Se Pierluigi Battista non vuole capire

8 Aprile 2014
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Gonario Francesco Sedda

In un recente editoriale [Il complesso del tiranno, Corriere della sera, 1 aprile 2014] Pierluigi Battista afferma con sicurezza: « [..] con il tempo si è sedimentata una distorsione conservatrice [..], una mistica e una sacralizzazione dello status quo che hanno portato alla scomunica tutti quegli esponenti politici (da Fanfani a Craxi, da Cossiga a D’Alema, da Berlusconi fino allo stesso Matteo Renzi) che si sono impegnati in un modo o nell’altro nella proposta di riformare le nostre istituzioni. “Deriva autoritaria” è stata la formula magica di questa scomunica. Non la discussione sui singoli punti delle riforme, ogni volta opinabili e migliorabili, ma l’idea stessa che si possa ritoccare in una direzione più vicina al resto delle democrazie occidentali il nostro assetto istituzionale. Modificare la Costituzione è diventato “stravolgere la Costituzione”. Ogni riforma “un attentato alla democrazia”. Ogni semplificazione un annuncio di pericoloso “autoritarismo”». Ma proprio questa descrizione caricaturale di chiunque si opponga alla deriva oligarchica della sempre fragile democrazia italiana mostra una mancanza di forza argomentativa, una distorsione “conservuzionaria” e rozzamente propagandistica, una mistica e una sacralizzazione del “cambiamento che torna al vecchio” (o del “riformismo retrogrado”). E non potendo pensare che un giornalista di lungo corso non sia informato, viene il sospetto che P. Battista menta sapendo di mentire fin dalle prime righe del suo articolo.
1. «Spiegare a uno straniero dell’Occidente liberaldemocratico che la fine del bicameralismo perfetto […] sia visto come l’anticamera di una mostruosa “deriva autoritaria”» non sarebbe solo «difficile» come sostiene P. Battista, ma semplicemente “impossibile”. Infatti il bicameralismo perfetto può essere superato in un contesto di riqualificazione e potenziamento delle istituzioni democratiche e contro il riformismo retrogrado del berlusconismo e del renzismo. È chiaro che di per sé né il bicameralismo perfetto da una parte né il monocameralismo dall’altra bastano per certificare la buona qualità della democrazia. E in Italia la deriva autoritaria è in atto da tempo nonostante il bicameralismo perfetto.
2. Fanfani, Craxi, Cossiga, D’Alema, Berlusconi, Matteo Renzi: todos caballeros. Tutti «impegnati in un modo o nell’altro nella proposta di riformare le nostre istituzioni», tutti accomunati nella mistica e nella sacralizzazione del “cambiamento” e tutti scomunicati dai sacerdoti dell’immobilismo! Naturalmente a una mente “liberaldemocratica occidentale” come quella di P. Battista non pone alcun problema il fatto di riformare le nostre istituzioni «in un modo o nell’altro» e, ancor di più, in un contesto o in altro. E poi, nella lista dei “riformatori” viene omesso un nome, quello di Licio Gelli …
3. Non è vero che modificare la Costituzione sia “sempre” stravolgerla. Ma non si può escludere che vi siano “modifiche” che la stravolgano.
Non è vero che ogni riforma sia “sempre” un attacco alla democrazia. Ma non si può escludere che vi siano “riforme” che la impoveriscano.
Non è vero che ogni semplificazione sia “sempre” un annuncio di pericoloso autoritarismo. Ma non si può escludere che vi siano “semplificazioni” che l’alimentino e lo rafforzino.
Non è vero che vi sia un rifiuto a discutere «sui singoli punti delle riforme» proposte da Berlusconi e Renzi sulla base di un patto estraparlamentare.
Non è stata pronunciata nessuna misteriosa formula magica, non è stata lanciata nessuna scomunica. Al contrario, vi sono proposte di riforma argomentate che non vedono nella democrazia un ostacolo a governare con efficacia e tempestività e che tendono a rafforzare le caratteristiche di pluralismo e di rappresentatività sociopolitica e territoriale della nostra Costituzione. Certo non vanno obbligatoriamente nel verso desiderato e propagandato da un “nuovismo scopiazzatore” che vuole «ritoccare in una direzione più vicina al resto delle democrazie occidentali il nostro assetto istituzionale». Come se le “democrazie occidentali” siano l’approdo definitivo (da fine della Storia) di qualsiasi processo democratico e debbano essere solo imitate senza che abbiano nulla da imparare. Di più: è piuttosto problematico contrapporre in blocco, senza distinzioni, le “magnifiche sorti e progressive” del resto delle democrazie occidentali a una presunta immobilità e arretratezza del nostro assetto istituzionale. Forse che il Regno Unito col suo maggioritario secco e la Repubblica Federale Tedesca col suo proporzionale corretto non fanno parte dello stesso Occidente liberaldemocratico? E perché Pierluigi Battista (e il suo “partito”, il Corriere della sera) preferisce il primo e non la seconda?
4. E «la riforma radicale del Senato» contro la quale gli psicotici sacerdoti dell’immobilismo lancerebbero «vibranti appelli»? Pierluigi Battista dice che «nel merito […] si può e si deve discutere, ci mancherebbe». E Renzi mostra una sfottente disponibilità a discutere di tutto … salvo di quattro punti irrinunciabili. Di tutto … cioè di niente. Prendere o lasciare: il patto col pregiudicato Berlusconi deve essere rispettato! Il Parlamento (“porcellonato” e delegittimato politicamente) non può apportare nessuna modifica importante a una legge che vuole emendare la Costituzione, ma è costretto a modificare la Costituzione votando una legge non emendabile!
