Decretazione d’urgenza e umori antidemocratici

10 Ottobre 2008
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Red

Sulla decretazione d’urgenza occorre particolare vigilanza, poiché, al pari della legislazione delegata, è stata uno dei veicoli principali della involuzione autoritaria a fine Ottocento e nel ventennio. Fu Crispi ad inaugurare la prassi delle deleghe legislative in bianco, con la conseguente chiusura per lunghi periodi delle Camere, e un sostanziale trasferimento della funzione legislativa al Governo. Mussolini, dal canto suo, fa proprio il modello crispino, accentuandolo. E così non tocca lo Statuto Albertino e la sua disciplina sul Parlamento. Semplicemente l’aggira, con un uso disinvolto della delegazione legislativa e l’interpretazione abnormemente estensiva dei suoi limiti, e con l’abuso della decretazione d’urgenza. Il decreto diviene il principale strumento di governo dello stato fascista, che realizza – come giustamente ha notato lo storico Alberto Acquarone - una sorta di “commissariamento” dello Stato liberale. Con la legge n. 1601 del 3 dicembre 1922 il duce stabilisce temporaneamente la facoltà del Governo di emanare disposizioni aventi valore di legge; e con la legge n. 100 del 1926 disciplina stabilmente “la competenza del potere esecutivo a emanare norme giuridiche”, istituendo una decretazione d’urgenza tutta speciale anche per i tempi della conversione in legge: due anni! Memore di questi abusi, la Costituzione, all’art. 77, stabilisce un termine breve per la conversione (60 giorni) ed un presupposto preciso per l’emanazione dei decreti legge (la straordinaria situazione di necessità ed urgenza). La nostra Carta ha anche posto precisi limiti di tempo e contenuto alla decretazione delegata a difesa del Parlamento, che rimane il dominus della funzione legislativa. 
Tuttavia, nell’Italia democratica si è continuato ad abusare del decreto, tant’è che, con un’importante decisione, la Corte costituzionale ha posto fine al fenomeno della reiterazione dei decreti-legge. Ma l’abuso della decretazione d’urgenza non è cessato ed è costante, nonostante il mutare dei Governi. Ciascuna coalizione alternatasi al governo ha sempre giustificato il proprio abuso di decretazione con pretese ragioni d’urgenza, stigmatizzando quello altrui quando è all’opposizione. Addirittura nel 1996 due parlamentari di Alleanza Nazionale presentavano un progetto di legge contro la decretazione d’urgenza!

La presa di posizione di Berlusconi di questi giorni è dunque preoccupante perché costituisce un salto di qualità rispetto al passato: il Cavaliere annuncia di voler utilizzare la decretazione come modo ordinario di legislazione. E l’aspetto più grave sta nel fatto che il Cainano ha una maggioranza solida nelle due Camere e quindi non teme imboscate o esiti a sorpresa. Non ha bisogno di ricorrere ai decreti. A differenza del povero Prodi, che al Senato era privo di maggioranza e, dunque, una qualche ragione pratica per ricorrere al decreto legge e alla fiducia ce l’aveva. Bene ha fatto, dunque, il Presidente Napolitano a porre uno stop parlando fermo e chiaro. Tuttavia, come è avvenuto a fine Ottocento e nel primo Novecento, è sul tema della decretazione che si riversano gli umori verso un’involuzione della nostra democrazia insieme all’attacco  contro le libertà. La destra sta riuscendo, anche con l’esercizio del potere d’ordinanza del governo, dei governatori (v. rifiuti, G8, immigrati) e dei sindaci (di ogni colore politico), a creare il senso comune che le assemblee elettive sono un impaccio, che la democrazia è una perdita di tempo, un inutile cazzeggio. E baldanzosamente non fa mistero del proposito di mettere mano anche alla Costituzione formale, dopo averla già in larga misura svuotata sul piano sostanziale. Ecco perché su tutti gli istituti di democrazia e di garanzia occorre essere esigenti e puntigliosi (in questo sito lo abbiamo fatto, andando controcorrente anche sui referendum del 5 scorso). Lassismi, tatticismi, il badare solo all’interesse del momento sono le strade che conducono, giorno dopo giorno, alla  devastazione della democrazia, alla “trasmutazione della democrazia in monocrazia”, di cui ci parla allarmato un maestro di diritto costituzionale e combattente per le libertà come Gianni Ferrara.

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