Reddito di cittadinanza e sicurezza sociale

12 Dicembre 2013
3 Commenti


Gianfranco Sabattini

Prima del secondo conflitto mondiale John Maynerd Keynes affermava che gli Stati autoritari dell’epoca risolvevano il problema della disoccupazione a spese dell’efficienza e della libertà. Keynes, tuttavia, era certo che il mondo non avrebbe tollerato a lungo la mancanza di libertà, ma anche che non avrebbe sopportato la “piaga” della disoccupazione, imputabile alle ingiustificabili forme dell’individualismo capitalista. Il grande economista di Cambridge era anche certo che, abbattute le dittature, una corretta soluzione del problema della disoccupazione sarebbe stato possibile trovarla, conservando l’efficienza nelle libertà.
Dopo il secondo conflitto mondiale, però, l’organizzazione del mercato del lavoro ha subito un cambiamento nella modalità d’uso della forza lavoro, originando una diffusa e irreversibile disoccupazione o sottoccupazione strutturale, che ha messo progressivamente in crisi il sistema di sicurezza sociale basato sul modello elaborato nel Regno Unito da William Henry Beveridge nel 1942. Questo sistema aveva tre funzioni: assicurare alla forza lavoro disoccupata la garanzia di un reddito corrisposto sotto forma di sussidi a fronte di contribuzioni assicurative; assicurare un reddito alle categorie sociali che, per qualsiasi motivo, abbisognassero di un’assistenza temporanea nella misura in cui esse non avessero diritto ad alcun sussidio; assicurare al sistema economico servizi regolativi e di supporto all’occupazione ed al risparmio, attraverso la realizzazione delle condizioni che davano titolo a ricevere i sussidi. L’obiettivo fondamentale del welfare State realizzato è stato sin dal suo inizio molto circoscritto e determinato; il sistema è però fallito, a causa delle perdita della flessibilità del mercato del lavoro.
Il sistema di sicurezza sociale realizzato dopo il secondo conflitto mondiale era basato originariamente sulla premessa che l’economia operasse in corrispondenza del pieno impiego, o ad un livello molto prossimo al pieno impiego, cosicché le contribuzioni della forza lavoro bilanciassero le erogazioni previste in suo favore. Ma il sistema così come era stato concepito all’origine è divenuto largamente insufficiente rispetto all’evoluzione successiva della realtà economica e sociale. Ciò perché il welfare State è stato progressivamente esteso per coprire le emergenze conseguenti all’aumentata complessità dei sistemi economici; in tal modo, esso è divenuto costoso ed inefficiente a seguito dell’espandersi delle varie forme di sussidio che è stato necessario corrispondere e dei costi burocratici per le “prove dei mezzi” (le prove cioè di trovarsi realmente in stato di bisogno) alle quali i beneficiari dovevano essere sottoposti.
Il fallimento delle riforme e delle integrazioni cui il sistema di sicurezza sociale è stato sottoposto, subito dopo la sua realizzazione, ha orientato l’analisi economica ad assumere che la sicurezza sociale dovesse avere principalmente lo scopo di assicurare una costante flessibilità del mercato del lavoro e non quella di compensare la crescente insicurezza reddituale delle forza lavoro. Il modo opposto per rendere tra loro compatibili la flessibilità del mercato del lavoro e la sicurezza reddituale individuale nella libertà, da un lato, e l’efficienza del sistema economico, dall’altro, è stato individuato nell’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza.
Questa forma di reddito dovrebbe essere corrisposta di diritto a ciascun cittadino sotto forma di trasferimento, indipendentemente da ogni considerazione riguardo ad età, sesso, stato lavorativo, stato coniugale, prova dei mezzi e funzionamento del sistema economico. Il suo fine ultimo dovrebbe essere quello di riconoscere ad ogni singolo soggetto, in quanto cittadino, il diritto ad uno standard minimo di vita in presenza di una giustizia sociale più condivisa; un sistema di sicurezza sociale fondato sull’erogazione del reddito di cittadinanza potrebbe raggiungere, sia pure indirettamente, tale fine in termini più efficienti ed ugualitari di quanto non sia stato possibile con il sistema di sicurezza sociale tradizionale.
La maggior flessibilità del mercato del lavoro, coniugata con una maggior sicurezza ed una maggior equità, consentirebbe ai singoli soggetti di scegliere tra un più alto reddito/maggior lavoro e un più basso reddito/più tempo libero; la possibilità di esercitare questa scelta cambierebbe in positivo la percezione che le persone hanno della disoccupazione. Inoltre, la coniugazione della flessibilità del mercato del lavoro con la sicurezza e l’equità favorirebbe la realizzazione di una maggiore uguaglianza dei lavoratori rispetto al sesso, il contenimento e la riduzione della diffusione della segmentazione della forza lavoro e rinforzerebbe la propensione di molta forza lavoro disoccupata ad indirizzarsi verso lavori part-time e di altri lavoratori specializzati di abbandonare i lavori full-time.
Ancora, un sistema di sicurezza sociale fondato sull’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza concorrerebbe a ridurre il bisogno di attuare programmi volti ad avviare attività improduttive per la creazione di un alto numero di posti di lavoro fittizi, in quanto la corresponsione di un reddito incondizionato rende più facile, per coloro che lo ricevono, decidere come impiegare il loro tempo libero fuori dal mercato del lavoro. Infine, l’erogazione del reddito di cittadinanza incoraggerebbe lo svolgimento di un’attività lavorativa per l’autosostentamento; quest’ultimo, comportando per la forza lavoro una minor propensione ad inserirsi sul mercato del lavoro, renderebbe possibile l’innalzamento della qualità e del gradimento del lavoro e quello del contributo della forza lavoro al miglioramento del benessere sociale.
Bisogna riconoscere che, se è vero che nell’interpretazione liberista del liberalismo non sono mancati celebri pensatori, come Friedrich August von Hayek e Milton Friedman, che hanno sostenuto la desiderabilità di un “reddito universale garantito”, è altrettanto vero che alcuni altri, come Robert Nozick e Ludwig von Mises, hanno sempre criticato, inorriditi, la plausibilità e la desiderabilità della corresponsione universale di un reddito incondizionato. E’ solo con l’interpretazione repubblicana del liberalismo che pensatori come, ad esempio, John Rawls e Ronald Dworkin, che le due libertà (libertà negativa e libertà positiva), proprie dell’interpretazione liberista del liberalismo, sono state coniugate con una terza libertà (quella dal bisogno) per garantire a tutti una totale autonomia di giudizio, il cui perseguimento ha costantemente allertato le preoccupazioni dei liberisti, di regola sempre propensi a svolgere il ruolo di “diga di contenimento” del riformismo, anche se condiviso, del repubblicanesimo.
Tuttavia, pur riconoscendo le differenze tra le proposte dei liberisti e quelle dei repubblicani, anche queste ultime , come le prime, implicano che la libertà dal bisogno e la giustizia distributiva siano sempre perseguite condizionandole al rispetto degli equilibri tra gli automatismi economici. La tesi di Rawls, infatti, secondo cui le disuguaglianze distributive sarebbero giustificate solo se contribuissero a fare aumentare il prodotto sociale sotto condizione che l’incremento vada a vantaggio dei più sfavoriti, è intrinsecamente limitata dalla necessità che il miglioramento “di chi sta peggio” avvenga sotto condizione che siano rispettate le leggi di mercato e dello stabile funzionamento del sistema economico orientato alla crescita. Non si può regolare perciò l’introduzione del reddito di cittadinanza con qualche riforma dell’attuale sistema condizionato di garanzia sociale; esso può essere introdotto e regolato solo se sarà possibile rivoluzionare nel medio-lungo periodo il welfare State esistente; finalizzando, inoltre, la “rivoluzione” anche al perseguimento di altri obiettivi, quali quelli connessi al controllo degli esiti negativi di una crescita continua, attraverso l’individuazione di una “banda di contenimento” delle disuguaglianze distributive, compresa tra il livello del reddito di cittadinanza inteso come reddito minimo per tutti e un “tetto massimo” per i salari più alti.

