Crisi dell’università e legge Gelmini: quale riforma? (1)

2 Novembre 2008
Nessun commento


Gianfranco Sabattini

Il mondo della scuola è in agitazione per i tagli che l’attuale governo, per esigenze di bilancio, si propone di apportare alle risorse destinate al suo funzionamento; tra i tagli previsti risaltano quelli destinati a colpire l’istruzione terziaria, in considerazione del fatto che le classifiche stilate da molte istituzioni internazionali collocano le università italiane, quando compaiono, agli ultimi posti. Tuttavia, nell’ipotesi che la crisi delle università del nostro paese possa diventare un problema cui dare una soluzione in tempi brevi, sorge l’interrogativo su come attivare una procedura idonea allo scopo, senza che risulti condizionata dai molti “lacci e lacciuoli” di natura partitica, clientelare, nepotistica e corruttiva prevalsi sinora.
Una procedura stimolante, sia pure con l’apporto di qualche ulteriore specificazione, è quella di recente proposta da Roberto Perotti (L’università truccata, 2008). Secondo Perotti, la mancata soluzione del problema universitario italiano è imputabile alla mancanza di un sistema di incentivi e disincentivi appropriati. Da anni l’università è afflitta dagli stessi problemi ai quali si è cercato di provvedere mediante un “turbinio ininterrotto di nuove riforme”, di interventi della magistratura e di continui appelli a comportamenti virtuosi da parte degli addetti ai lavori. Da anni, infine, si sta coltivando l’idea di curare i mali dell’università attraverso un’autorità centrale che “valuti, compari e certifichi i meriti scientifici e didattici” di ogni individuo e di ogni ateneo. In realtà, conclude Perrotti, l’unico modo per uscire dal tunnel della dequalificazione dell’università italiana consiste nel “premiare il merito”, operando in modo che “le risorse seguano la qualità”, sia a livello individuale, che a livello di ogni singolo ateneo. A tal fine non esisterebbe che un modo: fare pagare rette alte agli studenti, in modo che siano loro, con le loro scelte, a fare affluire le risorse agli atenei più efficienti. Una simile procedura rimuoverebbe tre cause dell’attuale inefficienza. Innanzitutto, le alte rette, fatte pagare ai “ricchi” in funzione del reddito, consentirebbero di migliorare l’equità, impedendo che i “ricchi” accedano ad una istruzione terziaria finanziata con le risorse di tutti, “poveri” inclusi. In secondo luogo, un rettore di ateneo, un preside di facoltà, un direttore di dipartimento o un titolare di cattedra che facessero valere il potere istituzionale del quale dispongono per favorire “amici” o “parenti” causerebbero la contrazione del numero degli iscritti. Infine, le alte rette pagate dai “ricchi” consentirebbero di estendere l’accesso gratuito, senza esborsi aggiuntivi per lo stato, ai più “poveri”, attraverso un sistema ben progettato di borse di studio e di prestiti secondo le forme sperimentate in altri paesi. Questa procedura presupporrebbe che l’organizzazione del sistema delle università fosse fondata su basi decentrate, in cui ogni ateneo, in piena autonomia gestionale e didattica, diventerebbe responsabile delle proprie azioni, ma anche che la parificazione degli atenei non fosse più conservata.
Sia il decentramento, che la parificazione sarebbero supportati dalla libertà di iscrizione garantita agli studenti. La propensione di questi ad iscriversi presso gli atenei più qualificati determinerebbe l’afflusso delle risorse verso quelli più efficienti e meno “inquinati” dai favoritismi. Inoltre, gli atenei più dotati di risorse potrebbero “reclutare” ricercatori migliori e contribuire a creare un “ambiente di ricerca” in grado di attrarre ulteriori risorse a beneficio di tutti. Per Perrotti, questo circolo virtuoso, attivato da una “concorrenza istituzionale” tra i diversi atenei, potrebbe originare una “cura” per l’università italiana affrancata da tutti i possibili conflitti di interessi che sono valsi sinora a far pesare sull’università il costo degli esiti negativi della “selezione avversa” causata da pregiudizi sinora risultati ineliminabili. Ovviamente, per gli atenei che non riuscissero a conservarsi efficienti si dovrebbe accettare la possibilità di una loro espulsione dal “mercato universitario”.
La procedura di ricupero dell’università fondata sulla “concorrenza istituzionale” tra i singoli atenei dovrebbe essere orientata anche a qualificare gli esiti della recente riforma che ha introdotto la “laurea breve” e la “laurea specialistica”, adattando al doppio diploma di laurea il riconoscimento di due ordini di atenei: quelli specializzati nel conferimento di lauree brevi (atenei di insegnamento) e quelli specializzati nel conferimento di lauree specialistiche (atenei di ricerca). Ovviamente i due ordini di atenei, connessi tra loro sul piano della circolazione degli studenti e dei docenti, dovrebbero provvedere al loro mantenimento secondo la procedura descritta. La proposta si qui formulata sarà senz’altro ritenuta priva della necessaria sensibilità politica e sociale per essere accolta. E’ dunque una provocazione culturale destinata all’insucce

0 commenti

  • Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.

Lascia un commento