati da infiltrati, diventerebbero delinquenti da “massacrare di botte”.
Vorrei,se possibile,indicarvi la testimonianza di Curzio Maltese che riferisce dei disordini del 30 ottobre in Piazza Navona a Roma.Credo che al termine di questa lettura,non possano esserci dubbi,almeno sulla lezione del Presidente Cossiga,che ora può dare il suo 30 e lode all’alunno “pentito” on. Maroni.
Questo l’articolo di Curzio Maltese pubblicato su Indymedia Roma:
Un camion carico di spranghe e in piazza Navona. E’ stato il caos.
La rabbia di una prof: quelli picchiavano e gli agenti zitti
di CURZIO MALTESE
AVEVA l’aria di una mattina tranquilla nel centro di Roma. Nulla a che vedere con gli anni Settanta. Negozi aperti, comitive di turisti, il mercatino di Campo dè Fiori colmo di gente. Certo, c’era la manifestazione degli studenti a bloccare il traffico. “Ma ormai siamo abituati, va avanti da due settimane” sospira un vigile. Alle 11 si sentono le urla, in pochi minuti un’onda di ragazzini in fuga da Piazza Navona invade le bancarelle di Campo dè Fiori. Sono piccoli, quattordici anni al massimo, spaventati, paonazzi.
Davanti al Senato è partita la prima carica degli studenti di destra. Sono arrivati con un camion carico di spranghe e bastoni, misteriosamente ignorato dai cordoni di polizia. Si sono messi alla testa del corteo, menando cinghiate e bastonate intorno. Circondano un ragazzino di tredici o quattordici anni e lo riempiono di mazzate. La polizia, a due passi, non si
muove.
Sono una sessantina, hanno caschi e passamontagna, lunghi e grossi bastoni, spesso manici di picconi, ricoperti di adesivo nero e avvolti nei tricolori.
Urlano “Duce, duce”. “La scuola è bonificata”. Dicono di essere studenti del Blocco Studentesco, un piccolo movimento di destra. Hanno fra i venti e i trent’anni, ma quello che ha l’aria di essere il capo è uno sulla quarantina, con un berretto da baseball. Sono ben organizzati, da gruppo paramilitare, attaccano a ondate. Un’altra carica colpisce un gruppo di liceali del Virgilio, del liceo artistico De Chirico e dell’università di Roma Tre. Un ragazzino di un istituto tecnico, Alessandro, viene colpito
alla testa, cade e gli tirano calci. “Basta, basta, andiamo dalla polizia!” dicono le professoresse.
Seguo il drappello che si dirige davanti al Senato e incontra il funzionario capo. “Non potete stare fermi mentre picchiano i miei studenti!” protesta una signora coi capelli bianchi. Una studentessa alza la voce: “E ditelo che
li proteggete, che volete gli scontri!”. Il funzionario urla: “Impara l’educazione, bambina!”. La professoressa incalza: “Fate il vostro mestiere, fermate i violenti”. Risposta del funzionario: “Ma quelli che fanno violenza sono quelli di sinistra”. C’è un’insurrezione del drappello: “Di sinistra? Con le svastiche?”. La professoressa coi capelli bianchi esibisce un grande crocifisso che porta al collo: “Io sono cattolica. Insegno da 32 anni e non ho mai visto un’azione di violenza da parte dei miei studenti. C’è gente con le spranghe che picchia ragazzi indifesi. Che c’entra se sono di destra o di sinistra? È un reato e voi dovete intervenire”.
