Gonario Francesco Sedda
Fuochi d’artificio con le parole per sbalordire? O gioco delle tre carte per far perdere le tracce dei contenuti? O entrambe le cose? Matteo Renzi continua (Leopolda 2013) con le sue acrobazie verbali sconfinando spesso nel nonsenso. Qualche esempio.
1. “Non sei di sinistra perché non parli di lavoro? No, non sei di sinistra perché non crei lavoro”. Così Matteo, figlio di Leo, che ha fatto la polda con la pelle di poldo …
Ma il nostro arguto fiorentino, personalmente, ha mai “creato” lavoro? Se non ne “parla” e non ne ha creato vuol dire che sicuramente non è di sinistra.
Ha forse contribuito in qualche modo alla creazione di lavoro? Una risposta negativa confermerebbe ancora che Matteo Renzi non è di sinistra. Invece in caso affermativo si dimostrerebbe che “creare” lavoro non è atto di imprenditori “isolati”, ma è un risultato di sistema e in un sistema si comunica, “si parla”. Dunque M. Renzi dovrebbe aver parlato di lavoro con gli agenti diretti che lo creano. Ma se ne parla con questi ultimi, perché mai non dovrebbe parlarne rivolgendosi ai “cittadini” per chiedere il loro voto?
Infine, ha creato lavoro direttamente come “agente di sistema”, come politico-amministratore sulla base di un programma? Una risposta affermativa manderebbe in frantumi la frase in esame, perché costruita sulla opposizione escludente tra il non essere di sinistra se parli di lavoro e invece l’essere di sinistra se lo crei.
Ma non basta. Il contributo alla confusione di questo fantastico Renzi-pensiero non è di poco conto.
Così S. Berlusconi, che ha “creato” lavoro, dovrebbe essere di sinistra come imprenditore. Si può dire altrettanto come politico?
Così il prussiano Marchionne dovrebbe essere di sinistra in Brasile, Polonia e Serbia dove “crea” lavoro e di destra in Italia dove non ne crea e neppure è riuscito a mantenere quello esistente. Ma è stato di sinistra anche in Italia (con certificazione dello stesso M. Renzi: “Con Marchionne senza se e senza ma”) benché abbia “solo” parlato di lavoro promettendolo per dividere i sindacati.
2. “La sinistra che non cambia si chiama destra”. Così Matteo, figlio di Leo, che ha fatto la polda con la pelle di poldo …
Questa frase ha come punto d’appoggio il concetto di cambiamento. Può essere un esempio in negativo per dubitare della “rivoluzione della semplicità” di M. Renzi. Certamente è una frase semplice, che vorrebbe “parlare chiaro”. Ma come può essere chiara una frase che, per quanto semplice, si gioca esclusivamente in chiave evocativa? Se non si precisa quale sinistra, quale cambiamento e quale destra, i suoi significati sono molti.
E poi occorre tener presente il “verso” del cambiamento e già questo basta per falsificare la frase. Infatti se appare plausibile (anche solo sul piano evocativo) dire che se una “sinistra” non cambia diventa destra, all’inverso non è altrettanto plausibile affermare che se la “destra” cambia diventa sinistra.
Per “definire” la permanenza di una forza politica nell’area delle “sinistre” non basta invocare la categoria del cambiamento in generale, perché essa stessa deve essere definita.
Naturalmente Matteo Renzi, per esaltare la sua immagine di grande innovatore, tende a mostrare “fermo” il suo partito. Ma così non è. Il PDS, i DS e il PD sono “cambiati” molto in questi ultimi venti anni e possono essere dei casi di studio per vedere come “cambiando” (e non stando immobili, come presume M. Renzi) si può andare verso “destra”.
3. “Mai più larghe intese”. Così Matteo, figlio di Leo, che ha fatto la polda con la pelle di poldo …
Ma non si tratta di un attacco al governo di destra attuale (PD, PDL e altri) che nel suo intervento non cita quasi mai e dove lavorano anche i “renziani” (rendono un servizio al paese in uno spirito di giorgiesca collaborazione!!!). L’illustre tifoso della fiorentina parla di futuro, non di Berlusconi. In attesa che diventi “sindaco d’Italia”, i “renziani” (una truppa che s’ingrossa sempre di più raccogliendo gli ex di qualcosa) lavorano, con qualche brontolio e qualche insignificante mal di pancia, sul terreno del “berlusconismo reale” votando tutto, assieme ai berlusconiani e ai diversamente berlusconiani, ai liberal-liberisti di Monti, allo splendido centro di Casini e al resto del PD “non renziano”.
Il futuro di “sindaco d’Italia” (in regime di alternanza garantita) sarà in discontinuità con il governo delle larghe intese “di ora”?
Sembra che la discontinuità dichiarata riguardi più il quadro politico (il chi governa) piuttosto che la presa di distanza dal “berlusconismo reale”. Quindi M. Renzi e la sua “squadra” (che in questo caso non è la fiorentina) fanno il gioco delle parti: i “renziani” fanno il lavoro sporco, concorrono a svolgere in casa i compiti imposti all’Italia dai tecnocrati liberal-liberisti europei (sperando in un secondo tempo meno doloroso) e il leader può curare la propria immagine di innovatore senza macchia e senza paura, a volte criticando l’inciucio attuale (ma senza esagerare) e quasi sempre infierendo sul corpo martoriato del suo amato PD.
Se invece il futuro governo “senza inciuci” (a vocazione maggioritaria, in un quadro bipolare e dio-ci-scampi-e-liberi-dal-proporzionale) venisse pensato in discontinuità col governo di “Giorgio” Letta, allora i “renziani” (ex di che?) dovrebbero dimettersi e contribuire con i loro leader a creare le condizioni per andare a votare il più presto. Su quali siano queste condizioni ci sarebbe da discutere. Appunto!
Ma forse il “giovane” incendiario Matteo Renzi crescendo si avvia a diventare pompiere. E un pompiere meno vecchio rimane comunque un pompiere.
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