Cinque domande su Capoterra

28 Ottobre 2008
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Red

Non è che dopo il “volontarismo” del 2004 la Giunta regionale sia rimasta con le mani in mano. Precise sollecitazioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri imponevano alla Regione di assumere il coordinamento della protezione civile e nel marzo 2006 l’allora Assessore all’Ambiente Dessì ha prontamente emanato un decreto recante un’apposita direttiva, che disciplina puntualmente tutti gli adempimenti in caso di calamità naturali. Si voleva scongiurare l’impreparazione sul piano organizzativo e l’incertezza sulle competenze, cui si era sopperito a Villagrande con l’assunzione sul campo della piena responsabilità delle operazioni da parte dell’Assessore all’Ambiente. L’osservanza di quella direttiva avrebbe dovuto evitare ogni carenza di coordinamento perché individua un sistema di competenze che consentono di seguire l’evoluzione dei fenomeni e di intervenire senza indugio. Ma nulla ha funzionato nei giorni scorsi. A Capoterra la direttiva è rimasta nel cassetto, insieme all’Assessore Morittu.
Ma cosa prevede questa direttiva?
Anzitutto si individuano le Autorità di protezione civile nell’ambito regionale. Sono ovviamente l’Assessorato regionale della Difesa dell’ Ambiente e poi gli enti locali, le Province; i Comuni e gli Uffici Territoriali Governativi (UTG) per gli aspetti di coordinamento dei soggetti istituzionali dello Stato.
Nelle zone operano i Presidi Territoriali, strutture della Regione che, in relazione al livello di criticità prevista o in atto, provvedono a porre in essere le azioni necessarie a fronteggiare la situazione di rischio negli ambiti territoriali di loro competenza. Ma quali sono i Presidi Territoriali di Protezione Civile? E’ presto detto: il Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale, l’Ente Foreste, i Servizi del Genio Civile. Sono altresì considerati Presidi Territoriali le strutture dipendenti dalle Province e dai Comuni, i Consorzi di Bonifica, i Gestori dei serbatoi artificiali, le Associazioni di Volontariato.
Per il rischio proveniente dall’acqua si è istituito il Presidio idraulico. E così, senza interferire con le competenze dei Servizi del Genio Civile, il Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale svolge compiti di controllo, monitoraggio e presidio del territorio al fine di prevenire e governare situazioni di criticità.
Non poteva mancare un’attenzione particolare alle aree a rischio. Ecco allora le “Zone di allerta”, individuate sulla base dei dati conoscitivi idrogeologici, idraulici e geomorfologici disponibili. Il territorio della Sardegna è stato così suddiviso in zone di allerta, che comprendono ambiti territoriali significativamente omogenei “per l’ atteso manifestarsi della tipologia e della severità degli eventi meteoidrologici intensi e dei relativi effetti”. Le zone di allerta corrispondono a quelle più sensibili e sono individuate con precisione negli allegati. Fra esse c’è anche Capoterra.
Ma cosa deve fare questo apparato organizzativo? Se un avviso dovesse essere diramato per una determinata zona di allerta, tutti i responsabili (regionali, provinciali, comunali) dovranno assumere il medesimo codice di allerta e predisporre le azioni stabilite per quel codice. Insomma, una sinergia immediata con azioni e procedure già prestabilite e per le quali c’è stata la necessaria preparazione.
Sono state inoltre individuate le diverse criticità da quella ordinaria fino all’emergenza. A ciascuno livello di criticità corrispondono codici di allerta e azioni da attivare.
Ma cosa accade in situazioni di emergenza? Tutta la struttura organizzativa, secondo le sue competenze, è prontamente attiva, coinvolgendo anche le associazioni del volontariato. Il servizio di Protezione Civile, il Corpo Forestale, l’Ente Foreste provvederanno alla formazione ed ai necessari allestimenti delle rispettive colonne mobili per un pronto intervento. Il Servizio Regionale Protezione Civile informa continuamente tutti gli operatori regionali e statali, nonché le Province ed i Comuni interessati, sulla evoluzione dei fenomeni e della criticità. L’evoluzione negativa del fenomeno comporta il passaggio ad una situazione di emergenza. Il Centro operativo regionale a questo punto attiva le colonne mobili, già allertate, per l’intervento nelle aree interessate dagli eventi in atto. Insomma, in poco tempo tutte le forze sono dispiegate nell’area colpita, con un coordinamento e con compiti precisi.

Orbene, gli allagamenti a Poggio dei Pini (a monte) sono iniziati verso le 7 / 7 e mezza del mattino di mercoledì, e l’onda d’acqua (due metri circa di acqua e fango che ha trasportato con sé detriti di ogni specie - un camper è stato scaraventato sopra il tetto di una casa) è arrivata a San Girolamo, cioè a valle, tra le 9 e le 9 e mezza.  In questo lasso di tempo (due ore) il sistema predisposto con la direttiva avrebbe dovuto monitorare, informare, allertare, intervenire. Forse la tragedia non avrebbe assunto i purtroppo ben noti esiti drammatici.  Niente di tutto questo è accaduto. 
La direttiva dell’Assessore Dessì è del 27 marzo 2006, come si legge nel BURAS. Cosa si è fatto dal 2006 ad oggi per attuarla? Si è proceduto alla necessaria preparazione? Come mai il coordinamento e le strutture operative a Capoterra non hanno funzionato? Infine, ma non meno importante: il decreto Dessì  preannuncia  un disegno di legge in materia di protezione civile, al quale si stava allora già lavorando. Che fine  ha fatto questa iniziativa? Perché non ha avuto seguito?

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