Il funzionario nel frattempo ha adocchiato una telecamera e il taccuino: “Io non ho mai detto: quelli sono di sinistra”. Monica, studentessa di Roma Tre: “Ma l’hanno appena sentito tutti! Chi crede d’essere, Berlusconi?”. “Lo vede
come rispondono?” mi dice Laura, di Economia. “Vogliono fare passare l’equazione studenti uguali facinorosi di sinistra”. La professoressa si chiama Rosa Raciti, insegna al liceo artistico De Chirico, è angosciata: “Mi sento responsabile. Non volevo venire, poi gli studenti mi hanno chiesto di accompagnarli. Massì, ho detto scherzando, che voi non sapete nemmeno dov’è
il Senato. Mi sembravano una buona cosa, finalmente parlano di problemi seri. Molti non erano mai stati in una manifestazione, mi sembrava un battesimo civile. Altro che civile! Era stato un corteo allegro, pacifico, finché non sono arrivati quelli con i caschi e i bastoni. Sotto gli occhi della polizia. Una cosa da far vomitare. Dovete scriverlo. Anche se, dico la verità, se non l’avessi visto, ma soltanto letto sul giornale, non ci avrei mai creduto”.
Alle undici e tre quarti partono altre urla davanti al Senato. Sta uscendo Francesco Cossiga. “È contento, eh?” gli urla in faccia un anziano professore. Lunedì scorso, il presidente emerito aveva dato la linea, in un intervista al Quotidiano Nazionale: “Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno (…) Infiltrare il movimento con agenti pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto della polizia. Le forze dell’ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti all’ospedale. Picchiare a sangue, tutti, anche i docenti che li fomentano. Magari non gli anziani, ma le maestre ragazzine sì”.
È quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli altri, negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un’azione singolare, esce dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. “Lei dove va?”. Realizzo di essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto. Mentre controlla il tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La battuta del poliziotto è memorabile: “Non li abbiamo notati”.
Dal gruppo dei funzionari parte un segnale. Un poliziotto fa a un altro: “Arrivano quei pezzi di merda di comunisti!”. L’altro risponde: “Allora si va in piazza a proteggere i nostri?”. “Sì, ma non subito”. Passa il vice questore: “Poche chiacchiere, giù le visiere!”. Calano le visiere e aspettano. Cinque minuti. Cinque minuti in cui in piazza accade il finimondo. Un gruppo di quattrocento di sinistra, misto di studenti della Sapienza e gente dei centri sociali, irrompe in piazza Navona e si dirige
contro il manipolo di Blocco Studentesco, concentrato in fondo alla piazza.
Nel percorso prendono le sedie e i tavolini dei bar, che abbassano le saracinesche, e li scagliano contro quelli di destra.
Soltanto a questo punto, dopo cinque minuti di botte, e cinque minuti di scontri non sono pochi, s’affaccia la polizia. Fa cordone intorno ai sessanta di Blocco Studentesco, respinge l’assalto degli studenti di sinistra. Alla fine ferma una quindicina di neofascisti, che stavano riprendendo a sprangare i ragazzi a tiro. Un gruppo di studenti s’avvicina ai poliziotti per chiedere ragione dello strano comportamento. Hanno le braccia alzate, non hanno né caschi né bottiglie. Il primo studente,
Stefano, uno dell’Onda di scienze politiche, viene colpito con una manganellata alla nuca (finirà in ospedale) e la pacifica protesta si ritrae.
A mezzogiorno e mezzo sul campo di battaglia sono rimasti due ragazzini con la testa fra le mani, sporche di sangue, sedie sfasciate, un tavolino zoppo e un grande Pinocchio di legno senza più una gamba, preso dalla vetrina di un negozio di giocattoli e usato come arma. Duccio, uno studente di Fisica che ho conosciuto all’occupazione, s’aggira teso alla ricerca del fratello più piccolo. “Mi sa che è finita, oggi è finita. E se non oggi, domani. Hai voglia a organizzare proteste pacifiche, a farti venire idee, le lezioni in piazza, le fiaccolate, i sit in da figli dei fiori. Hai voglia a rifiutare le strumentalizzazioni politiche, a voler ragionare sulle cose concrete. Da stasera ai telegiornali si parlerà soltanto degli incidenti, giorno dopo giorno passerà l’idea che comunque gli studenti vogliono il casino. È il metodo Cossiga. Ci stanno fottendo”.
(30 ottobre 2008)
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