Carlo Dore Jr.
Il film di Spike Lee dedicato alla strage compiuta dai nazisti a Sant’Anna di Stazzema, attualmente in proiezione nelle sale di tutta Europa, è stato oggetto di molteplici rilievi critici da parte di alcuni autorevoli storici ed opinionisti, rilievi critici resi ancor più penetranti dal rifiuto – sbrigativo ed un po’ sprezzante – del regista di Atlanta di scusarsi con i rappresentanti delle associazioni dei partigiani per la sua personale rivisitazione di una delle pagine più nere dell’occupazione nazifascista in Italia.
Premesso che, come correttamente è stato osservato, la principale funzione di un film è “raccontare una storia” e non “raccontare la Storia”, la sensazione che mi ha procurato la visione di “Miracolo a Sant’Anna” è quella di una pellicola di buona qualità, che cerca di proporre due messaggi diversi con esiti diametralmente opposti. Efficace e crudele nel rilevare la triste condizione in cui i soldati di colore versavano nell’America degli anni ‘40, l’ultima fatica di Spike Lee scade rapidamente di tono nel momento in cui cerca di “revisionare la Resistenza”, nel tentativo – in verità assai frequente nell’Italia del “nuovo che avanza” – di obliterare la linea di confine che separa vincitori e vinti della guerra di Liberazione.
Narrando di un partigiano traditore a cui viene di fatto imputata la responsabilità della strage di Sant’Anna, di un soldato tedesco che cerca di salvare due bambini dalle pallottole della Panzer Division, di un capitano delle SS che non si piega alla follia sanguinaria del Reich e di un bandito della montagna costretto ad ammettere che “davanti a Dio saremo tutti eguali, partigiani e fascisti”, l’acclamato regista de “La venticinquesima ora” prova a convincere lo spettatore che “il bene ed il male non stanno mai da una sola parte”, e che gli eccessi, i tradimenti, le vessazioni che ogni conflitto fatalmente genera finirono con l’intaccare anche l’anima di coloro i quali si sono accreditati come liberatori agli occhi della Storia. La Russa e Alemanno non possono che esultare: la prospettiva di un convinto sostenitore di Barack Obama che sembra attestarsi sulle posizioni di Giampaolo Pansa costituisce un’autentica benedizione per i tanti cantori del revisionismo presenti nelle fila della destra berlusconiana.
Forse Spike Lee avrebbe dovuto dedicare qualche ora alla lettura di “Tango e gli altri”, l’ultimo (bellissimo) romanzo di Francesco Guccini e Loriano Machiavelli, in cui anche il mitico maresciallo Santovito (personaggio amatissimo da tutti gli appassionati del noir italiano) si trova ad indagare sulla sommaria esecuzione di un partigiano, giustiziato dai suoi commilitoni in quanto ritenuto responsabile di una strage mai commessa. Avrebbe infatti rilevato come da quelle pagine traspare una morale diversa da quella che ispira il suo film: la morale secondo cui c’è ancora chi rifiuta che un’indagine su un crimine di guerra, su un singolo fatto di cronaca nera venga utilizzata per gettare fango sull’intera Resistenza. Insomma, per usare le parole dello stesso Guccini, la Resistenza non si tocca.
Ma allora basta la storia di un tradimento – in realtà mai avvenuto – a rimescolare le posizioni di vincitori e vinti? Bastano le immagini di un partigiano assassino divorato dal desiderio di vendetta e di un soldato della Panzer Division con la vocazione dell’eroe a rendere partigiani, fascisti e SS “tutti uguali dinanzi al giudizio di Dio”? No, non bastano. In questo convulso intersecarsi di storie, abbiamo rischiato di perdere di vista i protagonisti più importanti: abbiamo rischiato di perdere di vista i seicento morti di Sant’Anna di Stazzema, abbattuti a sangue freddo e poi divorati dai lanciafiamme dei militari del Reich, nella complice indifferenza di quegli stessi repubblichini che oggi qualche improvvido politico propone di commemorare.
Per avere lasciato i martiri di Sant’Anna sullo sfondo del suo tentativo di “raccontare una storia”, Spike Lee farebbe bene a chiedere scusa. E farebbe bene a chiedere scusa per avere ignorato la morale del romanzo di Guccini e Machiavelli: l’Italia non è ancora soltanto il Paese del revisionismo e delle croci celtiche, è anche il Paese di chi non accetta che singoli episodi (reali o fantasiosi che siano) vengano usati per mettere in discussione la Resistenza nel suo complesso. In questo Paese, c’è ancora chi sostiene che la Resistenza non si tocca.
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