(da wikipedia)
Grazia Deledda nacque a Nuoro, quinta di sette tra figli e figlie, in una famiglia benestante. Il padre, Giovanni Antonio Deledda, era un imprenditore e agiato possidente; fu poeta improvvisatore e sindaco di Nuoro nel 1892. La madre, Francesca Cambosu, era una donna religiosissima e allevò i figli e le figlie con religiosità. Dopo aver frequentato le scuole elementari, Grazia Deledda venne seguita privatamente da un professore ospite di una parente della famiglia Deledda che le impartì lezioni di base di italiano, latino e francese (i costumi del tempo non consentivano alle ragazze un’istruzione oltre quella primaria e, in generale, degli studi regolari). Proseguì la sua formazione totalmente da autodidatta. Importante per la formazione letteraria di Grazia Deledda, nei primi anni della sua carriera da scrittrice, fu l’amicizia con lo scrittore, archivista e storico dilettante sassarese Enrico Costa che per primo ne comprese il talento.
Esordì come scrittrice con alcuni racconti pubblicati sulla rivista “L’ultima moda” quando affiancava ancora alla sua opera narrativa quella poetica. Nell’azzurro, pubblicato da Trevisani nel 1890 può considerarsi la sua opera d’esordio. Ancora in bilico tra l’esercizio poetico e quello narrativo si ricorda, tra le prime opere, Paesaggi edito da Speirani nel 1896.
Nell’ottobre del 1899 la scrittrice si trasferì a Roma e in seguito alla pubblicazione di Anime oneste del 1895 e di Il vecchio della montagna del 1900, oltre alla collaborazione sulle riviste “La Sardegna”, “Piccola rivista” e “Nuova Antologia“, la critica iniziò ad interessarsi alle sue opere, che vantarono prefazioni di nomi quali Ruggero Bonghi e Luigi Capuana. Nel 1900, sposò Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze, conosciuto a Cagliari. Nel 1903 la pubblicazione di Elias Portolu la confermò come scrittrice e la avviò ad una fortunata serie di romanzi e opere teatrali: Cenere (1904), L’edera (1908), Sino al confine (1911), Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento (1913), L’incendio nell’oliveto (1918), Il Dio dei venti (1922). Da Cenere fu tratto un film interpretato da Eleonora Duse.
La sua opera fu apprezzata da Luigi Capuana e Giovanni Verga oltre che da scrittori più giovani come Enrico Thovez, Pietro Pancrazi e Renato Serra. Fu presto riconosciuta e stimata all’estero. Su di lei scrisse prima Maksim Gorkij e più tardi D. H. Lawrence. Lo scrittore russo, nel 1910, ne raccomandò la lettura ad una scrittrice esordiente. Il 2 giugno del 1910, in una lettera a L. A. Nikiforova (scrittrice esordiente), Gorkij scrive su Grazia Deledda parole di stima e considerazione: «Mi permetto di indicarLe due scrittrici che non hanno rivali né nel passato, né nel presente: Selma Lagerlof e Grazia Deledda. Che penne e che voci forti! In loro c’è qualcosa che può essere d’ammaestramento anche al nostro mužik.». Lo scrittore inglese, nel 1928, le dedicò una particolare attenzione nell’Introduzione alla traduzione inglese del romanzo La Madre. «Ci vorrebbe uno scrittore veramente grande - scriveva D. H. Lawrence - per farci superare la repulsione per le emozioni appena passate. Persino le Novelle di D’Annunzio sono al presente difficilmente leggibili: Matilde Serao lo è ancor meno. Ma noi possiamo ancora leggere Grazia Deledda, con interesse genuino». Parlando della popolazione sarda protagonista dei suoi romanzi la paragona ad Hardy, e in questa comparazione singolare sottolinea che la Sardegna è proprio come per Thomas Hardy: l’isolato Wessex. Solo che subito dopo aggiunge che a differenza di Hardy, «Grazia Deledda ha una isola tutta per se, la propria isola di Sardegna, che lei ama profondamente: soprattutto la parte della Sardegna che sta più a Nord, quella montuosa». E ancora scrive: «È la Sardegna antica, quella che viene finalmente alla ribalta, che è il vero tema dei libri di Grazia Deledda. Essa sente il fascino della sua isola e della sua gente, più che essere attratta dai problemi della psiche umana. E pertanto questo libro, La Madre, è forse uno dei meno tipici fra i suoi romanzi, uno dei più continentali». Grazia Deledda fu anche traduttrice, è sua infatti una versione di Eugénie Grandet di Honoré de Balzac.
Ammalata di tumore, Grazia Deledda morì il 15 agosto 1936, lasciando incompiuta la sua ultima opera “Cosima, quasi Grazia”.
Le spoglie della Deledda sono custodite in un sarcofago di granito nero levigato nella chiesetta della Solitudine ai piedi del Monte Ortobene di Nuoro.
La sua casa natale, nel centro storico di Nuoro (Santu Predu), è adibita a museo.
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