Gianna Lai
Oggi Cagliari e la Sardegna accolgono Francesco, a cui guardano con speranza non solo i fedeli, ma anche i laici e i miscredenti. Bergoglio suscita le speranze negli uomini di buona volontà come ai tempi di Papa Giovanni XXIII. E mentre allora, nel pieno di un forte balzo economico, c’erano grandi leader e grande ottimismo nel futuro, ora c’è nelle masse popolari, colpite dal liberismo senza freni, una profonda mortificazione e prevale una preoccupazione per un futuro che appare oscuro. Francesco, col suo messaggio di solidarietà e giustizia sociale, compensa la sfiducia nei politici.
Ecco sulla figura di Francesco una riflessione di Gianna Lai, che viene ad aggiungersi a quelle di Francesco Cocco e di Gianfranco Sabattini nonché alla lettera aperta di Giacomo Meloni, già pubblicate in questo blog.
E’ un vero capo di Stato, Bergoglio, come pochi ce ne sono in Europa, che vuole “stare con sentimento passionale dentro le miserie del mondo”, in mezzo alla gente che soffre l’ingiustizia e il dolore della miseria. E quello che dice, lo pratica direttamente prima ancora di annunciarlo, dando alle parole il giusto significato. E se si impegna a voler comprendere il segno dei tempi, vuol dire che già intende accogliere tutti e ascoltare tutti, (anche noi non credenti cresciuti alla scuola del relativismo), in nome di una alterità che può davvero salvare il rapporto tra gli uomini del mondo, preservandoli dalla guerra. Non come le nostre maggioranze di governo, un’accozzaglia di interessi e privilegi, ormai così abituate a stravolgere il senso delle cose, da attribuire alle parole significati esattamente contrari. E da usarle con indifferenza, le parole, avendo perso del tutto il senso dello Stato, come fa Letta quando sintetizza il suo pensiero sulla longevità del suo governo con un “non ci ho scritto Giocondo”, e sull’IItalia in vendita, con un “non sarà un outlet, non tutto è a prezzo scontato”. E sempre un grande ottimismo di facciata, a commento della disoccupazione continua e crescente, per segnare ogni giorno di più la lontananza del governo dal popolo.
Si dichiara peccatore e chiama la Chiesa “ospedale da campo”, il Papa, in nome di quella misericordia ormai da tempo dimenticata nelle alte gerarchie ecclesiastiche, sostenendo un ‘pluralismo etico’ che dice no all’ingerenza spirituale nella vita delle persone. Quasi a significare date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio, cioè no all’ingerenza nelle leggi dello Stato, a intese Vaticano-Stato italiano. I politici devono amare il popolo, dice Francesco, la politica essendo l’espressione più alta dello spirito di carità. Come se stesse prendendo le nostre difese dall’ostilità di chi governa contro il popolo, e spaccia per riforme i decreti che ne sanciscono l’impoverimento, e strumentalizza la crisi per distruggere il lavoro e i diritti. E invoca la modernità per distruggere la Costituzione.
Certo è la cultura del Concilio Vaticano 2° che ritorna prepotentemente nei discorsi di Bergoglio, mai del tutto sopita, evidentemente, a partire dall’esperienza di coloro che si dichiarano gesuani, o che si richiamano alla teologia della liberazione, di cui i predecessori di Bergoglio avevano tentato di fare strame. Ma anche noi viviamo nella storia e nella cultura della Costituzione, però l’attuale maggioranza intende sravolgere, sostenuta dagli eminenti 42 giuristi, pronti ad ogni emergenza politica, evidentemente, e da Napolitano. Che niente ha trovato di eversivo nel discorso di Berlusconi, per rispondere in maniera adeguata ai magistrati, indignati di fronte all’attacco feroce e alla grave delegittimazione delle istituzioni, e della Costituzione stessa.
Oggi i cagliaritani ricevono con simpatia Bergoglio, e lui vuole incontrare e parlare per primi coi cassintegrati, poveri e disoccupati e carcerati, ben poco avezzi, anch’essi, al dialogo con chi governa la città. E ancora memori di un presidente Napolitano, in visita nel capoluogo per i 150 anni dell’Italia unita, così lontano dal popolo da rifiutare l’incontro con i lavoratori e scambiare con un attacco personale la loro giusta contestazione. Chi non ascolta, non avendo niente da dire, preferisce la politica del potere e dei rapporti di forza al dialogo e alla democrazia. Che è “esperienza estensiva e pervasiva delle istituzioni tutte”, proprio in nome della sovranità del popolo.
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