Gianfranco Sabattini
Gli esiti della “crisi dei mutui” possono essere colti da due distinti punti di vista: da un punto di vista della teoria economica e da un punto di vista del funzionamento dell’economia mondiale.
Dal primo punto di vista, deve essere colta la fallacia di chi crede che l’economia possa essere ridotta ad un puro gioco per fare soldi, senza alcun riferimento del suo impatto sul sistema sociale all’interno del quale quel gioco si svolge. Il mercato dei derivati (titoli il cui rendimento dipende da quello dei titoli sottostanti che li compongono) è il frutto di innovazioni finanziarie che, secondo Robert C.Merton e Myron S.Scholes (insigniti del Premio Nobel per l’economia nel 1997) avrebbero dovuto rendere “efficiente la gestione del rischio”. Questi autori hanno messo a punto complicati “modelli econometrici” che avrebbero dovuto consentire la costruzione di “portafogli-titoli” esposti ad un rischio complessivo inferiore a quello dei titoli che li compongono. Gli innovatori hanno creduto così di poter suggerire agli investitori (imprese e banche) di orientare i loro investimenti per la costituzione di portafogli “imbottiti” di derivati ad alto rendimento ed a rischio contenuto, per via della differenza esistente tra il rendimento del “contenitore” e quello del “contenuto”.
Confidando sui modelli econometrici innovativi, imprese e banche hanno diminuito la loro propensione all’investimento in ricerca e sviluppo e in altre forme di impiego classico a tutela della consistenza del loro patrimonio ed hanno aumentato la loro propensione all’indebitamento. Al fine di favorire la continua negoziazione dei titoli, gli investitori hanno sempre di più focalizzato la gestione delle loro attività d’investimento sul breve termine, diventando così dei “shortermisti” (alla lettera, operatori che decidono solo a breve termine), con la conseguente subordinazione del funzionamento dell’economia reale agli andamenti nel breve termine dei valori di mercato dei titoli finanziari e la tendenza, soprattutto dei gerenti delle imprese e delle banche, ad agire in modo da far crescere di continuo il loro valore per “incassare” le laute stock-options. E’ accaduto cosi, come viene osservato, che imprenditori e banchieri siano diventati sempre più ricchi, contribuendo all’approfondimento ed all’allargamento delle disuguaglianze distributive a livello nazionale ed internazionale, con conseguente ulteriori motivi di disordine e di instabilità delle singole economie intergrate nel mercato mondiale.
Dal punto di vista del funzionamento dell’economia mondiale, infatti, a più di un anno dallo scoppio dello scandalo dei mutui americani, la crisi da essi indotta si è diffusa a livello mondiale in termini non solo finanziari. Secondo molti osservatori, i prezzi delle case nel mercato immobiliare americano stanno crollando ad un ritmo tale per cui si prevede che ben 6,5 milioni di mutui cadranno in pignoramento, sino a rappresentare più di un decimo di tutti i prestiti ipotecari americani. Di fronte a questo quadro, ci si deve domandare quale tipo di effetti negativi la crisi dei mutui americani può originare sull’economia mondiale. Per gli osservatori internazionali, esistono almeno quattro ragioni per credere che l’impatto negativo della crisi dei mutui possa “contagiare” in modo grave anche l’economia mondiale.
Innanzitutto, perché la crisi riguarderà, sia pure in misura minore, anche l’Europa, che, in ragione del rafforzamento dell’euro, registrerà in futuro una crescita più lenta di quella americana; con la conseguenza che il rallentamento della crescita, inevitabilmente, sarà seguito da una contrazione delle esportazioni americane verso l’eurozona. In secondo luogo, perché l’aumento del prezzo delle materie prime, alimentato dalle pressioni inflazionistiche, originerà disordine ed instabilità economica all’interno dei paesi più deboli integrati nell’economia mondiale. In terzo luogo, perché, le due ragioni precedenti spingeranno gli stessi paesi più deboli e più esposti agli esiti negativi della crisi dei mutui a restringere l’area del libero scambio, dal quale il processo di globalizzazione è alimentato. In quarto luogo, perché la crisi dell’economia americana produrrà effetti all’interno dei paesi dipendenti dalle esportazioni cinesi; queste infatti sono destinate a contrarsi a causa dei ridotti aiuti americani a quei paesi, possibili solo se la Cina riesce, con le esportazioni, ad accumulare gli accreditamenti sull’estero coi quali finanziare il debito pubblico degli Stati Uniti. Tutti concordano che il mondo intero non si trovi alla vigilia di una Grande Depressione del tipo di quella occorsa nel secolo scorso; tuttavia, come negli anni Trenta del secolo scorso, la fase acuta della crisi non è quella d’oltreoceano, ma quella che si avrà non appena essa avrà finito di generalizzarsi all’intera economia mondiale.
Quale conclusione può essere tratta dalla considerazione complessiva della crisi dei mutui e dai suoi effetti negativi sull’economia-mondo? Molti economisti nostrani (ma non solo), preoccupati che la crisi possa suggerire l’urgenza e la necessità di una maggior presenza dello stato nel controllo soprattutto dei mercati finanziari, da giorni stanno sottolineando che il crollo dei mercati finanziari non segnerà sicuramente la fine del capitalismo; che le crisi finanziarie non sono una patologia del capitalismo, in quanto sono intrinseche al capitalismo stesso; che la crisi attuale è una crisi di fiducia e, proprio per questo, non può che essere temporanea; che le crisi stanno al capitalismo come gli scandali politici stanno alla democrazia ed il fatto che accadano dimostra solo la loro incoercibile validità. D’accordo! Ma occorrerà pur sempre rimuovere i mali che sono disfunzionali allo stesso capitalismo, come ad esempio l’illusione che con gli algoritmi econometrici (utili sin tanto che le operazioni su si essi fondate sono strettamente legate alla produzione reale) ci si possa illudere di aver scoperto la pietra filosofale per accrescere la ricchezza attraverso “bolle d’aria” ed in modo svincolato dalla produzione reale; oppure rimuovere tutti i meccanismi ed i processi che causano il peggioramento dell’equità distributiva e che, come si è visto, non sono estranei alle modalità con cui il privilegiamento del breve termine consente di massimizzare le stock-options da nababbi dei top-manager finanziari. Le istituzioni capitalistiche bene ordinate attraverso un maggior controllo pubblico sui comportamenti degli operatori non sono superflue, dato che, perifrasando Winston Churchill, si può concludere col dire che il capitalismo, come pure la democrazia, sono come le fortezze, resistono quando le guarnigioni sono buone.
Crisi delle borse e crisi del liberismo
15 Ottobre 2008
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