Un pianoforte sotto un lampione (paradossi di una Italia a metà)

5 Settembre 2013
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 Giulio Lobina

(Quello che mi viene in mente dopo la lettura di un pensiero di Baricco e un pensiero di Calamandrei)
C’era da aspettarselo. Prima o poi l’avrebbero fatto, perchè la cultura era importante anche lì. Perchè questo modo di dare sovvenzioni al teatro, alla danza, al canto lirico era qualcosa di tutti i giorni, di naturale anzi, di essenziale. C’era da aspettarselo perchè finalmente avrebbero capito che: “Se tutto non parte dalla scuola, se tutto non viaggia attraverso i mezzi di comunicazione di massa , la cultura muore”. L’avrebbero detto i giornali e le televisioni. Ne avrebbero parlato nelle strade e nelle piazze. Avrebbero gridato fin nelle bocche dei camini per far arrivare la voce in cielo, avrebbero detto: “La cultura è morta”.
 E i teatri sarebbero stati pieni di soldi, di finanziamenti per l’apparire, ma vuoti.
Vuoti come le tombe dopo la disgregazione dei cadaveri. Avresti visto sedie vuote. Impronte dell’ombra di un piede sulla poltroncina davanti a te. Qualche capello bianco qua e là. E l’assenza totale delle nuove generazioni. Perchè così funziona l’Italia. Funziona ancora così quando vuoi educare alla pace e compri gli aerei da guerra, quando vuoi spegnere gli incendi e non hai i Canadair, quando vuoi rilanciare l’economia di un’Isola votata al turismo e all’agricoltura ma preferisci che rimanga schiava di una servitù militare che ne disintegra il territorio fin a contaminare le falde acquifere del sottosuolo.
E allora c’è bisogno dell’importanza della comprensione delle parole, delle parole e dei concetti. C’è bisogno di riscoprire la parola EDUCAZIONE, coscienza delle diverse intelligenze della nostra Italia, certezza dell’essenza dei cuori che si mettono a disposizione dell’umanità. C’è chi ogni mattina fa il pane e lo sa fare e lo sa fare bene, chi d’urgenza salva le vite negli ospedali e lo sa fare e lo sa fare bene, chi ara, semina, dona l’acqua e il letame, pota, coglie, offre e fa tutte queste cose bene. Ci sono tutti i mestieri da fare e dobbiamo farli bene.
E c’è anche chi fa politica. Ma la fa male.
La fa male perchè la politica non si studia. La politica ce l’hai dentro. E’ idea. Idea che tracci su un foglio bianco, al centro e poi inizi a fare mille schemi, titoli, sottotitoli, paragrafi, parole. Parole concrete. Parole da cui partire. Come una tesi di laurea. Di quelle antiche. Di quelle che per scrivere 10 pagine in più visitavi le biblioteche delle città italiane, andavi all’estero. E’ un rito la politica fatta bene. E’ osservare, comprendere, fare. Non è nè dare nè ricevere. E’ proprio fare.
E’ una sonata per pianoforte. E’ suonare un pianoforte sotto un lampione in mezzo ad una piazza. Possono farlo tutti, ma pochi sanno farlo bene. A pochi dobbiamo saper dire: siediti, siamo qui per ascoltarti.
La politica buona è quella musica che nasce da un pianoforte sotto un lampione in una piazza. Quella. Quella di chi vive con la gente e tra la gente e ricama idee e parole e fa in modo che siano attuate. Che siano messe in pratica. Come la Costituzione italiana. “Puoi anche buttarla per terra” - diceva Calamandrei -  non cammina da sola. E’ morta da sola. Ma sei tu che devi farla camminare. Devi essere le sue gambe”. Dobbiamo portare la Costituzione nelle scuole e nelle case. Nei media. Nelle televisioni.
Nelle scuole, appunto. Altrimenti è tutto vano.
Già quell’articolo 1. Il là di un pianoforte. L’accordo dal quale tutto può iniziare. La nota, anzi. Una nota in accordo al comune sentire. La dignità, la famiglia, l’economia, la libertà…tutto parte da quell’articolo. E allora inizi a suonarlo quel pianoforte. Inizi con gli esercizi per riscaldare le dita, magari lo accordi prima. In silenzio, da solo. Studi e ti prepari. Poi puoi raccontare le tue idee, puoi mostrarle nei comportamenti quotidiani, negli scontri quotidiani, nei dialoghi quotidiani. Nelle riunioni, nelle assemblee, a casa, a lavoro. Ovunque.
Puoi essere musicista di parole e sentimenti. Puoi essere primo uditore di te stesso. Perchè uno se ne accorge se la musica che fa è buona o no. Se ne accorge. E non si può mica dire: “La luce è bassa, non vedo i tasti, suono male per questo”. No. Non si può dire perchè la musica è nel cuore e le dita, se uno è preparato, sanno suonare a occhi chiusi.
