Gianfranco Sabattini
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo autevole contributo che contiene preziose indicazioni per liberare la Sardegna dagli esiti degli errori del passato.
L’obiettivo principale dell’articolo pubblicato su questo Blog il 23 u.s. non era tanto quello di indicare l’agenda politica del nuovo Presidente della Regione, quanto quello di indicare (non casualmente è stato usato il condizionale), una prospettiva di azione politica ritenuta conveniente per il futuro dell’Isola.
Nel passato, la politica pubblica regionale ha subito gli effetti negativi del primato che la società politica ha esercitato sulla società civile. Il consolidarsi di tale primato è riconducibile al fatto che all’inizio dell’autonomia regionale i partiti politici lo hanno valutato necessario e irrinunciabile, considerando la società civile della Sardegna tanto informe da spingere tutti a chiedersi se mai avesse avuto senso “dare forma istituzionale alla sabbia”, cioè ad una società civile regionale priva di un’organizzazione istituzionale, politica ed economica, dove gli schieramenti politici rappresentavano ed offrivano in via esclusiva motivi di mobilitazione collettiva.
Il perdurare di tale stato di cose è successivamente degenerato, sino a trasformare il primato della politica in strumento per la conservazione degli status-ruoli delle forze politiche, ma non alla creazione delle condizioni compatibili con la promozione di un processo di crescita materiale e di sviluppo sociale dell’area regionale. E’ questa la ragione per cui alla fine degli anni Settanta del secolo scorso è stata avvertita la necessità di un dibattito istituzionale, finalizzato ad indicare alla società civile regionale un sistema di obiettivi di medio-lungo periodo, che, in quanto condivisi, fossero risultati anche stabili nel tempo e non assoggettati a continue modificazioni, in funzione del succedersi al governo della regione di coalizioni di forze politiche di diverso orientamento ideologico, o portatrici di interessi alternativi. E’ ancora questa la ragione per cui al presente è avvertita la necessità di “un momento costituente identitario”. Questo dovrebbe essere orientato ad individuare le linee strategiche di medio-lungo periodo in funzione delle quali riscrivere, sia il modello di sviluppo, che il nuovo Statuto.
Il perdurare della situazione di incertezza, ormai da tempo avvertita da tutti, soprattutto in questo periodo di crisi generale, rende difficile per chiunque indicare le possibili vie di uscita dalla situazione nella quale versa attualmente il sistema sociale ed economico della Sardegna. Per la ricerca di tali vie potrebbero risultare utili le riflessioni che seguono.
Malgrado si parli spesso e ricorrentemente di fallimento della politica di crescita e di sviluppo sperimentata a livello regionale, ciò non deve essere inteso in termini di “sindrome del fallimento”, o di “complesso del fallimento”. Se la “sindrome” o il “complesso” dovessero avere il sopravvento, non sarebbe certo possibile ricondurre l’Isola sulla via della rimozione delle distorsioni economiche e sociali causate dall’azione politica del passato, bensì al radicamento dell’idea che la Sardegna non dispone di alcuna prospettiva per migliorare il proprio stato attuale.
Sinora la prevalente propensione dei sardi è stata quella di invocare, non sempre a proposito, la solidarietà nazionale ed europea per risolvere dall’esterno il perenne stato di crisi regionale, mentre assai scarsa attenzione è stata riservata alle potenzialità endogene dell’Isola. Tale propensione ha finito col nascondere una inevitabile “trappola”. L’esperienza del prolungato ritardo sulla via della crescita e dello sviluppo si è trasformata nei segni evidenti di una prolungata impotenza; questo stato di cose ha teso a tradursi, come da molte parti è stato osservato, nel peggiore degli esiti negativi, in quanto la difficoltà di creare una consapevolezza culturale, politica ed economica cumulativa, in condizioni di autonomia decisionale, sulla propria condizione ha reso alta la probabilità che sui cittadini regionali pesi il rischio di una generalizzata sfiducia sulla possibilità di porre rimedio ai “guasti” ereditati dal passato. Se ciò non fosse contrastato, la Sardegna sarebbe destinata a “consumarsi” in un’attività di protesta nei confronti dell’esterno, tanto “querula” quanto improduttiva ed a frustrare ogni impegno finalizzato a rimuovere i ritardi sinora accumulati. Tutto ciò avrebbe l’effetto di prolungare sine die lo stato attuale.
