Gianna Lai
Stasera alle 19, su iniziativa del Circolo dei lettori Miele Amaro, verrà presentato al Caffé Savoia di Cagliari il libro di Mario Faticoni “Svegliatevi sardi” - Costantino Nivola intervistato da Mario Faticoni. AM&D editore. Ecco una recensione del libro a cura di Gianna Lai.
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Avergli dato ascolto trent’anni fa, al tempo dell’intervista di Mario Faticoni, le parole di Costantino Nivola erano già permeate di un significato ben più forte della garbata disamina su un popolo inconsapevole e deresponsabilizzato. Perchè costruivano un’immagine della Sardegna autentica e immediata, partendo in modo nuovo e diverso dall’ esperienza dell’ intellettuale emigrato, e dalla collocazione di quelli che invece nell’isola erano rimasti. Di chi governava o era all’opposizione, di chi stentava a capire, o di chi non assumeva il senso di una battaglia da combattere tutti i giorni. Doveva far riflettere quel sapiente andare avanti e indietro nella storia di un popolo che non sa fare autocritica e che, già nelle prime pagine del testo, appare così stupidamente sottomesso all’autoritarismo devastante del fascismo e del nazismo, incapace sempre di reagire all’oppressione che segna da tempo la sua subalternità. ‘Svegliatevi sardi’, Costantino Nivola intervistato da Mario Faticoni a Long Island, per le Edizioni AM&D, appare oggi come un bel condensato della Sardegna e del mondo degli anni Sessanta-Settanta, attraverso gli occhi di un artista disincantato, che aveva già passato metà della sua vita in America, e di un giovane intellettuale attento alle trasformazioni e ai mutamenti che, si pensava, avrebbero dovuto definire anche la storia dell’isola. Nelle domande del giornalista già troviamo infatti il senso di una visione critica del presente, che man mano contribuisce a precisare il quadro in cui si muove l’artista sardo-americano, il suo modo di registrare con sguardo acuto i passaggi del tempo, di considerare la complessità come la vera ricchezza degli uomin’. E l’etica dell’artista, che deve ‘rispondere a cose che non hanno utilità o guadagno’, e che deve insegnare ‘il passaggio dall’utilitario al contemplativo’. In questa realtà mai separata dal quotidiano, sembra proprio svilupparsi il giusto contesto per raccontare di un forte senso di appartenenza, che induce Nivola a scrivere ai suoi parenti usando ancora il sardo. E per parlare di un ritorno in Sardegna, forse in una Sardegna così come la vede l’artista, agricola, pastorale, fondata su piccole aziende locali e decentrate, ancora espressione di vita modesta e parsimoniosa. Dove la mobilità ‘diluisce questo veleno locale, il rancore, l’invidia, il sospetto’, e dove si ponga come indispensabile il fattore estetico. E una cultura popolare basata sulle necessità della comunità stessa, a contrasto del cattivo gusto e di quel senso di squallore che imperano nell’isola, e che investono addirittura certi scrittori regionali, naif e autodidatti, ma così crudeli nella narrazione, rozzi e insensibili. Dice Nivola che lui lo farebbe l’esperimento dell’indipendenza, partendo dalla premessa anarchica secondo cui ‘l’uomo messo nella condizione naturale è capace di mostrare il suo lato positivo’. E sembra proprio sfidarli i sardi del suo tempo, lasciando ai possibili futuri lettori la riflessione sulla maturità e la responsabilità dell’artista, che si esprime politicamente e si schiera apertamente.
Ma tant’è, i partiti della sinistra hanno perso di vista la realtà, artigiani e pastori si sentono liberi se corrono veloci sulle loro automobili, l’industrializzazione dell’isola continua a fondarsi su aspirazioni e soluzioni da terzo mondo. Carica di pregiudizi che impediscono la leggerezza e la libertà, la Sardegna, così come il resto dell’Italia e dell’Europa, ha difficoltà a capire il concetto di democrazia in America,: ecco il contrasto netto col paese che usa la testa per pensare, e che da tempo accoglie Nivola e sa rispettarlo. Mentre i sardi continuano ad avere dell’artista, in maniera offensiva, l’immagine di un piccolo sardo come loro e, infatuati ‘di cose che vengono dalla civiltà esterna’, non rispettano il suo lavoro e gli preferiscono l’opera già preconfezionata di uno che viene da fuori. E così dimostrano di non avere proprio le idee chiare, perchè quel grande sardo frequenta gli artisti del tempo, lavora con Le Corbusier, prepara in America disegni e sculture per la Mobiloil e insegna archittetura all’Università di Barkeley. E la sua Piazza di Nuoro è ancora meta, dal 1967, di tanti artisti, ed è già finita sulle riviste più importanti e prestigiose di urbanistica e progettazione. Lui che gli intellettuali della Sardegna li ha frequentati tutti, da Lussu a Antonello Satta a Michele Columbu, a Lilliu, Foiso Fois e Sciola, ed anche i poeti e gli scrittori del tempo, da Quasimodo a Sinisgalli a Ungaretti, consegna il suo bilancio di artista tra due mondi all’amico Mario, giornalista e giovane attore di Teatro, che torna in Sardegna dopo essere stato ospite nella casa di Long Island. C’è tra i due un vero e proprio scambio di punti di vista nell’ analisi e nella valutazione, non sempre necessariamente convergenti, dei temi della contemporaneità, quasi a colmare la distanza che geograficamente li separa in due terre così lontane e diverse: una scrittura chiara e nitida, mette fortemente in risalto i sentimenti d’amore e di rispetto che l’autore del libro nutre per l’artista, restituendocene vivissima l’immagine, forte il valore dell’eredità così originale. Per riscattarne cultura e umanità, idee e pensiero.
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1 commento
1 Clara Murtas
24 Ottobre 2013 - 09:38
Cara Gianna,
nel tuo bell’articolo hai colto il valore di questo messaggio che ci viene dal passato: un artista amareggiato ma non vinto dall’indifferenza che consegna ad un altro artista che allora aveva ancora delle speranze, un’esortazione al risveglio. Ma nonostante Mario avesse compreso e accolto il suo messaggio, ancora oggi dobbiamo con lui amaramente constatare l’attualità della critica di Nivola e condividere la sua amarezza. Ancora speriamo…
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