Andrea Pubusa
Non è la prima volta che la Sardegna cerca nei falsi la propria identità. Ricordate le Carte d’Arobrea? Una iniziativa straordinaria, un intero corpus di documenti, memorie, testi giuridici, versi poetici in latino, in italiano e in sardo medioevale (anch’esso inventato) per capovolgere la vicenda degli accadimenti storici, della letteratura e della lingua italiane.
E - come ci ricorda Manlio Brigaglia - per almeno 25 anni, quanti ne passano fra il 1845, quando un frate minore, Cosimo Manca da Pattada, comincia a mettere in giro quelle carte, centellinandole con mercantile astuzia davanti agli occhi spalancati di studiosi e generosi innamorati dell’isola, e il 1870, quando una commissione scientifica dell’Accademia delle Scienze di Berlino, presieduta da Theodor Mommsen, decreta urbi et orbi la falsità totale di quelle carte (poi ci saranno storici coscienziosi che ripescheranno fra le carte i pochi documenti sinceramente autentici, infilati ad hoc dai falsari).
E’ la vicenda centrale della storia della cultura sarda nell’Ottocento. Il falso - come è stato notato - era volto a dare fondamento alle ragioni che avevano spinto un gruppo di intellettuali isolani a sostenere il mito di una Sardegna patria di eroi, di filosofi e di poeti, sia pure per un malinteso amor di patria; e ciò in un momento critico e di passaggio tra la «Sardegna stamentaria» e lo «Stato italiano risorgimentale», quando secondo Giovanni Lilliu «si incontrarono e subito si scontrarono la “nazione” sarda e la “nazione” italiana al suo inizio».
Non è che i giganti di Monte Prama siano le carte d’Arborea del Novecento sardo, con coda nel 2000? La presentazione in pompa magna in un momento di montante sovranismo sembra fare alla bisogna. I giganti come emblema della grandezza della cultura sarda, dell’esistenza di una nazione sarda risalente. L’orgoglio dei sardi, maltrattato dalle classe politica indigena e continentale, viene risarcito. Un monumento unico non solo della statuaria sarda, ma perfino di quella mediterranea! Ma a me è proprio questa unicità che colpisce. Troppo uniche! Tanto uniche da sucitare più di un quesito. Posso fare alcune domande, premettendo, a mia discolpa, l’assoluta ignoranza della materia? Eccole in sequenza:
a) Statue di quelle dimensioni presuppongono un contesto grandioso, che a Monte Prama, per quanto ricco di reperti archeologici, non pare esserci. Come mai lì questi giganti?
b) Esistono in Sardegna altre statue di quel tipo? Sembra di no, se ne sottolinea l’unicità. Dunque, una produzione così imponente sarebbe opera di un solo artista, per di più sorto dal nulla e rimasto senza eredi.
c) I giganti potrebbero essere stati commissionati a maestranze esterne. Però, a quanto pare, non sono stati reperiti dei confronti adeguati in altre esperienze di area tirrenica e più in generale mediterranea per le nostre statue. Da quanto dice chi ne sa, al riguardo i risultati non sono soddisfacenti. La comparazione per le statue di Monte Prama è solo la “prova provata” di una loro difficile collocazione o è indice di qualcosa di più e di diverso?
d) Perché le statue sono state volutamente rotte e spezzate con la subbia in diverse parti del corpo?
e) Si sa che i frammenti furono recuperati in scavi effettuati a Monte Prama, nel corso degli anni Settanta. Ma, a detta degli stessi esperti, la storia delle ricerche è lacunosa, frammentata e si dipana fra interventi estemporanei. Come mai questa estemporaneità a fronte della grandiosità della scoperta?
f) Infine, una curiosità: esistono altre figure risalenti all’età nuragica con gli occhi a cerchietto?
Uno studioso, Marco Rendeli, due anni fa, in una rivista specializzata, a proposito dei giganti, ha parlato di un mistero con 4875 interrogativi. A me, per mettermi l’anima in pace, basterebbe la risposta ai miei sei semplici quesiti.
5 commenti
1 Mario Sciolla
26 Marzo 2014 - 22:34
Non entro nel merito dell’autenticità o meno dei reperti (non ho alcun requisito accettabile che mi autorizzi a dare valutazioni).
Comunque, anche dando per affidabile l’ipotesi che costituisce il “fil rouge” dell’articolo, mi pare sfugga una possibile (e interessante) chiave di lettura, analoga a quella che utilizzò Renzo Laconi proprio in merito ai falsi d’Arborea: erano dei falsi – certamente – ma ciò non escludeva che la loro “produzione” potesse rispondere a esigenze culturalmente e storicamente profonde. Ricordo l’analogia stabilita da Laconi con il falso della “Donazione di Costantino”: era chiaramente un falso (come brillantemente avrebbe dimostrato il Valla), ma ciò non eliminava il fatto che il suo “confezionamento” rispondesse a motivazioni di grandissima importanza; tant’è vero che la “Donazione” non è uscita dalla storia delle relazioni tra chiesa e impero.
Analogamente, anche ammettendo che i giganti di Monte Prama siano dei falsi e che la possibile ambigua concomitanza con la fase di “fortuna del sovranismo” possa indurre a sospetto, l’evento potrebbe anche essere elemento rivelatore di esigenze autentiche e di portata ampia.
La mia è solo un’ipotesi di lavoro; niente più. Ma credo che varrebbe la pena rifletterci.
2 l.o.t.o
2 Aprile 2014 - 21:02
Bene,adesso però dite anche che è uno scherzo d’Aprile. Alquanto di dubbio gusto,visto l’interesse enorme che hanno suscitato le Statue. Non ce lo meritavamo questo scherzo così cattivo.
3 Graziano Milia
21 Agosto 2014 - 14:10
Caro Andrea, solo oggi scopro questo tuo intervento. Il mio giudizio è sintetico: nutro i tuoi stessi dubbi. Questa cosa non mi ha mai convinto e oltre ai Falsi d’Arborea mi ricorda anche i falsi Modì di Livorno. Graziano Milia
4 Alberto Medda Costella
15 Ottobre 2014 - 13:02
«Posso fare alcune domande, premettendo, a mia discolpa, l’assoluta ignoranza della materia»?
A fronte di questa premessa la sua mi sembra una mera provocazione, soprattutto quando la causa di questo interesse feticistico è imputabile al «montante sovranismo»…non è che anche lei frequenta il circolo “Rossobruni” di Is Mirrionis?
5 marco
15 Ottobre 2014 - 20:00
bravo, hai capito tutto tu!
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