Mario Sciolla
Oggi dedichiamo attenzione al Sulcis Iglesiente, una delle aree più disastrate d’Italia, con due interventi: un’analisi ad un osservatore esperto e acuto, e, in un distinto articolo, l’intervista ad un candidato della sinistra sulcitana.
Il Sulcis-Iglesiente ha oggi punti saldi di riferimento politico? Dare risposte sarebbe un azzardo. La prossima scadenza delle regionali farà capire meglio. E’ oramai sbiadita l’idea un tempo abituale di zona orientata a sinistra. L’ultima vittoria del centrosinistra – tra elezioni regionali e politiche – è del 2006. Progressivi cambiamenti hanno visto vittorie del centrodestra nel 2008 (politiche) e, ancor più evidente, nel 2009 (regionali). Infine l’uragano delle politiche del 2013, con il M5S da solo a primeggiare, anche rispetto alle due coalizioni maggiori. Sono molte, certo, le analogie con le realtà nazionale e regionale, e non solo per il successo del M5S (si pensi al progressivo calo nell’affluenza al voto). Ma in una zona di così radicate tradizioni il fenomeno impressiona. Si pensi alla vittoria dei grillini chiarissima non solo a Iglesias (ove la sinistra – pur con tradizione importante – non ha mai avuto, anche nei risultati migliori, prevalenza netta), ma anche a Carbonia, tradizionale baluardo della sinistra. Oramai l’orientamento tradizionale non c’è più. La fiducia nella sinistra, se ci sarà, non avverrà per un “ritorno all’ovile”; andrà ricostruita e riconquistata.
Questi e altri problemi mi sono posto nel lungo periodo di incertezza se annullare o meno la scheda elettorale. Mi chiedevo spesso: è meno grave una protesta inutile (voto nullo) o un voto dannoso? Sono riuscito a risolvere il dilemma, decidendo di votare per Francesco Pigliaru e per un candidato di una lista della sua coalizione. Ma i problemi e i quesiti restano. Pur mantenendo sdegno e senso di ripulsa per i partiti, lego il voto all’affidabilità delle persone che vengono proposte. Sgombero il campo da equivoci, apparentemente opposti tra loro: 1) non ho affatto simpatie per il M5S; 2) mi irrita l’ufficialità paludata antigrillina che, mediante una piuttosto chiara conventio ad excludendum, si atteggia ad “argine”, a “tutela della democrazia”. Iniziative del M5S chiaramente fuori luogo, scorrette, talvolta insultanti offrono certo il destro per la denuncia e l’accusa. Ma, ad esempio, nel vedere e udire alla Camera il coro antigrillino di “Bella ciao” da parte dei difensori della democrazia mi chiedevo: quanti di questi facevano parte della banda dei 101 sicari anonimi durante le votazioni per la presidenza della repubblica? Quegli stessi 101 che alcune settimane prima erano non anonimi, ma con chiaro nome e cognome, nella consultazione delle primarie e poi nelle elezioni a parlamentare. Così come le motivazioni sgangherate dell’impeachment invocato dal M5S per Napolitano non mi fanno certo dimenticare che il presidente della repubblica ha avuto più di uno straripamento istituzionale chiaro, evidente.
Non credo di essere sprovveduto di fronte a questi problemi. Tanti, non solo io, nel Sulcis-Iglesiente ne restano sconcertati pur avendo un background di esperienza e militanza. Ricevo segnali di situazioni analoghe alla mia anche da persone un tempo chiarissimamente orientate nella scelta e nel voto. E l’estrazione è varia; dall’operaio alla casalinga all’intellettuale. Una rinnovata fiducia nella sinistra (per me, nel PD) è stata sperperata per conduzioni dissennate, sospingendo sino al limite del rifiuto totale. Il processo non si è manifestato improvvisamente. Anzi, ha avuto progressive manifestazioni proprio nella parte che si riteneva la più agguerrita e organizzata: i lavoratori dell’industria. Ad esempio, qualche decennio fa nella zona sarebbe stata inimmaginabile una truffa politica secondo cui le amicizie personali potevano risolvere vertenze territoriali di enorme portata. Eppure cinque anni fa i lavoratori di Eurallumina credettero alla panzana di Ugo Cappellacci secondo cui la vertenza sarebbe stata risolta con una telefonata tra Berlusconi e Putin. Mancanza di ancoraggi certi che si è manifestata anche in altre occasioni. Ricordo un momento di esposizione nazionale del Sulcis-Iglesiente, con la partecipazione (e collegamento in diretta da Carbonia) al programma di Santoro. Ne emerse una rabbia sicuramente motivata, ma anche – io credo – sapientemente orientata da chi gestiva il programma: vi trovò posto la furia; non emerse una proposta. Ricordo che chi gestisce questo blog scrisse allora: “non ho riconosciuto il mio Sulcis”. Condivisi la valutazione allora; la condivido tuttora. La scomparsa di ancoraggi certi (organizzazione, piattaforme certe, individuazione chiara di controparte e di alleati, disperazione – forse – nell’individuare mete possibili) ha finito per convincere che il surrogato poteva essere la spettacolarizzazione. Così un sindacalista del Sulcis diventava famoso ed emblematico non per la capacità di organizzazione, ma perché diceva in diretta a un noto leghista che “non gli doveva rompere i coglioni”. Nessuna meraviglia che quel sindacalista sia finito nella stessa (effimera) compagine elettorale in cui figurava proprio il collaboratore di Santoro di quel collegamento in diretta. Penso che una parte del clamoroso successo M5S anche nel Sulcis sia da collegare proprio con l’adesione a iniziative e movimenti ove prevale l’eclatante, l’andar sopra le righe. Illusione che porta all’enfasi e non risolve alcun problema.
