Le due facce del capitalismo

21 Agosto 2013
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Gianfranco Sabattini

Il prolungarsi della crisi pone al mondo della cultura, della scienza e della politica l’urgenza di trovare nuove idee per il governo del capitalismo; è la tesi di fondo che sostiene Geoff Mulgan, Chief Executive of the National Endowment for Science Technology and the Arts e Professore presso diverse università, tra le quali la London School of Economics. La tesi è il contenuto, sia del suo libro non ancora presentato in Italia (The locust and the bee) e del suo recente articolo apparso sulla rassegna stampa di Reset il 5 giugno di quest’anno.
Secondo Mulgan, per superare la crisi occorre individuare un “modello di sviluppo che sia sostenibile, inclusivo e idoneo a un contesto di competizione globale sempre più intensa”. Le soluzioni dovranno spiegare perché la crisi attuale, dura a morire, si è verificata, per stabilire cosa sia più conveniente fare per normalizzare e stabilizzare il funzionamento delle economie nazionali e con esse dell’intera economia mondiale. A tal fine, occorrerà ricorrere ad “opzioni politiche che siano adottabili nella pratica e nelle istituzioni”, per rispondere alle ansie di un’opinione pubblica che non sa spiegarsi perché “l’economia non solo non sta più riuscendo a generare ricchezza e posti di lavoro ma non ha più neanche molto senso”.
Mulgan formula alcune risposte che vanno al di là delle tradizionali misure di politica economica cui si è fatto sempre ricorso in presenza di crisi dei sistemi economici; ciò perché gran parte dei ragionamenti di carattere tecnico e politico del passato, dopo la Grande crisi del 1929-1932, sono stati caratterizzati dalla contrapposizione tra chi sostiene che i mercati sono, per loro stessa natura, dotati di capacità auto-organizzative ed auto-correttive e chi, invece, sostiene che si tratta di istituzioni “altamente corrosive”. Una parte molto consistente delle argomentazioni e delle analisi attuali si rifà a queste due visioni contrapposte, ma un’altra parte, espressa secondo Mulgan dagli “intellettuali migliori”, valuta il funzionamento dei mercati in modo radicalmente diverso.
Nell’ordinamento capitalistico, i mercati incentivano sia comportamenti creativi, che predatori: i primi, nella tesi di Mulgan, sono l’equivalente umano delle api, i secondi delle locuste. Comprendere la natura bifronte del capitalismo è importante per tre ragioni. Innanzitutto, per individuare le cause che hanno determinato la crisi, prodotta da un eccesso di attività predatorie che si sono manifestate soprattutto nel settore finanziario, innescando la crescente perdita di senso delle argomentazioni e delle analisi economiche. In secondo luogo, per cogliere con precisione le due facce del capitalismo, al fine di formulare una strategia politica appropriata, volta in particolare a “tenere a freno” gli atteggiamenti predatori” e ad incoraggiare le attitudini dell’imprenditorialità innovativa e creativa, con il coinvolgimento di tutte le strutture culturali. In terzo luogo, per ricuperare la fiducia dell’opinione pubblica nei partiti politici, nella consapevolezza che tale ricupero risulterà impossibile sin tanto che i partiti non offriranno la garanzia di saper distinguere l’imprenditorialità buona da quella cattiva.
Che fare allora? Secondo Mulgan, i continui summit volti a “risuscitare l’economia pre-2007” non rispondono più alla bisogna, in quanto le tradizionali politiche pubbliche correttive del cattivo funzionamento dei mercati hanno perso ogni efficacia. Mulgan elenca numerosi linee di azione che potrebbero concorrere a frenare gli atteggiamenti predatori e ad incoraggiare quelli creativi ed innovativi: tra le azioni utili a raggiungere il primo obiettivo indica, ad esempio, tra le altre, nuove regole per la riorganizzazione dell’attività bancaria, con cui trasformare l’attività finanziaria da “padrona” a “serva” dell’economia; tra quelle utili a raggiungere il secondo obiettivo indica il ricorso a modelli innovativi di istruzione e l’erogazione di incentivi alle università di nuova generazione.
Non è ancora chiaro, conclude Mulgan, quando l’attuale crisi potrà essere superata; per ora, tutte le opzioni politiche tendono a riproporre procedure e rimedi ricuperati dal passato, denunciando la quasi totale incapacità della scienza economica e della politica di dare risposte risolutorie. Questa situazione non potrà durare a lungo, conclude Mulgan; sarà perciò inevitabile che i cittadini vadano alla ricerca, oltre che di soluzioni pratiche, di come realizzare un sostanziale cambiamento dei valori su cui si regge la moralità dell’ordine capitalistico attuale; ciò in considerazione del fatto che la crisi investe, non solo i meccanismi sottostanti la crescita e lo sviluppo dei sistemi economici, ma anche i valori tradizionali. Ne consegue che le risposte agli effetti della crisi dovranno andare ben al di là di quanto la maggior parte degli economisti e dei politici non sia disposta ad ammettere; le risposte dovranno soddisfare l’opinione pubblica, non solo riguardo alla possibilità di riproporre un funzionamento virtuoso del capitalismo, ma anche spiegare a che cosa esso effettivamente serve, se i mercati, malgrado la loro supposta capacità auto-correttiva ed auto-organizzativa, non riescono ad evitare le crisi ricorrenti, causate della crescente complessità dei sistemi produttivi e dalla continua espansione di attività imprenditoriali predatorie.
Mulgan coglie certamente nel segno allorché individua i responsabili della crisi nelle “locuste”; però anche le sue proposte sono formulate con lo sguardo rivolto al passato, in quanto non considera che le possibili azioni cui egli fa riferimento sono fortemente condizionate dall’egemonia, all’interno di tutte le istituzioni politiche ed economiche sulle quali si regge il capitalismo, di forze schierate in difesa delle supposte capacità virtuose dei mercati; è perciò assai difficile che le linee di azione da lui indicate (riorganizzazione dell’attività bancaria, ricorso a modelli innovativi di istruzione, erogazione di incentivi alle università di nuova generazione, ecc.) possano essere accolte. Per la loro attuazione, appare più plausibile auspicare che i cittadini non pensino di poter porre rimedio in proprio agli esiti della crisi e decidano, invece, di contribuire alla formazione di uno schieramento di forze politiche riformiste fortemente coese, per dotare lo schieramento della forza necessaria a rompere l’egemonia di chi ora, non disinteressatamente, continua ad esaltare e a tutelare le false virtù dei presunti liberi mercati.

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