Lucia Pagella
Il potere di ciascuna camera di stabilire i titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause di ineleggibilità e decadenza è regolato dagli artt. 65 e 66 della Costituzione con riferimento alle leggi ordinarie. Oggi la legge di riferimento è la legge Severino ( D. L.vo 31/12/2012,n°235 )
Dato il contenuto di tale legge era scontato che la sentenza penale che ha condannato Berlusconi in via definitiva determinasse un fiorire di pareri di cui sei pro veritate e di interventi di giuristi noti e meno noti.
Non è questa la sede per entrare nel vivo del dibattito anche perché si tratta ( o dovrebbe trattarsi ) di problema squisitamente tecnico ma penso che sia utile fare qualche considerazione di carattere generale sul modo di procedere nel mondo del diritto quando gli interessi politici fanno aggio sull’esigenza di una corretta interpretazione della legge.
Nei pareri –almeno come riportati dalla stampa- si nota una carenza di argomentazioni giuridiche di carattere sistematico ed ermeneutico (oppure una carenza di informazioni da parte della stampa ); in altri termini i giuristi che si sono occupati del caso sembrano perlopiù seguire due diverse stelle polari che portano o alla decadenza o alla salvaguardia del condannato in modo per lo più apodittico.
A parte alcune considerazioni e conclusioni francamente stravaganti come quelle dell’on. Paniz secondo cui l’art. 66 della Costituzione non sarebbe applicabile a deputati e senatori per un problema di gerarchia delle fonti, come se l’art. 65 non facesse riferimento a leggi ordinarie, non si tiene conto, ad esempio, della collocazione dell’art. 66 che si trova nella parte seconda, titolo primo, sezione prima, intitolato all’Ordinamento della Repubblica e, in particolare, all’Ordinamento delle Camere.
Tale aspetto non è di poco conto perché ormai il problema ruota intorno alla esigenza di guadagnare tempo, tanto che ciò sembra essere divenuto il principale canone ermeneutico ( si fa per dire ). La discussione, infatti, si è incentrata sulla natura giurisdizionale della Giunta, sul carattere di sanzione penale della decadenza e, quindi, sulla incostituzionalità della legge Severino di cui si sostiene la retroattività affermando che di tale problema è indispensabile investire la Consulta.
A parte l’ovvia considerazione che ciò porterebbe ad ipotizzare un quarto grado del giudizio da parte di un organo che finirebbe per configurarsi come un Giudice speciale di cui non vi è alcun cenno nella sede propria e, cioè, nel titolo IV intitolato alla Magistratura, la norma che regola la decadenza prevederebbe una pena che non verrebbe irrogata dal Giudice competente per il reato, ma da un organo la cui funzione è quella di regolare l’ordinamento delle camere e verrebbe a sovrapporsi alla pena della interdizione dai pubblici uffici di stretta competenza della Magistratura. Ciò senza tener conto che la legge Severino parla di condanna che, nel caso di specie, è intervenuta successivamente all’entrata in vigore della legge. Sostenere che si deve fare riferimento al momento della commissione del reato, significherebbe che essere in presenza di una legge…a futura memoria.
La Giunta,deve deliberare solo sugli aspetti formali per accertare se nei casi in esame le sentenze devono comportare la incandidabilità o la decadenza ai sensi delle leggi ordinarie di riferimento.
Purtroppo le vicende politiche che sono inestricabilmente collegate alle vicende giudiziarie di un personaggio potente stanno trasformando quella che è stata la culla del diritto nella tomba dello stesso!
1 commento
1 francesco Cocco
18 Settembre 2013 - 10:31
Ecco come possono essere trattati con semplicità aspetti tecnico-giuridici che hanno grande rilevanza politica. Ed a proposito di rilevanza politico-istuzionale mi pare opportuno rilevare che non si modificano i regolamenti parlamentari quando sono in atto i procedimenti. Avremo una modifica contra- personam che è il corrispettivo delle abominevoli leggi a favore della persona. Non si può ridurre tutto ad interesse di bottega.
Lascia un commento