Si pone qui il primo punto necessario per una possibile ripresa della zona: ridiventare attivi nella capacità di proporre, di prospettare idee e progetti attuabili. Sta qui, peraltro, il mio apprezzamento per Francesco Pigliaru. Ironia della sorte, giungo ad apprezzare uno che esplicitamente si rifà a Matteo Renzi, per il quale non ho alcuna stima. Ancora non riesco a capacitarmi sul come un esponente rigoroso come Pigliaru, riservato ma fermo nei presupposti dell’analisi e delle ipotesi di soluzione possa fare riferimento al fiorentino quasi maniaco dello spettacolo, che concepisce e attua il messaggio politico con le tecniche dello spot per il dentifricio o per il detersivo. In aggiunta, a riprova di dissennatezza, il PD sardo è arrivato a candidare Pigliaru nel modo peggiore, dopo una pessima gestione delle primarie; in extremis; dopo un forsennato scontro interno tra capicorrente. Per fortuna la dignitosa uscita di Pigliaru dalla giunta Soru nel 2006, ferma anche a costo di interrompere un forte rapporto solidale, dà garanzie sulla sua estraneità a logiche di fazioni, di cordate, di ingerenze indebite.
La più volte manifestata capacità di Francesco Pigliaru di analizzare, studiare con equilibrio, tenere d’occhio contesti e modelli che altrove si sono rivelati virtuosi può essere utile anche per il Sulcis-Iglesiente. E si può coniugare con una proposta (il “piano Sulcis”), l’unica – va detto – avanzata oggi nel territorio con la dignità di assumere il ruolo importante di punto di riferimento, se si vuol credere in una prospettiva da costruire. A questo proposito, anche per completezza di giudizio, va aggiunto che nella sinistra di zona le gravi responsabilità nella gestione politica non hanno comunque fatto venir meno la capacità di analizzare e progettare concretamente. Non sarà facile superare il disorientamento di fondo della zona dovuto alla constatazione che un modello di sviluppo industriale voluto in passato ha dimostrato i gravi limiti di prospettiva che stanno sotto gli occhi di tutti. D’altra parte, sarà tutta da verificare una capacità imprenditoriale tradizionalmente carente nella zona, ove finanziamenti e incentivi sono troppo spesso andati nelle fauci di opportunisti. Ma, intanto, non si può prescindere dal formulare proposte e dal proporsi obiettivi concreti, andando ben oltre la protesta esagitata e inconcludente.
Resta un secondo punto, non meno importante per la ripresa della zona: l’esigenza di ricostruire un tessuto organizzativo, che ricompatti fiducia e possibili forze in campo. Qui sta uno degli altri motivi di fondo della mia delusione per il PD. Vi trovo, in zona, l’assenza di un concetto di partito che fondi adesioni e consensi sul rapporto organizzato con categorie e territorio. L’unico tessuto connettivo pare affidato a collegamenti personali da intrecciare con finalità elettorali o unendoli in cordate o contrapponendole ad altre (ne ho testimonianze evidenti anche nel corso di questa campagna elettorale). Anche per questo – pur nella notevole distanza che avverto rispetto a SEL – ho individuato un possibile “investimento” di zona nel suo candidato di Iglesias, l’unico che conosco a fondo, anche e soprattutto perché ne apprezzo la visione politica ben lontana da campanilismi, tesa piuttosto all’esigenza di risolvere i problemi della zona con la compattezza anche territoriale, con la ricostruzione di quella fiducia che è venuta a mancare, capace di dialogare e interpretare esigenze diffuse, nel pensionato di Iglesias e Carbonia, nel cassintegrato di Portovesme, nel lavoratore agricolo di Masainas etc. E questo problema potrà risolversi, oltre che con ideali e programmi, con la dedizione convinta di chi pone al suo servizio capacità, pazienza e costanza nel lavoro. Non a caso dicevo prima di aver superato la tentazione del voto nullo riferendomi non già a partiti, ma all’affidabilità delle persone.
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