Andrea Pubusa
I referendum del 5 ottobre costituiscono l’emblema della distorsione delle istituzioni cui conduce la mancanza di dialogo conseguente alla propensione autocratica di Soru e allo speculare ricorso propagandistico all’istituto referendario del centrodestra.
Colpisce nel segno T.D. nel suo intervento dei giorni scorsi su questo blog. Chi può negare che Abbanoa sia manifestamente inadeguata a gestire con efficienza e a costi sostenibili la distribuzione dell’acqua potabile? Perché non ammettere ch’essa evidenzia le inefficienze e gli sprechi dei vecchi enti gestori? Con l’aggravante della dispersione delle professionalità, frutto della stessa politica disinvolta del personale tesa a fidelizzarlo o a precarizzarlo, che ha devastato l’amministrazione regionale.
E tuttavia che c’entra con tutto questo una consultazione che coi suoi quesiti vuol cancellare gli articoli 3 e 15 della L.R. 17/10/1997, n. 29? Per intenderci un referendum che colpisce un principio incontestabilmente giusto, e cioè che l’acqua è un bene della comunità regionale e che la tariffa dev’essere unica indipendentemente dal territorio di residenza.
Analogamente, con la proposta di cancellazione della l.r. n. 8/2004, c.d. “Legge salvacoste”, si vuol colpire l’attuale PPR, uno strumento certamente non del tutto adeguato e in cui sono presenti elementi di arbitrarietà più consoni agli stati delle banane che a quelli di diritto. Un piano che ha indubbiamente paralizzato anche la normale attività edilizia dei cittadini. Ma, mentre non è certo che si colpisca indirettamente il PPR, è invece sicura l’abrogazione della legge n. 8, che comporterebbe anche la cessazione dell’efficacia delle misure di salvaguardia provvisoria, anzitutto della fascia dei due Km dal mare. Per di più è molto incerto e tormentato l’iter della nuova legge urbanistica in attesa di esame da parte dell’Assemblea regionale, su cui si abbatte il ciclone della disamistade scoppiata nel PD sardo più che la forza dell’opposizione di centrodestra.
Insomma, materie complesse, che presentano indubbiamente luci ed ombre, che introducono tutele del territorio, ma con ingiustificati aggravi e compressioni dei diritti dei cittadini. Una filosofia sottostante eccessivamente centrata sul Presidente della Regione. Una materia che merita un confronto aperto nel nostro Consiglio regionale più che il ricorso al referendum. E tuttavia la consultazione popolare è giustificata dalla chiusura del Presidente alla discussione e alla necessaria revisione della disciplina. Come si vede, il gatto si morde la coda, effetto di un bipartisan uso perverso delle istituzioni. Distorsione che si manifesta altresì con la sordina posta dalle istituzioni sui referendum. Manca l’informazione istituzionale. Soru ancora una volta gioca la partita sul filo del quorum partecipativo anziché sulla discussione aperta sul merito delle questioni. Non a caso ha voluto fortemente la legge statutaria, che all’art, 2 eleva il quorum al di là del 33% dell’elettorato previsto dalla disciplina previgente. Ora devono votare “almeno la metà più uno degli elettori che hanno preso parte alle elezioni per il Consiglio regionale nella legislatura in cui si tiene il referendum”. Per la validità del referendum abrogativo non sarà dunque sufficiente la partecipazione al voto di 482.534 elettori su 1.449.052 (il 33,3% degli aventi diritto), ma occorrerà la partecipazione di almeno 515.934 elettori (essendo stati i votanti all’ultima tornata elettorale regionale1.031.869). Un altro vulnus inferto alla democrazia dall’attuale esecutivo regionale, cui è speculare l’uso improprio dei referendum da parte dell’opposizione: la democrazia si alimenta di informazione e di discussione e la si umilia coi silenzi e coi tatticismi deteriori.
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