La conversione di Prodi: Paris mon amour!

10 Luglio 2013
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Gonario Francesco Sedda

Riprendendo un articolo di Romano Prodi in uscita nello stesso giorno (30 maggio 2013) su Il Messaggero [Doppio turno alla francese e semipresidenzialismo: rispettare gli elettori ma prendere le decisioni necessarie per uscire dalla paralisi], Il Sole 24 Ore annunziava la buona novella: «Pd, cresce la “voglia” di semipresidenzialismo: piace il modello francese». E sempre nello stesso giorno Europa (Quotidiano del PD) rilanciava: «Riforme, Prodi sceglie la medicina francese e boccia quella tedesca».
Nell’articolo in questione R. Prodi si scusava di essere «costretto a ripetere idee e proposte» già espresse in passato, ma si sentiva quasi in dovere di ritornare sull’argomento non essendo stato fatto nulla in materia di legge elettorale e governabilità. E anche io – che già ho argomentato su alcuni aspetti della sua posizione [Democrazia Oggi, Legge elettorale e governabilità (secondo Prodi), 30 Aprile 2012] – mi sento quasi obbligato a “ritornare sul suo ritorno”.
1. Già un mese e mezzo prima (rispondendo alle domande degli studenti dell’Università Pontificia San Tommaso D’Aquino in Roma – L’Unità, 17 aprile 2013) aveva affermato che le «elezioni non vanno fatte per fotografare il paese ma per costruire un governo» e che «la legge elettorale deve essere lo strumento per dare un governo al paese». E nell’articolo su Il Messaggero “ritornava sull’argomento” con le parole che seguono: « Non vi è dubbio che il sistema più adatto per ottenere quest’obiettivo sia il doppio turno alla francese, semipresidenzialismo compreso. Nella prima votazione gli elettori possono esprimere una scelta precisamente mirata sulle proprie preferenze nell’ambito dei numerosi partiti che figurano sulla scheda. Nel secondo turno si esprimeranno poi in favore di uno dei due candidati che hanno ricevuto il più alto numero di voti nel primo turno. Nella prima tornata si fotografa il Paese, nella seconda si affida al vincitore il compito di governarlo con un mandato stabile per un’intera legislatura».
Viene da osservare subito che tutte le elezioni (in qualunque modo si voti) “fotografano” il Paese, ma che ogni fotografia sarà più o meno vicina alla “realtà” a seconda di ciò che la legge elettorale permette di includere o escludere dal campo visivo. Non credo che sia indifferente la “qualità della fotografia del Paese” anche ai fini del controllo sul governo. Dalle elezioni dovrebbe uscire non solo un bel “governo stabile”, ma anche un parlamento con una vera opposizione. Inoltre un governo stabile non è “sempre” e solo il risultato di un sistema elettorale seccamente maggioritario o a doppio turno alla francese. Anche la Germania con il suo “proporzionalismo corretto” ha avuto finora governi “stabili” sia come espressione di un partito (o una coalizione) contro un altro (o contro un’altra) sia come “Grande coalizione” tra partiti che normalmente si contendono l’alternanza nella gestione del paese. Questo, se l’attenzione è posta sulla stabilità. Ma comunque non bisogna pensare che si governi solo con mandati stabili. Il blocco sociale dominante governa anche con l’instabilità, con l’emergenza, in stato di necessità, ottenendo ugualmente la soddisfazione dei “propri” interessi che sono gli “interessi di tutto il paese” solo nell’ideologia propagandata dagli intellettuali organici del potere.
Non si può dire neppure che la stabilità sia un valore assoluto e che essa venga decisa una volta per l’intera legislatura col voto popolare. Ne verrebbe fuori una strana idea della democrazia secondo la quale all’opposizione è preclusa la possibilità di far cadere – se ha ragioni e forza per farlo – un governo prima della sua normale scadenza. Si vorrebbe un’opposizione rinunciataria, collaborativa, emendativa dentro la camicia di forza di un “monopartitismo imperfetto” o di un bipolarismo dell’alternanza concepito come una gelatina collosa dentro la quale è permesso il movimento senza spostamento.
La stabilità è un ingrediente utile per il “buon governo”, ma stabilità non vuole dire di per sé buon governo. Il quinquennio intero (30 maggio 2001 - 27 aprile 2006) con S. Berlusconi al governo è forse da valutare meglio del triennio (8 maggio 2008 - 16 novembre 2011) col medesimo al comando, ma con la XVI Legislatura “interrotta”? Ed il breve, instabile, necessitato (??!!), emergenziale governo Monti che ne è seguito, ha forse fatto male nel soddisfare gli interessi del blocco sociale dominante nazionale e nello svolgere i compiti assegnateli dalle oligarchie tecno-politiche del capitalismo industriale e finanziario europeo ed internazionale?
2. «È chiaro che questa scelta comporta un forte accentramento di potere nelle mani del vincitore delle elezioni […]. Non solo questo non mi fa paura ma penso che sia l’unica via di salvezza per un Paese che, come l’Italia, ha bisogno di prendere, nel rispetto della volontà degli elettori, le decisioni necessarie per farla uscire dalla ormai troppo lunga paralisi. Decisioni spesso impopolari e che difficilmente possono trovare il necessario accordo tra le forze che compongono le nostre complicate coalizioni».
Che entusiasmo! Romano Prodi avrebbe potuto dire che «un forte accentramento di potere nelle mani del vincitore delle elezioni» era almeno problematico, se non proprio pericoloso. E invece no. Nessuna cautela: ciò non gli fa paura. Col coraggio dell’innovatore che copia la Costituzione francese rompe ogni freno. Per lui è addirittura «l’unica via di salvezza» per il Paese. Naturalmente tutto «nel rispetto della volontà degli elettori» che verrebbe consegnata nelle mani dell’uomo “giusto e saggio” nel momento del voto e per l’intero mandato.
Sì, all’Italia manca il doppio turno alla francese, come dimostra il fatto che in Francia la crisi non esiste e non è mai esistita, i ristoranti sono sempre pieni davvero, tutti sono benestanti o addirittura ricchi pronti a sistemare belle signorine in cerca di marito – e non sono balle come quelle di S. Berlusconi.
Sì, all’Italia manca il doppio turno alla francese, per prendere finalmente e «nel rispetto della volontà degli elettori» … «decisioni spesso impopolari»!!! Attenzione: non “qualche volta” impopolari, ma … «spesso» impopolari!!! Sennò, a che servirebbe «un forte accentramento di potere»?
Con buona pace di Romano Prodi, a partire dal 1992 tutti i governi che si sono succeduti hanno preso spesso decisioni impopolari, sia quelli che proclamavano orgasticamente che la “ricreazione era finita” sia quelli che riproponevano il vecchio inganno della politica dei due tempi. Se gli ultimi vent’anni sono stati anni di una «ormai troppo lunga paralisi», che cosa deve aspettarsi il “popolo” da una sana cura alla francese?

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