Gianfranco Sabattini
L’economia sommersa è quella parte dell’economia la cui caratteristica principale è quella di sfuggire all’osservazione, alla regolamentazione e alla rilevazione; essa rappresenta una quota importante dell’economia italiana ed è una delle piaghe sociali particolarmente rilevanti nel nostro paese.
L’economia sommersa è presente in tutti i paesi al mondo ed è molto difficile individuarne il peso percentuale “naturale” sul prodotto interno lordo della nazione (PIL). Generalmente, l’economia sommersa è correlata positivamente alla pressione fiscale e inversamente all’efficacia dei controlli fiscali e all’entità delle sanzioni. Nel 2009, l’Istat ha stimato l’economia sommersa italiana pari al 17% del prodotto interno lordo; essa, tuttavia, sfugge alla contabilità nazionale tradizionale per cui il risultato delle attività economiche che contribuiscono ad alimentarla non è rilevato nella stima del prodotto interno lordo del paese.
Molti sono gli aspetti istituzionali delle vita economica e sociale del paese in base ai quali è spiegata l’esistenza e le dimensioni del sommerso. Un ruolo importante è svolto dalla legislazione riguardante il mercato del lavoro; questa può risultare eccessivamente vincolante e inadeguata rispetto alle esigenze del mercato, inducendo imprese e lavoratori a ricercare la necessaria flessibilità nell’economia sommersa. Non va trascurata la possibilità che il sommerso risulti funzionale alla gestione e all’espansione dell’economia regolare, soprattutto nei momenti in cui molte imprese intendono migliorare la propria capacità competitiva con la sostituzione delle tecnologie “labour intensive” con altre ad alta intensità di capitale; in questi casi, le imprese che tendono a migliorare la loro efficienza delegano a piccole e medie imprese le fasi a più alta intensità di lavoro della loro organizzazione produttiva, in virtù della presunta maggiore capacità delle piccole e medie attività produttive di sfuggire, entrando nel sommerso, alle norme sulla legislazione posta a tutela della forza lavoro.
Nella spiegazione standard del fenomeno del sommerso, si assume che i soggetti scelgano di agire illecitamente sulla base di decisioni razionali dal punto di vita dell’economia; nel senso che la propensione ad agire illecitamente è tanto maggiore quanto minore è il reddito percepibile nel mercato del lavoro regolare, quanto maggiore è il reddito percepibile nel mercato del lavoro irregolare e quanto minore è, da un lato, la probabilità di essere sanzionati e, dall’altro, l’ammontare della sanzione. Le decisioni si collocano, quindi, nella prospettiva dell’individualismo metodologico, basate sull’idea che gli agenti economici compiono le loro scelte in un “vuoto” istituzionale e in assenza di condizionamenti storico-sociali; inoltre, le stesse decisioni sono “aperte” alle implicazioni dell’individualismo etico, ovvero alla considerazione dell’agire economico giustificato indipendentemente dall’esistenza di regole comportamentali condivise.
Sulla base della spiegazione standard del fenomeno del sommerso, le politiche pubbliche volte a contrastarlo sono fondamentalmente due: una è fondata sulla deregolamentazione del mercato del lavoro e l’altra sull’erogazione di sussidi per scoraggiare l’offerta di lavoro nell’economia irregolare. La prima forma di politica implica l’idea secondo cui il sommerso esiste a ragione della convenienza da parte di alcuni agenti economici a collocarsi in segmenti di mercato nei quali è possibile non rispettate le regole vigenti: dal lato della domanda, a causa dell’eccessiva regolamentazione dei contratti di lavoro; dal lato dell’offerta, a causa della correlazione positiva che si suppone esista tra la propensione della forza lavoro ad offrirsi in segmenti del mercato del lavoro irregolari e il tasso di disoccupazione esistente. L’erogazione dei sussidi è posta a fondamento delle politiche pubbliche anti-sommerso allorché si accetta l’ipotesi che l’amento dei sussidi di disoccupazione possa ridurre l’offerta di lavoro nell’economia sommersa, per via del fatto che l’aumento dei sussidi di disoccupazione accresce il cosiddetto “salario di riserva”, ovvero il salariale minimo al di sotto del quale la forza lavoro non è più disposta a lavorare, nel senso che viene a trovarsi in una condizione di indifferenza rispetto al confronto tra il salario di riserva e quello di mercato.
Poiché è stata accertata l’efficacia dell’aumento dei sussidi di disoccupazione in funzione della “lotta al sommerso”, viene spontaneo chiedersi come mai nel nostro paese non si decida finalmente di introdurre un reddito di cittadinanza erogato quantomeno a tutta la forza lavoro disoccupata. per metterla realmente in una condizione di indifferenza rispetto al settore illegale dell’economia. Il reddito di cittadinanza, tra l’altro, oltre a favorire l’emersione dal sommerso di molte attività svolte illegalmente, aumenterebbe i “gradi di libertà” a disposizione dei poteri pubblici per risolvere molte altre questioni che da anni attendono d’essere affrontate, quali ad esempio, le riforme strutturali delle quali il paese ha urgente bisogno.
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