Diego Cugia domani a Cagliari col suo “tango”

6 Luglio 2013
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Gianna Lai

Su iniziativa dell’Ass. di lettori “Miele Amaro”, Domenica 7 luglio alle 20,30 al Caffe degli Spiriti, Bastione S. Remy a Cagliari, Diego Cugia presenta Tango alla fine del mondo (Mondadori) nell’ambito della VI edizione di Rosso Tango . Ecco sul romanzo una recensione di Gianna Lai.

 ‘Un tango. Andiamo?’‘Non so ballare questa musica’.  ’Nessuno sa ballare il tango, lo inventiamo noi giorno per giorno’. Il suono di armonie diverse accompagnano i passi di un ballo nuovo, ‘che rende divino l’incontro di un uomo e una donna’  e che, si capisce, nasconde dentro una sofferenza altrimenti indicibile. Inseguire ed essere inseguiti, così come nella vita, Michele e  Caterina e Diana e Olivia, dalla Sicilia  all’Argentina, ma per non ritrovarsi mai più. E nell’intreccio delle culture dei migranti si creano con naturalezza nuove canzoni e nuove musiche,  e nuovi  passi ed espressioni  del ballo, man mano che Michele impara a suonare il bandoneòn e gli altri strumenti prima sconosciuti. Man mano che spontaneamente li mischia al ricordo della sua amata fisarmonica,  sequestrata dalla polizia prima dell’abbandono forzato dell’Isola delle Femmine; e al  dolore dell’emigrante senza terra e senza sostentamento, e al dolore insanabile per la lontananza della figlia Diana, rimasta in Sicilia. C’è nei personaggi del nuovo romanzo di Diego Cugia, ‘Tango alla fine del mondo’, (Ed. Mondadori), una condizione di instabilità e mutevolezza, e la dipendenza da un destino travolgente e particolarmente beffardo, che sembra voler togliere ogni possibile certezza di futuro. Prima di tutti al lettore stesso desideroso, nei momenti di maggior pena e tormento, di veder consolidata la speranza di un  qualsivoglia riscatto. E a ciascuno dei protagonisti, quanto più forti e decisi siano a dare una svolta alla loro vita, forse per questo sempre in bilico tra la forte determinatezza delle scelte e il precipitare degli eventi intorno. La Storia del tempo è inesorabile contro gli operai e i contadini, l’Italia post unitaria li caccia via lontano da sé, poveri e deboli, verso luoghi mai immaginati prima, in un oceano che impone all’emigrante di chiudere col proprio passato. E se, ricco di una consapevolezza nuova conquistata con tutta la sua famiglia nelle lotte per la terra,  Michele trasferisce all’Argentina la sua umanità e il suo sapere, e vuole  imprimere un cambiamento radicale alla propria esistenza, è il grande e tenero amore per Blanca  a impedire naturalmente il ricongiungimento familiare che, all’inizio del libro, avevamo appreso essere il centro di ogni azione. Come se la scoperta della nuova musica e insieme il piacere dell’ innamoramento, quel ‘tango alla fine del mondo’ di fronte alla verde vallata, non potessero distinguersi, in Michele, dal dolore, dal fio da pagare per aver abbandonato Diana e causato, subito dopo, la morte dell’ingenua e trepidante  Caterina. Lui acclamato ‘il papà del Tango’ in quella straordinaria rivoluzione della cultura di un intero paese, che determinerà le nuove sorti della musica popolare, in Argentina e nel mondo. Alla  ricerca di un’espressione che sappia descrivere e  rappresentare  tutti quei musicisti riuniti a raccontare di sé, lavorando sulle note e sugli accordi, del loro mondo interiore e  della loro lotta contro indigenza e miseria. E insieme salvifica di un’umanità, che festeggia  i suoi riti, radunando padroni e operai, proprietari e contadini, come verso una forma di impossibile riconciliazione. ‘Una tarantella suonata dai tangueros e da un’orchestra d’archi’ e, ‘quando la voce dell’indio annunciò –Tarantangooo-, come per magia, le dita di  Maggio trasformarono l’antica tarantella nella musica del Nuovo Mondo’. E