Rosamaria Maggio
Continuiamo a onorare la figura del compagno Nuto Pilurzu con questa ricordo di Rosamaria Maggio.
Ho conosciuto Nuto subito dopo la laurea, nel lontano 1978, grazie al mio compagno col quale cercavo uno studio per fare pratica.
Dopo aver girato a lungo negli studi professionali di Cagliari, dopo essermi sentita dire che in fondo per una donna sarebbe stata meglio un’ altra attività piuttosto che l’ avvocatura, una sera fortunata fummo ricevuti da Nuto nello studio di via Sassari ed immediatamente accolti.
Con Nuto ho imparato a trasferire la teoria appresa all’Università all’attività pratica, ho trascorso circa quattro anni seguendo ogni processo in tutte le sue fasi.
Non solo anche allora era difficile trovare uno studio che accogliesse un praticante, ma sicuramente era impossibile trovare un professionista di quel livello disposto a “perdere tempo” per insegnare la professione ad un giovane inesperto.Tanto che il vecchio avv. Franco Massacci, spesso difensore di parte avversa, mi chiamava “la bambina dell’ avv. Pilurzu”, intendendo dire con ciò che mi trattava come una figlia. Ma Nuto era uno che intendeva cosi’ il suo essere maestro di un giovane, ed ovviamente quello che fece per noi lo avrebbe fatto per chiunque.
Iniziava la sua giornata anche alle cinque del mattino, quando aveva un ricorso importante da presentare , e ciò accadeva spessissimo perché quelli erano i primi anni di applicazione dello Statuto dei lavoratori e gli operai affollavano lo studio in decine per rappresentare le loro vertenze nei confronti di datori di lavoro spesso molto potenti. Chiunque poteva chiedere un parere, senza preoccuparsi di avere o meno i mezzi per pagare la parcella. E lui ha sempre lavorato a prescindere.
Nuto scriveva direttamente a macchina, non aveva bisogno di tracciare una brutta copia. In quegli anni non esistevano ancora i pc e, quindi, i sistemi di correzione e cancellazione informatici. Spesso lo trovavo in studio al mio arrivo, prima delle 8, ed aveva già ultimato un ricorso,una memoria, un appello , magari dopo aver dato una lustrata allo studio.
Il suo modo di essere semplice e schivo era identico nelle situazioni professionali, politiche o familiari.
Le mie scelte professionali sono andate in altre direzioni ma credo che anche nel mio ultimo approdo, l’insegnamento, la sua guida sia stata essenziale.
In studio era prassi ragionare su tutto ciò che si faceva, niente veniva dato per scontato, era un laboratorio, a scuola si chamerebbe didattica laboratoriale.
La sera si finiva tardi perchè anche con gli altri avvocati, più o meno giovani, si discuteva a lungo delle varie pratiche. Si parlava anche di politica, e quegli anni non erano meno inquietanti degli attuali.Il terrorismo, l’omicidio di Aldo Moro sono solo alcuni fatti che hanno segnato la storia del nostro paese e quel periodo.
Ricordo il suo essere contrario ad ogni formalismo, ricordo che un Presidente di Tribunale, peraltro amico, gli fece osservare che in aula ci si presentava con la cravatta: lui sorrideva ma la cravatta non la ha mai messa.
In quegli anni Nuto attraversò momenti difficili, la sua salute sembrava essere cagionevole, ma poi incredibilmente si riprese. Fu forse la casa in campagna che gli consentì di migliorare la qualità della sua vita e di proseguire in pienezza i suoi impegni, tanto lavorativi quanto sociali e familiari.
Dopo aver lasciato lo studio ogni tanto andavo a trovarlo, parlavamo un po’ di tutto.
Lo ricordo un’ultima volta alla commemorazione di Luigi Pintor nello scorso mese di maggio:stava bene, era allegro, non pensavo minimamete che potesse lasciarci così presto.Voglio ricordarlo così.
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