Gianna Lai
Predi Antiogu e sa Perpetua, una rappresentazione liberamente ispirata a “Sa scommuniga de Predi Antiogu”, viene replicata da Elio Turno Arthemalle e da Rossella Faa stasera e domani alle 21 all’ex Liceo artistico di piazzetta Dettori. Ecco una recensione di Gianna Lai.
Entra in scena già infuriato Predi Antiogu, e sempre più arrabbiato per le interferenze della perpetua, man mano che si materializzano le immagini dei parrocchiani ladri e fedifraghi, evocate nella preparazione della predica e della scomunica da lanciare in Chiesa. (per cozzare a sua volta con lui) Ma quando l’invettiva prende finalmente corpo, in un crescendo di contrasti e ripensamenti, l’attacco sgorga diretto e forte, e trascina con sè prete e perpetua, e i loro dubbi e le loro incomprensioni, e tutto il pubblico chiamato lì a rappresentare gli odiosi fedeli, che hanno rubato le capre del Parroco. ‘Populu de Masuddas,/ chi a s’ora de accuiai/ is cabonis e is puddas/ basseis a scrucullai,/ donaimi attenzioni/ po totu su chi si nau,/ si appa tenni arrexioni/ de ciccai is crabas mias,/ ca funti già duas bias/ chi dd’appu fattu notoriu/ e custu ad essi su trezzu/ e uttimu monitoriu’. Liberamente tratta da ‘Sa scommuniga de preri Antiogu’, opera anonima del 1879, e rappresentata nei giorni scorsi all’ex Liceo artistico di piazza Dettori da Elio Turno Arthemalle e Rosella Faa, ‘Predi Antiogu e sa Perpetua’ è un’arringa in vena comica dai toni duri e aspri che, pronunciata nella solennità della messa, mette in ridicolo il prete e la Chiesa e tutti i riti e le credenze che ne caratterizzano il rapporto col popolo. Ma per costruirla questa scomunica deve, s’Arrettori, tener conto del parere della Perpetua, seguirne i consigli quando serve, e rintuzzarla quando solleva troppo la testa. E deve inserire is brebus e i canti, che vanno provati e riprovati nell’interpretazione della perpetua stessa, stare attento che l’anatema sia completo in tutte le sue parti, e ripetuto con forza tale da intimorire e da scoraggiare anche i più protervi. Devono cioè sottoporsi i due protagonisti, perchè la predica e la scomunica abbiano i loro effetti, a prove estenuanti e ripetute come fossero a teatro e, come a teatro, leggere e rileggere i testi preparati e modificarli, e ritornare indietro a recuperare il senso di una frase, o un tono di voce, o una cattiva pronuncia. Attori essi stessi Preri Antiogu e sa Perpetua, nella bella interpretazione di Elio e di Rossella coinvolgono il pubblico alla scoperta del modo in cui nasce la sceneggiatura e i personaggi di un racconto, e di come si inventa un ambiente e di come si va in scena. E come si prepara la recita, anticipando gli eventi e tutto quello che deve ancora accadere, e che il pubblico immagina accadrà, così come sta avvenendo in quel momento sul palco. Contro i malinnius e disconnotus del paese che se ne ridono della predica e dell’anatema , e is beccus futtudus e is eguas colludas, che vanno in Casteddu ‘a bagassai’. E che sembra siano tra di noi, per come ci scrutano e ci osservano severamente gli attori, a farsi beffe degli sforzi di Preri Antiogu e della Perpetua, in questo così esile confine che separa gli spettatori dalla Chiesa immaginaria, caratterizzata da quei pochi e significativi oggetti di rito. Ne emerge un forte realismo scenico, ancor più determinato, cadenzato, dal reciproco benevolo influsso degli attori l’uno verso l’altro, pronti alla digressione e all’improvvisazione se si tratta di lanciare frastimus, ingiurie e maledizioni, anche ad esempio contro il popolo dei tifosi, che entra chiassoso dalle finestre di una caldissima sera di fine Ottobre, all’ultimo piano dell’ex Artistico. Ed è di forte intensità il trasporto che si crea con questa lingua antica e strana, tra il sardo e il latino maccheronico, che costruisce di per sè la comicità dei dialoghi e che gli attori sanno riprodurre, colorandola di un’interpretazione popolaresca e vivace. Nei toni della voce, nell’espressione del corpo, nel sapiente ritmo di un dialogo che costruisce in crescendo le fasi cruciali della predica, dall’accusa iniziale alla meticolosa descrizione delle capre rubate, al lamento e alla condanna finale, e alle minacce delle più terribili torture infernali.
Nei suoi studi sulla lingua sarda Wagner si era appassionato alla lettura di questo testo, e lo aveva tradotto e ne aveva trascritto la fonetica, così preziosa ancora oggi per noi lettori. Gramsci nella lettera dal carcere del 27 giugno 1927 chiedeva alla madre di spedirgli ‘la predica’ che lui conosceva già bene, per poterla rileggere. Ed è stato bello per noi riviverla proprio nella scuola che un tempo Gramsci ha frequentato.
1 commento
1 francesco cocco
2 Novembre 2013 - 20:56
Bene Gianna! Non dobbiamo sottovalutare certa nostra letteratura in limba. Sa Scomuniga è veramente uno spaccato del mondo sardo dell’ Ottocento con toni che attingono all’ universalità E’ significativo che Gramsci intendesse comporre un poemetto in sardo sulla falsariga de Sa Scomuniga. Voleva ricordare i personaggi tipici di Ghilarza: il mondo al quale egli tornava nelle mente e dal quale traeva la forza non solo per sopravvivere ma per darci quel grande monumento di pensiero che sono i “quaderni”.
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