Gianni Ferrara
Il Manifesto Bologna 30 marzo 2013
La nostra è una repubblica parlamentare. I dilettanti del diritto costituzionale e della scienza politica possono numerarla (“prima”,”seconda” “terza”, centesima) ma non possono modificarla. Né lo può, legalmente, nessun organo dello stato nell’esercizio concreto della funzione che gli è assegnata. A definirla parlamentare è la Costituzione con norme, chiare, nette, univoche. Quelle che detta per sancire la forma di governo in Italia. Si badi. Per forma di governo i classici del diritto pubblico europeo hanno usato il termine regime (régime, Regierunssystem) per segnalare quantità e qualità del potere attribuito a ciascuno dei tre organi supremi dello stato. Per la forma parlamentare di governo è risultata così prescritta indiscutibilmente la primazia del parlamento. Non a caso, infatti, l’altra delle forme di governo più diffuse nelle democrazie moderne, quella presidenziale, assume come sua denominazione il nome del capo dello stato nelle repubbliche.
Che significa primazia? Significa e non può che significare altro che è il parlamento, in prima ed in ultima istanza, l’organo che deve gestire il regime parlamentare. Lo è sia a fronte della composizione con cui il governo si propone a seguito del rinnovo della rappresentanza, sia col programma che tale composizione dell’organo ha scelto per ottenere la fiducia, sia con l’indirizzo politico che intende perseguire.
Queste premesse non sono sfoggio di padronanza dottrinale. Servono. Servono per inquadrare nei giusti termini, che possono essere solo quelli del diritto costituzionale vigente, la questione della formazione del governo in Italia, a seguito dei risultati delle elezioni del 24-25 febbraio scorso. Elezioni che hanno prodotto l’attribuzione al PD-SEL della maggioranza, relativa al Senato assoluta alla Camera dei deputati. Il risultato è questo. Inequivocabile. Sono cifre. Non sono interpretazioni del voto suggerite o imposte dalle ideologie (termine che uso nel significato di false visioni e nefaste interpretazioni della realtà) oggi in voga. Quelle della governabilità, del bipartitismo o bipolarismo coatto, della democrazia immediata, accelerata, direttissima, governante e via cazzeggiando come soluzioni dei problemi della democrazia, dell’economia e della… felicità nel mondo.
Cosa impongono queste cifre è del tutto evidente. Al Presidente della Repubblica, titolare del potere di nomina del Presidente del Consiglio e dei ministri, conferiscono il compito di affidare l’incarico di formare il Governo al leader della coalizione che detiene la maggioranza in ambedue le Camere anche se è solo relativa in una delle due. È quel che il Presidente Napolitano ha fatto. Ma ha aggiunto all’affidamento di tale incarico l’accertamento di un “sostegno certo” del Parlamento al governo che il leader della coalizione maggioritaria verrebbe a presiedere. Un’aggiunta inusitata. E diversa, quanto a sostenibilità sistemica, da quella che il Presidente Napolitano definì “come non rinvenibile negli schemi ordinari” a proposito della formazione del governo Monti.
Quella del “sostegno certo”, se esprime la preoccupazione che il governo da costituire abbia una maggioranza, non può però precludere all’incaricato di sottoporre a ciascuna delle Camere composizione, programma e indirizzo politico del governo che intende presiedere. Ad accertare il sostegno parlamentare ad un governo è solo il voto di ciascun membro del Parlamento. Voto incerto e da considerare incerto fin quando non è espresso nelle responsabili formulazioni, nelle dovute forme e nelle sedi proprie, quelle delle due Camere. Ogni presunzione precedente la conclusione di tale procedura, se assoluta e preclusiva, si configura come menomazione della rappresentanza parlamentare e del rapporto di fiducia che ha ad oggetto proprio un programma di governo definito, un indirizzo politico dichiarato. Fiducia che deve rapportare due organi solo, soltanto Parlamento e Governo.
Un’ultima considerazione. Disporre della maggioranza parlamentare assoluta in un ramo del Parlamento può impedire la concessione della fiducia a qualsiasi governo formato contro chi la detiene. La pretesa della maggioranza precostituita può giocare contro l’esigenza di una maggioranza certa. La logica del sistema è inesorabile ed è giusta che lo sia.
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