I quattro punti del pieveloce Renzi sono noti: il Senato … a) non deve costare un centesimo; b) non deve essere elettivo; c) non deve dare la fiducia al governo; d) non deve votare il bilancio.
Sembra semplice. Ma nulla è semplice. Oppure, come direbbe B. Brecht, è una di quelle semplicità che “è difficile a farsi”. Oppure, come direbbe M. Ainis, “il diavolo si annida nei dettagli”. E i dettagli mancano o quando vengono prospettati alimentano più dubbi che certezze.
In primo luogo, il costo zero del nuovo Senato è un capitolo della diminuzione delle “spese della politica”. Se le parole hanno un significato, si può avere un costo zero o nessun centesimo di spesa solo se il Senato venisse abolito. Niente Senato, niente spesa. Ma non viene proposta l’abolizione del Senato, bensì una sua «riforma radicale» (come dice P. Battista). Dunque il nuovo Senato non sarà a costo zero, bisognerà spendere qualche centesimo. Sarebbe giusto parlare di risparmio nelle “spese della politica”. E quanto si risparmierebbe? I dettagli mancano o sono troppo pochi per poter rispondere con una buona approssimazione. Sembra che il risparmio non sia così grande come pretende la propaganda imbonitrice del governo e dei filogovernativi.
Tuttavia esiste un’altra strada per risparmiare: ridurre in modo bilanciato il numero dei deputati e dei senatori almeno fino al suo dimezzamento complessivo, ridurre gli stipendi ed eliminare i privilegi. Questo percorso non è compatibile col disegno ideologico di Renzi (e di Berlusconi) che ha bisogno di una Camera dei deputati non troppo dimagrita per evitare la determinazione di Collegi elettorali così ampi da rendere impossibile nel breve periodo la formazione di liste bloccate “corte” (secondo l’Italicum) e in prospettiva una ulteriore riforma per avere Collegi uninominali. Che i Collegi elettorali piccoli siano di per sé la certificazione della buona qualità della democrazia è cosa discutibile. La democrazia non è solo processo elettorale e neppure, più riduttivamente, solo procedimento elettorale. Intanto, senza andare a una comparazione meno approssimativa, osservo che negli USA i senatori vengono eletti e sono solo 100 (due per ogni Stato e per una popolazione di oltre 300 milioni di abitanti).
In secondo luogo, l’elezione diretta o indiretta o la nomina o una combinazione di modi diversi per la formazione del Senato (o della Camera alta) non è cosa di per sé decisiva per includere o escludere un paese dall’appartenenza all’Occidente liberaldemocratico (!) oppure per separare ciò che è innovativo da ciò che è conservativo. Attualmente non solo l’Italia (quasi esclusivamente), ma anche gli USA e la Polonia hanno Senati formati per elezione diretta. E dove i senatori  (o i componenti della Camera alta) non vengono eletti direttamente, «all’interno di democrazie consolidate e sicure di sé» (come dice P. Battista), non viene meno l’esigenza metodologica di distinguere. Non si può affermare che il debole bicameralismo del Regno Unito sia uguale a quello più strutturato della Repubblica Federale tedesca. E la Camera delle Autonomie (composta dai presidenti delle Giunte regionali e delle Province autonome, dai sindaci dei capoluoghi di regione, da nominati del Presidente della repubblica, … ) proposta dal governo Renzi è un’assoluta novità per quel che riguarda la tipologia.
In terzo luogo, non vi sono forti ragioni di principio per opporsi al superamento del bicameralismo perfetto (o paritario). Una delle conseguenze è che la Camera alta (o il Senato) non darà il voto di fiducia al governo. Ma la prevalenza di una Camera sull’altra non vuol dire necessariamente esclusività di competenze e funzioni. Una Camera alta che non potesse decidere e/o co-decidere nulla sarebbe inutile e sarebbe meglio abolirla senza alcun rimpianto.
In Germania la Riforma federale del 2006 ha modificato il procedimento legislativo, ma non la struttura degli organi (Bundestag e Bundesrat), rimasta invariata. Il potere di veto del Bundesrat è stato limitato con una nuova rimodulazione delle “leggi perfette” che richiedono obbligatoriamente la doppia approvazione. La Camera alta non è stata tuttavia sbeffeggiata né svuotata delle sue competenze e funzioni che sono state ridefinite, arricchite e persino aumentate.
In quarto luogo e infine, dire che il nuovo Senato non deve votare il bilancio non basta. Quel che deve essere chiaro è se esso non vota e non ha nessuna competenza sul bilancio oppure non vota pur conservandola in tutto o in parte. Nei più importanti paesi europei la seconda Camera ha competenza parziale o limitata sul bilancio e in Francia totale.
È nei dettagli che s’annida il diavolo … È a partire dalle competenze e dalle funzioni proprie del nuovo Senato che si può capire l’adeguatezza della struttura proposta e quella della sua composizione.

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