Allora abbiamo questa necessità. Abbiamo la necessità di scrivere un nome su una scheda elettorale. Non dobbiamo più permettere che quel nome sia imposto da altri. Dobbiamo scrivere il nome del pianista che in mezzo ad una piazza è cosciente di poter trascorrere la notte intera sulle note di uno spartito che ha nel cuore e che distribuisce in parole e suoni dal tetto di un grattacielo come le piume di un cuscino strappato.
La politica deve raggiungere ogni luogo, quella buona. Deve viaggiare ovunque e chiunque può afferrarne il succo e dire: “Questa idea mi piace”, “Questa è coerenza”, “Questo è giusto”. Ti deve rinfrescare la politica, come fiocchi di neve. E ti deve stupire. Se tutti possiamo scegliere i nostri rappresentanti e possiamo allo stesso modo essere controllori di uno Stato di Diritto, col voto, allora lo Stato c’è. Se l’astensionismo perdura e sempre meno saranno gli elettori che per la fiducia e non per le promesse, per la conoscenza e non per gli accozzi, per la bellezza dell’Italia che verrà e non per i tornaconti personali…andranno a scegliere il proprio pianista, ci perderemo.
E saremo tutti quanti come le note di un pianoforte scordato in mezzo ad una piazza, sotto un lampione spento. Stonati.
Dobbiamo essere in grado di scegliere una classe politica che abbia le “mani pulite”. Una classe politica che sia “Classe dirigente” non perchè ricca economicamente, ma culturalmente. Di quella cultura che non è nozionismo, ma è il saper attuare, il saper mettere in pratica, il saper insegnare ciò che ha visto, udito, toccato, amato e vissuto. C’è chi sa fare il pane ogni mattina e lo fa bene, chi costruisce macchine e ponti e fa bene il suo lavoro. E c’è anche chi fa politica e deve farla e saperla fare bene.
E’ una politica dei cinque sensi quella di cui abbiamo bisogno.
Ma dobbiamo partire da un pianoforte sotto un lampione in mezzo a una piazza, anche se, capita fin troppo spesso che la notte, qualcuno, lo distrugga. Basta un fiammifero per distruggere le idee. E siamo purtroppo ancora in un Paese dove è più semplice appiccare un fuoco piuttosto che sedersi a suonare.
Siamo in un Paese dove i problemi non si affrontano, ma si “rinviano”. Come la legge elettorale, come le norme sull’integrazione degli immigrati, come le riforme del lavoro, come le leggi contro l’omofobia. Come le unioni civili, come le battaglie referendarie. Siamo un Paese che ha avvocati parlamentari che difendono altri parlamentari non solo nei tribunali, ma anche nello stesso Parlamento, creando ad hoc leggi ad personam. Siamo anche questo. Perchè? Un Paese che perde tempo sull’”agibilità politica” di un uomo piuttosto che sulla “necessità politica” di portare avanti riforme concrete. Perchè?
In Sardegna c’è bisogno di pianisti che sappiano sedersi a suonare una melodia convincente. (Che sappiano poi lavare i piatti a mano ci interessa poco. Ecco, questo sappiamo farlo tutti. Ma non basta.). E in Italia abbiamo bisogno di uomini politici che lascino perdere i Meeting internazionali pseudo-religiosi…e si applichino con coraggio per restituire dignità laica a tutti. La dignità laica è il lavoro. La dignità laica è fiducia nel Parlamento, nel Governo e nella Magistratura. La dignità laica è anche permettere o fare in modo che i credenti di altre religioni si costruiscano i loro edifici di culto. Perchè anche questo dice la nostra Costituzione. Meeting di Rimini o no, non abbiamo una Religione di Stato in Italia. Ma dobbiamo rispettare, perchè questo è un diritto-dovere tutte le religioni.
O ci ritroviamo o andiamo via tutti. Dove i pianoforti, nelle piazze e nelle strade ci sono. Dove la notte qualcuno si siede lì e regala al mondo intero una musica che noi neppure conosciamo. Dove se un islamico si inginocchia a pregare per strada, nessuno ride. Dobbiamo saper distinguere gli estremismi e saperli frenare e dobbiamo saper sensibilizzare al rispetto del genere umano “senza distinzioni…di sesso e di razza…”.
Siamo le gambe della Costituzione. Portiamola ovunque. Perchè ce n’è tanto bisogno.
Portiamola ovunque.

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