il tango segna vividamente  svolte e  passaggi significativi della narrazione, le trasformazioni del tempo e i cambiamenti dei personaggi, e il dissidio permanente che li fa crescere e ne modifica atteggiamenti e scelte,  e che rende del tutto vano ogni tentativo di ricomposizione del conflitto. Diana, l’eroina del romanzo,  se all’inizio non vuole sfidare la sorte, affidata come è al padre ‘saracino’,  saracina diviene essa stessa quando imparerà a difendersi  con forza vitale e grande volontà dal suo aggressore, e dallo stupro che  la segna  per  la vita. E dalla polizia e dalle suore assassine. E poi, dopo, in Argentina, quando la persecuzione  non vuole abbandonarla,  nella famiglia disgregata che sembra portare con sé ogni sventura. In forte contrasto con lo stesso Michele suo padre, lei crudelissima capo banda appena adolescente, che sfrutta gli immigrati e si fa beffe della loro disperazione, imitando gli avventurieri senza scrupoli. E Tano, la nascita della mafia che uccide, la “santissima protezione” attiva da una parte all’altra del mondo, come la nostra oggi. Internazionale e in continuo cambiamento, non risparmia la giovane nazione, la aggredisce e vuole conquistarla, come ha fatto con Diana, in Sicilia prima, in Argentina poi. E se non si può essere insieme mafiosi e rispettosi delle donne, sa narrare lo scrittore i modi e la perversa ideologia di un rapporto tra i sessi inteso come violento, di una malvagia volontà di possesso senza eguali, e distruttiva della bellezza femminile, così disarmante e  inconcepibile, in particolare, nella  candida innocenza adolescenziale. Oscena la violazione del corpo femminile ad opera di una mente profondamente corrotta. E, come in una furiosa vendetta, non può non rimanere segnato dalla brutalità e dal sopruso quello che, in modo aberrante, Tano si ostina a considerare innamoramento, esercitato per togliere ogni forma di libertà alla donna, ‘posseduta e vinta, prigioniera di guerra’. Ritornano alla mente del lettore le narrazioni del romanzo noir  o gotico europeo di fine Settecento primi Ottocento, la letteratura delle donne sottratte al mondo e rinchiuse nelle torri medioevali e tormentate a morte.  Ma resta intatta  la forza del romanzo contemporaneo e di un realismo fedele alla rappresentazione della vita quotidiana. Uomini nuovi e sentimenti diversi,  nel radicamento di  imprese ed esperienze le più originali, per non voler ripetere i modelli del vecchio mondo. E una cultura autentica che si fa largo tra contraddizioni apparentemente insanabili, per lasciare aperta ogni forma di soluzione. Come se l’Argentina fosse il momento della resa dei conti per tutti. E prende forma  un’ espressione  esplicita e diretta che interpreta i caratteri decisi di donne e uomini responsabili e coscienziosi, e  testimonia di sentimenti ancora incerti e mal definiti. Ed un linguaggio crudo e schietto che segue l’andamento del mondo, per testimoniare di una pericolosa nuova umanità, violenta e criminosa, che penetra nel sociale e lo modella a sua immagine. In una lingua viva e ‘trasformista’, che riferisce   del cambiamento degli uomini, nel passaggio dall’uso dei dialetti, e del  siciliano in particolare, ad un italiano già infarcito di termini locali. Ma sempre fedele, l’espressione, alle suggestioni della musica, allo stupore  dell’invenzione del tango, come fosse una nuova scoperta. E fedele al fascino del corteggiamento, se tutto il ballo è corteggiamento, in quelle immagini fiabesche del roteare intorno, del tappeto volante sotto i passi intrecciati della coppia, che sfiora i toni lirici del racconto amoroso.  Come nell’incontro di Diana e Pablo e in quel loro continuo inseguirsi e perdersi, le tracce dell’antico romanzo di Angelica e Orlando, e dei moderni Pupi.

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