3 commenti

  • 1 Renato Monticolo
    13 Dicembre 2013 - 00:13

    Mutatis mutandis, occorre trovare la Pietra Filosofale?

  • 2 Gianfranco Sabattini
    13 Dicembre 2013 - 10:21

    Non so cosa intenda dire Monticolo con il suo breve commento all’articolo; se intende affermare, come mi sembra di poterlo interpretrare, che il reddito di cittadinanza apprtiene al mondo dei sogni, allora si sbaglia. Non avrà molto da attendere per vederlo progressivamente realizzato all’interno dei paesi politicamente e socialmente più responsabili, anche se l’Italia, per poterlo anch’essa realizzare, dovrà attendere di potersi agganciare al carro riformista degli altr.
    Se poi Patricolo vorrà convincersi che ciò che a volte, politicamente e socialmente parlando, sembra essere un sogno, è in realtà successivamente realizzato. Perché si convinca di ciò, lo invito a scorrere la letteratura che il dibattito svoltosi nel Regno Unito sulla possibilità di costruirei un sistema di sicurezza sociale che avesse coperto universalisticamente tutti i cittadini contro i rischi sociali “dalla culla alla bara”. Appremderà che anche allora vi erano molte perplessità sulla introduzione del welfare State, perche gli scettici ritenevano che la possibilità della sua introduzione andasse oltre ogni umana immaginazione. Gli scettici, voglio sperare che Patricolo non sia uno di loro, devono essere rimasti molto soprpresi allorché nell’immediato dopoguerra è stato introdotto il Piano Beveridge (welafre State) che nei decenni successivi è stato adottato anche dagli altri paesi industriali democratici. Mai disperare.

  • 3 Renato Monticolo
    13 Dicembre 2013 - 15:29

    Non sono scettico, temo purtroppo di essere troppo concreto. Mi sono collegato al link governativo inglese ed ho….leggiucchiato (non per superficialità ma per limiti nella mia conoscenza dell’inglese) il programma governativo (https://www.gov.uk/government/policies/simplifying-the-welfare-system-and-making-sure-work-pays#bills-and-legislation).
    Non mi sembra così semplice e soprattutto trasferibile al sistema italiåno. Mœ auguro tuttavia di essere in errore e di vedere realizzate quanto prima le ipotesi da lei evidenziate.

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