Da Papa Francesco non aspettiamoci miracoli

9 Settembre 2013
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Gianfranco Sabattini

Sul dibattito intorno alla visita del Papa in Sardegna, avviato in questo blog nei giorni scorsi, interviene oggi Gianfranco Sabattini, che, da buon laico, invita a distinguere il livello politico da quello religioso e delinea le “competenze” di ciascun ambito.

Capisco l’importanza che è plausibile accordare alla visita pastorale di Papa Francesco a Cagliari; capisco anche il moto di simpatia verso un Papa che promette di “fare piazza pulita” delle tante cose che non vanno nel governo dello Stato vaticano. Tutto questo, però, quale che sia l’orientamento verso la religione, in generale, e verso la religione cattolica, in particolare, di ogni singoli individuo non deve fare dimenticare la necessità di tenere sempre separato il piano della fede da quello strettamente politico-civile. Confondendo i due piani, si corre il rischio di rinforzare la propensione di un’organizzazione temporale, quella vaticana, a considerare indistintamente come “buone” tutte le sue azioni solo perché ammantate dei valori dei quali l’organizzazione stessa afferma d’essere portatrice, indipendentemente dalla qualità dell’impatto di quelle azioni sull’intera comunità e sui suoi singoli componenti.
Tra l’altro, la confusione dei due piani, quello della fede e quello politico-civile, può indurre qualche rappresentante sindacale ad attendersi dal massimo rappresentante delle fede cristiano-cattolica, ma anche capo dello Stato vaticano, un suo “intervento”, non si sa presso di chi, per curare i mali della società civile regionale, come se questi mali non fossero riconducibili alla responsabilità dei componenti della stessa società civile in crisi; e come se, per la rimozione degli stessi mali, non fosse sufficiente un diverso impegno politico dell’intera società civile regionale, ma occorresse necessariamente il ricorso alla divina provvidenza.
Dire questo non significa essere irriverente nei confronti delle religione cristiana nella sua regolazione cattolica; significa però separare il “grano dal loglio”; ossia separare le parti di qualità di un’ideologia che molti accettano dogmaticamente, ma che comunque è schierata a sostegno del rispetto della dignità umana, da quelle dannose originate dai “ministri” di quell’ideologia che, nella cura dei loro interessi mondani, non hanno mai esitato e continuano a non esitare a “puttaneggiare coi regi”, indipendentemente dal fatto che questi ultimi fossero coronati o meno.
Poiché Papa Francesco, memore dell’impegno col quale il suo Predecessore ha professato i valori cristiani nelle più assoluta umiltà e nel più assoluto disinteresse per gli agi mondani, ha mostrato di voler riscattare l’organizzazione vaticana dall’ombra delle “cattive azioni” che, mutatis mutandis, vengono ancora oggi compiute (non è il caso di ricordarle, ma tutti sanno quali siano) va accolto con simpatia ed il massimo rispetto.
Semmai esistesse un motivo per rivolgersi a Lui per aiutare la società civile, non solo della Sardegna, ma in generale delle più ampia comunità nazionale della quale quella regionale è parte, questo motivo dovrebbe essere rinvenuto nella richiesta a Lui inoltrata perché si impegni a trasformare la Chiesa cattolica, pur nel rispetto dei suoi dogmi originari, a divenire una parte sociale paritaria rispetto alle altre, per apportare, fuori dalla pretesa di ogni superiorità sacrale, utili proposte politiche e valoriali per una più tollerante vita sociale, rinunciando contemporaneamente ad ingiustificabili “ingerenze” nel governo civile dell’intera società.
Per quanto riguarda la Sardegna, Papa Francesco un modo l’avrebbe per tentare di aiutarla a fuori uscire dai sui mali antichi e moderni: scomunicare i rappresentanti attuali dei partiti politici per i peccati che commettono nella cura degli interessi dei sardi, lanciando contro di loro un anatema, che li induca a riflettere sull’inanità con cui pretendono di svolgere la funzione di rappresentanti politici della società civile regionale.

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