Emanuela Irace - Noi Donne
Sullo SBARRAMENTO alle donne, Antonello Pabis ci segnala l’esempio dei kurdi di Ocalan: PER OGNI CARICA POLITICA UN UOMO E UNA DONNA. Ne parla un articolo dal titolo “Kurdistan Turco. La rivoluzione e la democrazia paritaria raccontata da Zozan, una combattente” di Emanuela Irace su Noi Donne del 10 aprile scorso.
La rivoluzione che ha previsto la democrazia paritaria.
Per ogni carica politica un uomo e una donna. Nel Kurdistan turco si realizza l’uguaglianza di genere nelle assemblee elettive, voluta da Ocalan. La testimonianza di Zozan, resistente kurda e dirigente politica.
Entrato di soppiatto sul tavolo dei negoziati, che hanno scandito la road map di pacificazione interna tra il Governo di Ankara e il leader dell’opposizione kurda Abdullah Ocalan, il principio di uguaglianza di genere è diventato realtà dal 30 marzo scorso. Una vera è propria rivoluzione che non ha uguali nel mondo. Né a Oriente. Né a Occidente. Succede in Turchia o meglio nel Kurdistan turco, propaggine orientale della Repubblica, ai confini con Iran e Siria. Con le elezioni amministrative di fine marzo, il Bdp, “Partito della pace e della democrazia” - evoluzione parlamentare del PKK - ha istituzionalizzato la piena rappresentanza di genere per ogni carica politica.
Un principio adottato fin dal 2000 in tutti gli organismi interni al partito. Una pratica che prevede la partecipazione dei due generi per ogni funzione. Un uomo e una donna per ogni carica. È la democrazia paritaria voluta dal leader kurdo Ocalan - da 15 anni in isolamento nel carcere dell’isola di Imrali con l’accusa di terrorismo. È questa la vera sfida con cui dovrà fare i conti l’autoritario Primo Ministro turco Recep Tayyp Erdogan.
Travolto dagli scandali ma vincitore alle ultime elezioni municipali, ad eccezione del Kurdistan. L’AKP, “Partito per la Giustizia e lo Sviluppo”, il partito del Premier, ha infatti tenuto in Anatolia, conservando tra le altre Istanbul e Ankara, ma le grandi città kurde sono restate in mano al Bdp. In totale sono 11 province, 68 distretti e 23 città in cui ha vinto il partito a maggioranza kurda quest’anno largamente votato anche da altre etnie. Un risultato che ha dato vita ad una nuova categoria socio-politica destinata ad entrare nella Storia. “La novità di queste elezioni sono le centinaia di donne elette nelle città. Con la co-elezione dove vince il Bdp ci sarà sempre un sindaco e una sindaca.
Nessuno dei due potrà prendere una decisione senza l’accordo con l’altro. In caso di conflitto media il Consiglio della città e il Consiglio comunale. Lo stipendio viene ripartito in parti uguali, anche se il Governo di Ankara ne riconosce formalmente solo uno”. dice Zozan, responsabile politica delle donne di Van. 350mila abitanti e una provincia a maggioranza agricola. Incastonata tra le montagne. A 1700m sul livello del mare. Un coacervo di etnie e culture. Turcomanni, armeni, azeri ecc. E 90% di kurdi. Un paesaggio mozzafiato. Sullo sfondo il lago omonimo. Al centro l’isolotto che conserva una delle poche chiese rimaste intatte sul territorio. Un gioiellino d’arte bizantina. Sulle pareti l’affresco della Madonna che allatta.
“Rispetto alla democrazia paritaria, come donne del Bdp, ci siamo poste tre obiettivi: Istituzionalizzare il principio che ogni carica debba essere ricoperta da entrambi i generi. Politicizzare la partecipazione delle donne avvicinandole alla politica. Socializzare questo modello diffondendolo a tutti i livelli della società. Non è stato facile ma ce l’abbiamo fatta. Anche se ci sono resistenze feudali la mentalità corrente da oggi non sarà più la stessa“. Una esigenza nata dal basso, spiega Zozan, che ha dato adito a molte critiche: “Il Governo turco non riconosce questo principio che noi del Bdp stiamo applicando. Siamo convinte che la pratica dei co-sindaci sia un modo per modificare i rapporti di forza interni alla società.
Noi non vogliamo parlare di quote ma di piena rappresentanza di genere”. Zozan non vuole essere fotografata. Ha passato metà della sua vita in carcere. Non ha visto crescere i suoi tre figli. Il maggiore ha 20 anni. Lei 45. Ha il viso senza rughe, lo sguardo serio. I capelli neri e lunghi sembrano quelli di una ragazza. Per due volte è fuggita dal suo villaggio incendiato dall’esercito. Poi la prigione: “È stata dura. Non me la sento di raccontare”. Sposta lo sguardo e riprende a parlare di politica. I metodi di assimilazione violenta contro l’etnia kurda sono stati per decenni pratica consolidata dei Governi cui ha assistito senza batter ciglio la Comunità internazionale.
Ancora oggi continuano gli arresti di sindaci e avvocati. Il sistema carcerario turco è durissimo e i minori convivono in cella con gli adulti. Durante le elezioni del 30 marzo ci sono stati brogli e scontri in molte città del nord e ai confini con la Siria. In alcuni distretti è stata ripristinata la legge marziale. Un bilancio catastrofico: 8 morti e una trentina di feriti. Troppi per uno Stato membro della NATO che ambisce ad entrare in Europa. “Dopo l’uccisione a Parigi delle tre attiviste kurde non mi aspetto più niente dalla Ue. Ho fiducia nel mio popolo e nella democrazia. Il processo di pace deve continuare. Spero che la percezione che i kurdi siano terroristi possa cambiare presto”.
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