La celebrazione dei tre momenti costituenti, indicati con le espressioni di “recupero dei valori identitari”, di “riscrittura del piano di sviluppo sociale ed economico” e di “riscrittura dello Statuto”, dovrebbero rappresentare l’esito finale di un processo di profondo ripensamento della struttura istituzionale, economica e sociale del contesto regionale. Il problema della riorganizzazione della struttura economico-sociale della Sardegna è sempre stato affrontato in termini prevalentemente istituzionali e formali; occorrerebbe ora affrontarlo in termini più generali, ovvero nella prospettiva di realizzare una struttura istituzionale più idonea a garantire un decentramento dell’autonomia decisionale ed una più larga partecipazione civile ai processi di assunzione delle scelte finali. La riorganizzazione in tal senso della Sardegna, se portata a compimento, costituirebbe una sicura diga di contenimento del pericolo del consolidarsi di una tendenza generalizzata alla rassegnazione ad accettare come irreversibile lo status quo da parte dell’intera società civile.
Il coinvolgimento pieno ed esteso della società civile regionale nei processi decisionali contribuirebbe a rimuovere tutte le forme patologiche di particolarismo, a cominciare dal clientelismo, che da sempre hanno condizionato l’autonomia di giudizio della società civile regionale ed la libera e consapevole partecipazione dei cittadini regionali alla gestione della “cosa pubblica”. La rimozione delle forme patologiche di particolarismo, inoltre, varrebbe a diffondere il convincimento che gli esiti della partecipazione alla vita collettiva, sia a livello individuale, che a livello di singole comunità locali, non sono legati alla mera casualità ed alla esistenza di rapporti sociali particolari, bensì alla continua partecipazione dell’intera collettività ai processi decisionali concernenti la distribuzione delle opportunità sociali.
Molti assumono che una caratteristica distintiva di una politica pubblica finalizzata a promuovere il superamento dei ritardi delle regioni arretrate sia l’”equità delle riforme” istituzionali ed economiche da attuare. Per realizzare tale forma di equità è raccomandata una distribuzione “giusta” del carico fiscale, senza però che tale carico pesi sul “patrimonio”. Ciò perché, secondo chi sostiene questa prospettiva di azione politica, i mercati non “gradiscono” la “punizione del risparmio” che si ha con una tassazione dei redditi alti o del capitale accumulato. Una riflessione attenta sulla prospettiva di questo approccio alle riforme per superare l’arretratezza economica deve consentire però di cogliere tutti i motivi di debolezza che pesano sulla logica che la sottende.
Lo studio delle disuguaglianze economiche all’interno delle regioni arretrate ha importanza strategica nella formulazione delle politiche pubbliche volte a sostenere il superamento dei ritardi accumulati dagli errori del passato. La considerazione prioritaria ed esclusiva della sola crescita (attraverso il miglioramento delle variabili quantitative, quali ad esempio il PIL) o del solo sviluppo (attraverso il miglioramento delle sole variabili qualitative, quali ad esempio l’equità nella distribuzione delle opportunità), pur costituendo una condizione necessaria per il successo di quelle politiche, manca però di essere anche condizione sufficiente. Perché la sola crescita, o il solo sviluppo, siano anche condizione sufficiente, occorre che tra crescita e sviluppo corra una correlazione stretta.
In conclusione, all’interno della Sardegna, le future politiche pubbliche finalizzate a promuovere la crescita e lo sviluppo dell’Isola dovrebbero essere sempre fondate sulla stretta correlazione tra il miglioramento delle variabili quantitative, da un lato, e il miglioramento delle variabili qualitative in termini di equità distributiva intesa in senso lato, dall’altro.
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