Può il fisco generare equità?

19 Luglio 2013
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Gianfranco Sabattini

Nell’inserto “La lettura” del Corriere delle Sera dei giorni scorsi, Sergio Romano ha recensito il volume “L’uguaglianza tributaria”, che Franco Gallo, attuale Presidente della Consulta, già professore di diritto tributario, ha pubblicato presso la casa editrice Editoriale Scientifica. La recensione è lunga ed estesa, ma da molti punti di vista imprecisa e ricca di omissioni.
Il lavoro di Gallo non può essere compreso nel suo pieno significato, se si prescinde dall’idea che Gallo ha del ruolo e della funzione del fisco nei sistemi sociali capitalisti attuali. Il pensiero del Presidente della Consulta è noto per essere qui riesposto; basterà ricordare che egli ha sempre criticato le teorie fiscali deontologiche liberiste e neoliberiste, che, rifacendosi ad una considerazione irrealistica della società, sopravvalutano nelle economie capitaliste i diritti proprietari, sostenendo il diritto originario e naturale dell’individuo a veder rispettata la “sacralità” della sua proprietà e del frutto del proprio lavoro, riconoscendo allo Stato solo il potere di “prelevare” da ognuno lo stretto necessario per finanziare l’offerta dei beni pubblici tradizionali e i sussidi di mantenimento delle vedove di famiglie numerose. I corifei più moderni di queste teorie sono tutti coloro, compresi gli ordoliberisti tedeschi attuali, che condividono l’idea di Friedrich August von Hayek, secondo il quale il mercato non è che un ordine spontaneo naturale pre-politico e i diritti economici non sono che libertà naturali indipendenti da ogni forma di riconoscimento costituzionale; tutti i seguaci di tali idee sono indistintamente afflitti da una forma di “autismo” intellettuale che li chiude alla comprensione, sia dei limiti del loro credo liberista, sia dei problemi dei sistemi capitalisti moderni.
Alle teorie deontologiche liberiste, Gallo ha sempre contrapposto le teorie “conseguenzialiste”, le quali, pur non disconoscendo l’importanza dei diritti proprietari, li considerano, in linea con le moderne teorie sulla natura delle società, una conseguenza di leggi, di regolamenti e di regole, anche informali, che hanno come scopo la tutela di altri valori rilevanti per la conservazione della “tenuta” della pace sociale, costantemente minacciata e messa in pericolo dalle disuguaglianze causate dall’operare del “libero” mercato hayekiano. Le teorie conseguenzialiste, perciò, si distaccano da quelle proposte e sostenute dai liberali “duri e puri”; le loro implicazioni ridondano nelle teorie del liberalismo repubblicano di John Rawls, Ronald Dworkin e Amartya Sen. Questi autori, pur non allontanandosi dalla teoria deontologica dei diritti, sostengono la necessità che la libertà sia goduta sorretta da una condizione di uguaglianza solidale dei componenti del sistema sociale e soprattutto da una condizione di giustizia distributiva del carico fiscale, intesa come equità, adeguata alle capacità differenziate di ciascuno e al progetto di vita che ognuno persegue.
Questa è la “cornice” teorica al cui interno può essere inserito, per una sua corretta interpretazione, il senso del libro di Gallo “L’uguaglianza tributaria”. Sergio Romano, senza mancare di profondersi in inutili salamelecchi nei confronti dell’autore, ma mancando di tenere nella dovuta considerazione il suo pensiero sul ruolo e la funzione del fisco nei sistemi sociali moderni, qualifica il suo ultimo lavoro un “manifesto degli uguali”, “un pamphlet etico-politico contro l’ideologia del mercato come supremo regolatore dell’economia moderna…Se cadesse nelle mani dei no-global potrebbe addirittura diventare … il ‘libretto rosso’ del movimento e la lettura obbligata dei militanti”. Per Romano, il lavoro di Gallo è un segno dei tempi e “l’indice di un cambiamento degli umori dell’opinione pubblica di fronte a quella che è stata per più di trent’anni la verità economica delle economie mature…”. Romano, prima di esprimere il suo giudizio finale sul lavoro di Gallo, ritiene opportuno di tentare una sintesi del cambiamento degli “umori dell’opinione pubblica”; ma lo fa unicamente per criticare la posizione che, per Gallo, lo Stato deve avere nel campo fiscale, mostrando d’essere orripilato dall’idea, sostenuta da Gallo, che per realizzare una “società giusta ed equa” il mercato deve essere regolato e che il “pubblico” deve prevalere sul “privato”; Romano sottolinea di non condividere che la tassazione debba riguardare, oltre che la ricchezza materiale, anche il perseguimento dell’uguaglianza e di altri effetti socialmente rilevanti.
Dulcis in fundo, la ciliegina della recensione critica di Romano a “L’uguaglianza tributaria” va colta laddove l’ex ambasciatore afferma che la “grande assente nella teoria di Gallo è la crescita”, perché secondo lui l’autore non crede evidentemente che fra gli obiettivi di un sistema tributario vi debba essere anche quello di assicurare, oltre all’equità, la produzione di ricchezza; anzi, Romano, mostrando di ignorare le cause della crisi delle società capitaliste attuali, si mostra quasi scandalizzato che dalla lettura del lavoro di Gallo possa emergere “implicitamente” la convinzione che all’origine della ricchezza vi sia “soprattutto fame di denaro e di potere”. Ciò, per Romano, non è vero, in quanto la ricchezza “è anche il risultato di una grande passione, il segno materiale di una vita coronata da successo, il premio dovuto alla capacità d’intraprendere e rischiare”. Peccato che la rivelazione del segno della grazia all’imprenditore di successo di weberiana memoria non si addica all’imprenditorialità asfittica e di routine del nostro Paese, che, grazie ad una fiscalità permissiva, dopo essersi impadronita della proprietà dei beni dello Stato, si è trasformata, con la responsabilità del sistema del credito e di un sistema massmediatico alimentato da tutti coloro che la pensano come Romano, in imprenditorialità che privilegia la rendita al profitto. A danno di tutti.

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