Curiel, un grande antifascista da non dimenticare

12 Marzo 2014
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Gianni Fresu

Eugenio Curiel. Il lungo viaggio contro il fascismo, ed. Odradek. Questo bel libro dello storico Gianni Fresu ci parla di un grande intellettuale comunista e combattente nella Resistenza, ucciso a anni 33 dai fascisti, poco prima della Liberazione.
Ecco sulla figura di Curiel una nota dello stesso Gianni Fresu, pubblicata su L’Unione sarda del 24.6.2011.

A Sessantacinque anni dalla liberazione dal nazifascismo, in un contesto segnato da una inarrestabile emergenza democratica che ha molti punti di contatto con la capitolazione dello Stato liberale negli anni Venti, è tutt’altro che retorico soffermarsi sul significato e sul valore della Resistenza. Tra le figure dimenticate di quella pagina di storia che riscattò il popolo italiano dall’infamia del fascismo si può annoverare quella del giovane partigiano Eugenio Curiel, che fu insieme scienziato e combattente per la liberta’. Curiel, nato a Trieste nel 1912 da una famiglia benestante di religione ebraica, dopo l’iscrizione in ingegneria a Firenze e il politecnico a Milano si laurea a Padova nel 1933 con il massimo dei voti in fisica e matematica con una tesi sulle disintegrazioni nucleari, a soli 21 anni, quindi inizia a lavorare all’Università come assistente. Nonostante la sua formazione e attività scientifica il giovane Curiel trova negli studi filosofici uno stimolo nuovo e totalizzante che lo porta prima ad avvicinarsi al materialismo storico e poi all’antifascismo militante, iscrivendosi al Partito comunista nel 1935. Nel 1936 avvenne la prima presa di contatto di Curiel con il Centro Estero del PCd’I grazie a un amico studente alla Sorbona, a Parigi, in un contesto segnato dai fermenti politici dell’antifascismo e dalla mobilitazione internazionale in difesa della Spagna repubblicana. Prima di partire discusse a lungo dell’organizzazione di una attività clandestina con i suoi compagni a Padova. Tuttavia, dopo il suo rientro da Parigi, orientò i suoi compagni ad un lavoro legale di massa attraverso la penetrazione nelle stesse organizzazioni sociali del regime tra lo sconcerto della cellula comunista composta di giovani che si aspettavano ben altro tipo di azione. Così, ricorda l’episodio Renato Mieli:

ci spiegò anzitutto il carattere di classe della dittatura fascista. Come avremmo potuto un giorno liberarcene, se non avessimo prima capito quali erano le energie reali, capaci di abbattere il fascismo nel nostro Paese, e se non fossimo riusciti poi ad organizzarle? Questa forza liberatrice non è rachiusa in una «élite» di intellettuali, essa è nella classe operaia e nelle sue alleanze con le masse nelle campagne e con quella parte di borghesia prgressiva. Chi vuole la liberazione dal fascismo, deve incominciare col volere la liberazione di tutte queste forze dai vincoli che le soffocano. Esistono delle profonde contraddizioni che il regime di Mussolini non può assolutamente risolvere. Si tratta di non restare al di fuori di un processo storico e di inserirvisi, al contrario, attivamente per far fermentare dall’interno quelle energie che affretteranno la disfatta dei nemici del popolo1

A partire da questa indicazione il gruppo si inserì nei GUF e già nel 1937 il giovane intellettuale assunse la responsabilità della pagina sindacale del “Bo”, il giornale universitario di Padova. Ciò favorì una penetrazione di giovani antifascisti nella redazione, lo svilpparsi di un fermento politico culturale nuovo e l’attivazione di energie vitali poi rivelatisi determinanti nel corso della Resistenza. Le lunghissime discussioni sui temi da trattare si spostarono dalla redazione alle fabbriche per l’intuizione di Curiel che propose di confrontare preventivamente le questioni con gli stessi operai. Iniziativa anch’essa importantissima per consentire a quel gruppo la costruzione di legami sociali solidi nel mondo del lavoro. Nel 1938 Curiel, estromesso dall’Università per la promulgazione delle leggi razziali, si trasferisce a Milano, dove prende contatti con il Centro interno socialista e con vari gruppi antifascisti. In clandestinità dedica oramai tutta la sua esistenza alla militanza, viene arrestato varie volte dalla polizia svizzera per la sua attività antifascista e comunista, a Milano il 23 giugno del 1939 viene arrestato da agenti dell’Ovra. Sconta qualche mese nel carcere di San Vittore, poi il processo e la condanna a cinque anni di confino a Ventotene dove mette in piedi una sorta di università popolare per i reclusi ed anche per alcuni abitanti del luogo. Di quell’esperienza rimangono gli appunti delle sue lezioni a molti futuri quadri della Resistenza. Tutti coloro che ebbero modo di conoserlo ricordano Curiel per lo spessore morale e intellettuale ma anche per l’instancabile impegno militante. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio del ’43 il Gran Consiglio del fascismo vota l’ordine del giorno che porta all’arresto di Mussolini, un mese dopo Curiel viene liberato dal confino e torna in Veneto dove riprende i contatti con amici e compagni lavorando da subito all’organizzazione della Resistenza armata contro l’occupazione nazifascista. Rientrato a Milano ha un ruolo di primo piano nella redazione de «L’Unità» e della rivista «La nostra lotta», stampate e diffuse clandestinamente, diventa il «partigiano Giorgio» e fonda l’organizzazione antifascista “Fronte della Gioventù” che all’inizio del 1945 contava gia’ circa 15 mila aderenti. Curiel cadde il 24 febbraio del 1945, a due mesi dalla liberazione di Milano e ad appena 33 anni, ucciso da una banda di fascisti che dopo avergli sparato per strada lo finì dentro un portone nel quale si era rifugiato. Dopo una medaglia d’oro al Valor militare, una lapide e un bellissimo inno partigiano a lui dedicato, nelle miserie dell’italietta della «concordia nazionale», l’oblio ne ha praticamente cancellato la memoria. Curiel, scienziato, comunista e combattente, nonostane la militanza, ebbe anche il modo di sviluppare una originale e matura riflessione politica, a lui si deve ad esempio l’elaborazione della «democrazia progressiva», una concezione che Togliatti fece propria nell’immediato dopoguerra facendola divenire l’asse strategico del “partito nuovo”. Oggi nessuno si occupa più di questo giovane comunista morto per liberare il suo Paese, un militante determinante in una lotta di cui non ebbe la fortuna di vedere i frutti nella festa del 25 aprile. Bisognerebbe invece non solo ricordarlo ma riprendere gli studi dedicati alla sua vita e alla sua opera, nella convinzione che riportare alla luce questa straordinaria testimonianza di impegno e militanza non sarebbe semplice opera di “archeologia politica”.

1 Quaderni di Rinascita. Trenta anni di vita e lotte del PCI, Roma, Istituto Poligrafico, pag. 187.

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