Red
Michele Piras, deputato di SEL, manifesta a L’Unione sarda stupore perché - a suo dire - alcune “personalita storiche della sinistra” spendono molte energie “nella polemica avversa alla medesima parte politica”. Piras allude alle critiche mosse da questo blog alla condotta di Massimo Zedda nell’affaire Crivellenti. Non entra però nel merito. Sarebbe interessante sapere se per lui è buona amministrazione discriminare 44 persone che hanno presentato regolare domanda per la nomina a soprintendente in favore di una persona che non l’ha presentata, ma è stata presentata a Zedda, per sua stessa ammissione, da un autorevole dirigente di SEL, ossia del suo partito. C’è su questa vicenda una sentenza del Tar, che, fino a impugnazione e riforma del Censigliodi stato, è la legge del caso concreto.
Poi l’on. Piras, nella sua nota stampa, allude all’opposizione a Soru per la sua legge statutaria, ma omette di dire che in quel caso fu addirittura la Corte costituzionale a sancire - caso unico nella storia della Consulta - che l’atto promulgato dall’allora Presidente della Regione come legge statutaria non era mai esistita come legge perché bocciata al referendum. Un atto arrogante, accompagnato da una grave e clamorosa stravaganza giuridica. Chi è di sinistra, in questi casi, sta zitto? Sta dalla parte di chi viola le leggi e la Costituzione? Piras, dunque, nell’uno e nell’altro caso dovrebbe entrare nel merito delle questioni, attenendosi ai fatti e alle sentenze. O anche lui non le legge?
In attesa di una risposta di Piras sul merito della vicenda, che pubblicheremo molto volentieri, diciamo al deputato di SEL che nella sua affermazione c’è un grave errore, un imperdonabile travisamento della realtà. Secondo lui noi, lui e il sindaco di Cagliari saremmo della “medesima parte politica”. Ma dai! Michele, non hai ancora capito che non è così? Non ti rendi davvero conto che noi non siamo della medesima pasta di chi fa mala amministrazione. Non siamo dalla parte di chi esercita la rappresentanza senza confronto, senza serietà e rigore. E non abbiamo, noi, mai fatto telefonate ai padroni o ai loro servetti, ridendo a crepapelle di giornalisti democratici impegnati a difesa dei diritti dei cittadini. Per chiarirti il concetto ti diciamo che non facciamo e non vogliamo far parte di partiti o correnti “di potere e clientela” o di partiti “comitato elettorale”. Siamo piuttosto dalla parte di chi, nella gestione della cosa pubblica, la pensa come Enrico Berliguer, che poi, in fondo, è quanto prescrive la stessa Costituzione quando all’art. 54 impone a chi ricopre una carica pubblica di farlo con “disciplina ed onore”. Per rinfrescarti le idee e provarti che noi non siamo della stessa parrocchia, ecco come la pensava Berlinquer nella ben nota intervista a Scalfari di trent’anni fa. Noi siamo fermamente ancorati a questo modo di intendere la politica. Tu cambia e attualizza i nomi utilizzati da Berlinguer per indicare i partiti o correnti “di potere e clientela” e capirai dove si trova chi fa malamministrazione.
Nel nostro giudizio sul Teatro lirico è concorde anche il PD in Consiglio comunale per bocca di Davide Carta. Ma, ahinoi!, alla Regione tutti insieme pretendete che noi votiamo una signora, alla quale auguriamo (come a tutti anche a Zedda) di dimostrare la sua piena correttezza e a cui riconosciamo senza riserve la presunzione di non colpevolezza, ma che intanto diciamo che non può essere candidata e votata perché indagata per fatti di malapolitica. Non siamo di sinistra per questo nostro rifiuto? E lo siete voi che ormai nei vostri organi dirigenti avete i ranghi pieni di indagati? Lo siete voi che, sempre più, contro chi critica il malaffare e contro i magistrati che lo combatttono, usate le stesse parole e ora anche le stesse minacce di querela di Berlusconi?
Leggi, dunque, questa intervista a Enrico Berlinguer, che di sinistra lo era davvero, e ti convincerai che la vostra controparte siete voi stessi. E questo poco male. Il fatto è che, con queste vostre prodezze amministrative e politiche, avete ridotto la sinistra al lumicino. Ma ora, on. Piras, leggi con attenzione le parole di Enrico e traine ispirazione per esprimere i tuoi giudizi sulle posizioni altrui.
Intervista a Enrico Berlinguer
di Eugenio Scalfari - La Repubblica
* * *
La passione è finita?
Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora…
Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.
È quello che io penso.
Per quale motivo?
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c’è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.
Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.
E secondo lei non corrisponde alla situazione?
Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo.
La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel ’74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell’81 per l’aborto, gli italiani hanno fornito l’immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane.
Veniamo all’altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.
In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l’andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito “diverso” dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità.
Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d’infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C’è da averne paura?
Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all’equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?
Veniamo alla seconda diversità.
Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.
Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.
Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant’anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi.
Non voi soltanto.
È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell’economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l’iniziativa individuale sia insostituibile, che l’impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell’attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?
Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un’offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.
Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s’intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l’occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.
Dunque, siete un partito socialista serio…
…nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo…
Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?
No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c’è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese.
Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c’è o no?
Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad esempio: vedrà che in gran parte c’è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni -che poi non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale- senza la quale non può cominciare alcun rinnovamento e sanza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta.
Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. […] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.
Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d’accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l’inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell’obiettivo. È anche lei del medesimo parere?
Risponderò nello stesso modo di Mitterrand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L’inflazione è -se vogliamo- l’altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l’una e contro l’altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l’inflazione si debba pagare il prezzo d’una recessione massiccia e d’una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.
Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell’ “austerità”. Non mi pare che il suo appello sia stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del partito…
Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industrializzati -di fronte all’aggravamento del divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all’avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza- non consentiva più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la “civiltà dei consumi”, con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i giovani è uno dei segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Ma dicevamo dell’austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento dell’economia, ma che l’insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l’avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il nostro modo di porre il problema dell’austerità e della contemporanea lotta all’inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati.
E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?
Il costo del lavoro va anch’esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul fronte dell’aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l’operazione non può riuscire.
«La Repubblica», 28 luglio 1981
2 commenti
1 mariaelisabetta
17 Novembre 2013 - 13:32
Le monete,si sa, hanno una doppia faccia. In molte questioni appare evidente l’ambivalenza dei due lati. Sia di testa che di croce le monete hanno lo stesso valore. Sulla telefonata di Vendola c’è una moneta sonante (migliaia di posti di lavoro e parte dell’economia di un’intera regione) con una doppia faccia, quella della vergogna e quella del dialogo.
Da una parte la vergogna di una risata, che onestamente pare sincera, sentita e gustosa dall’audio originale della telefonata, da parte di un presidente di regione, non di un cittadino qualunque, su un atto vile e al limite del codice penale perpetrato da Archinà verso il povero giornalista indifeso (ma questo lo sa meglio di noi l’Avv. Pubusa). Dall’altra il dialogo del Governatore e la ricerca di un rapporto positivo con quel gruppo che garantisce la serenità, il lavoro e il pane di migliaia e migliaia di famiglie pugliesi. Prevale forse la simpatia verso il dialogo, considerato che una telefonata privata non andrebbe mai pubblicata (vedi sms del sindacalista!!!!) soprattutto perchè in tali contesti confidenziali si utilizzano toni e modalità non istituzionali.Sarebbe come mettere una telecamera nella stanza da letto di un qualsiasi presidente, carica pubblica o giornalista.Inaccettabile!!!!
Il Presidente Vendola cerca di salvare il suo territorio mantenendo un proflilo friendly con il gruppo Riva e questo può giustificare la telefonata. Nulla toglie che si poteva solidarizzare con il gruppo industriale attraverso un atteggiamento telefonico più istituzionale forse più cauto e quindi senza risate a crepapelle (che tra l’altro sono state ricambiate da un comportamento molto freddo e professionale da parte di Archinà). Nessuno avrebbe avuto da ridire. Stessa cosa per il Sindaco Zedda. I suoi cattivi consigliori gli hanno suggerito la strada peggiore, quella dell’arroganza e del non rispetto delle leggi sbagliando palesemente e malinterpretando la fondazione teatro lirico come fosse un’azienda privata. Perchè non ha nominato la Crivellenti nel rispetto delle regole che la Fondazione stessa si era data? Questo rimane il mistero più grande. Caro Avv. Pubusa perchè non fa una convenzione con il Comune di Cagliari (previo bando pubblico!!!!!) e va a fare qualche lezione di diritto ai consigliori del Sindaco che stanno disseminando di bucce di banana il percorso che sembrava fulgido e di straordinario successo di un giovane politico in forte ascesa? In fondo era la persona giusta: giovane, mai chiacchierato, faccia pulita, famiglia rispettabile, educato e tollerante. Ci sono errori macroscopici in tutte le questioni del comparto culturale. Qualcuna di queste gliel’ha sottolineata il TAR. Ripropongo la riflessione: se il Sindaco fa la pace con la città e ascolta chi ora gli può apparire un nemico, collaborando nell’interesse del comparto cultura, farà la scelta giusta, dimostrerà la maturità di un leader e soprattutto la città, riconoscente, gliene renderà merito alle prossime elezioni. Pazienza per quei pochissimi, 15/20 personaggi, che non potranno più consumare le loro inutili vendette. Invece, secondo me, può rivincere mandando al diavolo tutti coloro che lo stanno inducendo in errore, e ci sono tanti esempi, come ho detto ieri. Ma deve farlo subito e rimediare a tutti gli scempi di questo disastroso, per lui, 2013. Chissà se il calo nei consensi del sondaggio pubblicato di recente gli abbia suggerito qualcosa. Era un segnale importante, ma se prosegue su questa strada il calo sarà ancora più drastico. Però tutti noi siamo dotati del libero arbitrio. Al Sindaco la scelta, i consigliori o il suo futuro politico.
2 Antonello Pabis
17 Novembre 2013 - 16:13
Semplicemente … grato
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