Marchionne sconfitto. Con la Fiom-Cgil vince la democrazia

30 Dicembre 2013
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In questi giorni di fine anno e poi nei primi giorni del 2014 vogliamo ricordare alcuni avvenimenti del 2013 che dimostrano la continuità della lotta per il lavoro e  per la democrazia. Per questo pubblichiamo oggi un articolo di Alessandro Cardulli, apparso sul sito “articolo 21″ del 4 luglio 2013. Evoca la vittoria della Fiom di Landini contro Marchionne davanti alla Corte costituzionale. Ci sono tutti gli ingredienti per una ripresa dell’Italia: il lavoro, la democrazia a partire dai luoghi di lavoro, la Costituzione da applicare.  Ecco l’articolo.


L’era Marchionne si è chiusa in un’ aula solenne della Repubblica italiana, fondata sul lavoro, sulle libertà sindacali, i diritti del lavoratori. La sentenza emessa dalla Corte Costituzionale non lascia dubbi. E’ un colpo  a quello che è stato chiamato il “ sistema Lingotto.” La Fiom-Cgil, le tute blu della Fiat sono state vittime di una ingiustizia che ha segnato la vicenda sindacale di questi tre anni con  riflessi non secondari per quanto riguarda il rapporto fra le tre Confederazioni e all’interno della stessa Cgil, fra istituzioni e sindacati, le forze politiche, il Pd in primo luogo che ha avuto più di una esitazione nel prendere parte, schierarsi non tanto conla Fiomma con chi combatteva una battaglia che riguarda tutti i lavoratori. Ora i delegati Fiom tornano in fabbrica a rappresentare i lavoratori che hanno scelto il più grande sindacato delle  tute blu. Una vicenda che riguarda anche il ruolo svolto dai media, basta ripercorrere le tappe di questa lunga storia, di un conflitto cui solo la Consulta poteva porre fine, per  scoprire che non si tratta di un bel vedere. Anzi

C’è da arrossire rileggendo le cronache pro Lingotto
Rileggendo le cronache che raccontano le tante manifestazioni promosse dalla Fiom che chideva solo di poter essere rappresentata nelle aziende del gruppo c’è solo da arrossire. Editorialisti, commentatori di vario genere, sindacalisti della Cisl e della Uil, delle organizzazioni di categoria aderenti alle due Confederazioni, e poi quelli dell’Ugl, del sindacato padronale, non ci hanno messo un minuto a schierarsi dalla parte di Marchionne  l’ad del Lingotto, quello con la mania del maglioncino  girocollo. Eccoli quei rivoluzionari della Fiom, Maurizio Landini, il segretario generale, un pericoloso estremista, massimalista, comunista, quasi grillino prima  di Grillo, promotore di un nuovo partito della sinistra radicale. “Usavano “ i lavoratori per i loro interessi  di bottega, li facevano scioperare, scendere in piazza. Ancor di più: non consentivano a Marchionne di lavorare in tutta tranquillità, rivolgendosi ai tribunali di tutta Italia dove sono stati discussi ben 61 ricorsi finché non sono arrivati alcuni verdetti che avanzavano  dubbi di costituzionalità sull’articolo 19  in base al quale i rappresentanti in fabbrica della Fiom erano stati esclusi.

Gli accordi separati e i ricatti del manager col maglioncino
La vicenda prende corpo a partire dal 13 dicembre del 2010. Inutile ricordare i precedenti, gli accordi separati, il ricatto di Marchionne, o accettate il nostro “ modello” di lavoro, o tutti a casa, niente investimenti. Basta ricordare il famigerato “ Fabbrica Italia” di fatto neppure tirato fuori dai cassetti, investimenti  promessi, vere e proprie truffe nei confronti di lavoratori con la corda al collo, la minaccia di licenziamenti, di massa, di chiusura di aziende. Lo studio legale di Marchionne usa un referendum del 1995, voluto da Rifondazione comunista per consentire ai Cobas di  essere rappresentati insieme a Cgil, Cisl, Uil. Ed arrivo  un papocchio perché alla fine cancellando  parte dell’articolo contestato finì che sui luoghi di lavoro avevano diritto di essere rappresentati solo i firmatari dei contratti nazionali. Per Marchionne il gioco  era fatto, bastava uscire da Confindustria, dar vita ad un contratto nazionale per tutto il gruppo del Lingotto.

Il “modello Pomigliano”esclude il sindacato Cgil dalle fabbriche
Si arrivò così al “modello Pomigliano” esteso a tutte le fabbriche del gruppo.La Fiom non firmò un contratto capestro che colpiva duramente i lavoratori e così’ venne esclusa dalla rappresentanza sindacale aziendale (Rsa” che aveva sostituito  la rappresentanza sindacale unitaria ( Rsu).La Fiom non aveva più neppure il diritto ad esporre in bacheca i propri comunicati. Veniva esclusa la più forte delle organizzazioni sindacali dei metalmeccanici.  Da qui parte la lotta per riconquistare un diritto dei lavoratori, quello di farsi rappresentare dal sindacato che più loro aggrada. Si poteva rimediare a questa ingiustizia, il Parlamento aveva la possibilità di legiferare in merito alla rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro. Marchionne aveva ed ha molti amici che siedono negli scranni parlamentari. Ministri come Sacconi prima e poi anche quelli di Monti, lui stesso insieme a Fornero non hanno mai pensato che andava sanata una situazione insostenibile per un paese democratico. Dal Pd,  dopo un molte esitazioni, in particolare per iniziativa di Cesare Damiano, il problema veniva posto. Poi è arrivato lo “storico “ accordo fra Cgil, Cisl, Uil   e Confindustria sulla rappresentanza sindacale. Ma subito Marchionne e soci facevano sapere che Fiat non faceva parte di Confindustria, non era tenuta a rispettare l’accordo. Ora ci ha pensatola Consulta. La Fiom torna nelle fabbriche Fiat con i suoi rappresentanti. Una vittoria di tutti i lavoratori, ha commentato a caldo Maurizio Landini. Se il Parlamento trovasse il tempo e la voglia di tradurre in legge l’accordo sindacale, ogni possibilità di equivoco verrebbe cancellata. Sempre il segretario generale della Fiom dice che la democrazia torna in fabbrica. E, insieme, nel Paese.


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