Le radici anticolonialiste di Papa Francesco

6 Settembre 2013
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Francesco Cocco

Si avvicina la visita di Francesco a Cagliari. La stampa locale enfatizza l’avvenimento con servizi spesso superficiali e banali. E’ invece un’occasione utile per approfondire la riflessione sulla figura, certamente interessante e innovativa, del Papa. Iniziamo con questo intervento di Francesco Cocco.

Non so se a Papa Francesco possa attagliarsi quanto scrisse lo scolopio Padre Balducci  su San Francesco d’Assisi: essere egli  il primo uomo dell’età moderna (cito a memoria). Quel che mi pare certo è che Papa Francesco si proietta nel terzo millennio con posizioni che gettano una prospettiva nuova sui grandi problemi che oggi  affliggono  l’umanità: i temi dell’eguaglianza, delle grandi trasmigrazione dei popoli, dei profondi squilibri  nell’ accesso alle risorse del pianeta.
Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che il suo agire sia espressione di una grande operazione di marketing per creare le fondamenta di un nuovo potere della Chiesa.
Ogni giudizio  ha una sua dignità ma nel nostro caso esso mi pare fortemente unilaterale, ancorato ad un pensiero di stampo massonico ottocentesco, chiuso agli orizzonti del mondo attuale. Oltretutto significa non tener conto della particolare storia di formazione di Papa Francesco, del suo essere componente della Compagnia di Gesù (Gesuiti). L’ordine religioso che ai nostri giorni ha dato spessore alla teologia della liberazione ed in passato  (XVII e XVIII sec.) con le cosiddette “riduzioni” dell’ America del Sud ha organizzato la vita degli indios e poi alimentato la loro lotta contro gli schiavisti portoghesi e spagnoli . Papa Francesco viene da quella storia e quindi non deve destare meraviglia che si prepari a canonizzare mons. Romero, assassinato dagli eredi politici di quegli schiavisti.
Mi rendo conto che tutto ciò non è di per sé sufficiente a giustificare  le sue radici anticolonialiste. Esse trovano soprattutto le loro ragioni in quella che è stata la storia dei Gesuiti in America Latina, dove fondarono comunità che davano dignità umana agli indios. E per questo le potenze coloniali che ivi operavano nel sedicesimo secolo (Portogallo e Spagna) ottennero dal Pontefice Clemente XIV la soppressione dello stesso ordine religioso (1773).
Di qui anche molti dei  luoghi comuni che a livello di opinione pubblica servirono (e continuano a servire) a dare una patente di legittimità a tale soppressione, alimentando le banalità che ancora insidiano  le menti più sprovvedute . In qualche modo la lotta condotta dai Gesuiti nell’America del Sud (soprattutto  Perù e Paraguay) vide vere e proprie forme di lotta, talvolta armata, in cui molti membri della Compagnia di Gesù pagarono col sacrificio della vita.
Ma non possiamo comprendere sino in fondo il suo pensiero proiettato verso forme avanzate di democrazia se non teniamo presente che nell’ Ordine religioso da cui Papa Francesco  proviene vi sono alcune fondamenta della concezione moderna della Sovranità popolare. Non per niente i massimi teorici del diritto dei popoli ad abbattere il tiranno furono due gesuiti: il Suarez ed il Molina. Con le loro teorie il mondo cattolico sui temi della sovranità si poneva alla pari con quello anglosassone ( rivoluzione di Cromwel). Quindi ci pare ricco di significato il fatto che alcuni allievi dei gesuiti ebbero un ruolo rilevante nella eliminazione della monarchia in Francia (tra i più illustri  Robespierre e Desmoulins).
Pertanto  non ci devono sorprendere le teorie egualitaristiche di Papa Bergoglio. Quel “siamo tutti uguali” che scuote le fondamenta della Chiesa come struttura gerarchica per spingersi verso la dimensione della “ecclesia” come comunità, riallacciandosi così al primo sentire ed organizzarsi della Cristianità. Del resto la scelta del nome Francesco  esprime una chiara volontà in quella direzione.
Alla luce di queste sintetiche considerazioni la teologia della liberazione appare  ancorata al sentire più profondo del pensiero cattolico e segnatamente di un ordine religioso, di cui Papa Bergoglio  è espressione organica.
Francesco Cocco

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