Gianna Lai
La scuola al centro. Della campagna elettorale e della politica di una Giunta di Centro Sinistra. Ma cosa può voler dire, se non liberare una volta per tutte l’istruzione dalle gravi distorsioni di questi anni, che ne hanno messo in crisi cultura ed esperienze, in nome di non meglio identificate competitività, efficienza e meritocrazia? Così viene definita la politica dei tagli e dei bassi stipendi per gli insegnanti, che vengono tutti da una lunga e seria formazione, la razionalizzazione applicata alla scuola. Così si spiega l’iniquo e permanente finanziamento alle private, che reclutano insegnanti precari e privi di formazione, e che sottraggono risorse a seri interventi statali, aggravando dispersione e crisi del sistema. E siccome abbiamo tutti capito che il vero “dispersore” di giovani studenti è lo Stato, che non garantisce l’obbligo scolastico fin a 16 e 18 anni, che non si sente obbligato a garantire una scuola per tutti, e che è in capo allo Stato la massima responsabilità dell’abbandono scolastico, così come in Italia da nessun’altra parte dell’Europa, così come in Sardegna da nessun’altra parte dell’Italia, una Regione autonoma come la nostra, e la sua nuova Giunta, deve subito cominciare a battersi perchè il Paese abbia una vera legge che imponga l’obbligo scolastico. Dall’infanzia fino a 16 anni, e poi fino a 18, perchè la Sardegna non sia più la regione a più alta dispersione scolastica. L’obbligo scolastico a scuola, in classe, gratuitamente per i non abbienti, non nella formazione professionale regionale privata e gestita in termini clientelari, non in percorsi integrati tra scuola e formazione professionale, che regionalizzano il sistema, ma in un percorso unitario nazionale fino a 16 anni, che consenta al giovane di scegliere quando è già più maturo, non a 14 anni. Come avviene nel resto dell’Europa, e oltre, se un giovane proveniente dal lontano Kazakistan, qui in Italia per raggiungere la madre che fa la badante, ci ha tenuto a precisare, durante il colloquio che precedeva la sua iscrizione ad un corso di lingua italiana, che lì nel suo paese di provenienza, la scuola è obbligatoria fino a 18 anni. Mentre da noi, dovrebbero denunciare i partiti progressisti impegnati nella campagna elettorale, è consentito addirittura a un quindicenne di assolvere l’obbligo nell’apprendistato, in un’officina, in una parruccheria, svilendo le lotte di alto impegno culturale e civile che hanno visto in questi anni la scuola protagonista, insegnanti, studenti, genitori, lavoratori. Che oggi vanno a votare, e perchè non sia senza significato la scuola al centro, potrebbero essere rassicurati da un discorso orientato in questa direzione. Dentro un sistema scolastico rigorosamente nazionale, per niente concedere ai localismi leghisti che mettono semplicemente le scuole delle regioni più ricche in grado di funzionare meglio a scapito delle più povere. Ripristinando tempo pieno e forme di sperimentazione ministeriali delle buone pratiche di insegnamento-apprendimento su tutto il territorio nazionale. Un impegno subito in direzione di una scuola pubblica, finanziata sulla base del diritto all’istruzione, sulla base del dettato costituzionale. Togliendo, sulla base del dettato costituzionale, il finanziamento alle private. Legge nazionale quella sull’obbligo certo ma, in termini di sollecitazione allo Stato nazionale, operi già in quella direzione la Regione Sardegna, in vista del raggiungimento di quell’obbiettivo, e destini le sue risorse non a progetti antidispersione, che mai hanno ridotto il numero degli abbandoni, in quanto finalizzati ad attività fuori dal curricolo, fuori dall’attività scolastica quotidiana, ma serie leggi sul diritto allo studio, seri interventi che consentano ai ‘capaci e meritevoli’, come da Costituzione, di frequentarla la scuola. Leggi nazionali quelle sul finanziamento alle private certo, ed anche regionali. Cominci la Regione Sardegna a dire che lei quelle risorse le recupera tutte per finalizzarle al diritto allo studio, a una pratica che prepari a provvedimenti nazionali per l’innalzamento dell’obbligo a 16 e 18 anni. Perchè, di fatto, oggi l’obbigo in Italia è ancora fermo a 14 anni, se i provvedimenti devastanti di Moratti e Gelmini consentono di uscire dalla scuola, per assolverlo nei percorsi integrati, nell’apprendistato. E cresce il numero dei giovani tra i 16 e i 25 anni che non studiano e non lavorano, come in nessun altro posto in Europa. In Sardegna come in nessun altro posto in Italia, se le proteste operaie nella nostra regione denunciano, prima di tutto, l’impossibilità di far proseguire gli studi ai figli, quando si vive di cassa integrazione o di assegni di disoccupazione. E cresce il degrado sociale, e crescono le diseguaglianze, come in nessun’altra parte dell’Europa. Non mi sembra di aver sentito questi discorsi nel corso della campagna elettorale, non basta dire faremo questo e quello, la Sardegna deve porsi, rispetto a se stessa e al resto del paese, come luogo della politica coraggiosamente delineata, per impedire la fine della scuola italiana. Vuol dire porre al centro la difesa della Costituzione della Repubblica, e non mi sembra neppure di aver sentito questo di discorso neanche, nè da parte di chi - come Piagliaru - pone al centro la scuola ma aderisce a partiti che a livello nazionale la Costituzione della Repubblica la vogliono cambiare, nè da parte di altri - come la Murgia - che a tutt’altra repubblica, sarda, regionale, locale, pare facciano riferimento. Pensare che Cappellacci parli di scuola e di istruzione è come credere che esiste babbo natale.
E’ un discorso questo da riprendere dopo le elezioni.
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