Il carcere è l’ultima ratio

1 Luglio 2013
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Aldo Lobina

I problemi della giustizia italiana non riguardano purtroppo solo le note vicende di Silvio Berlusconi, chiamato a rispondere anche in sede penale in procedimenti diversi, che attendono il giudizio definitivo. Riguardano anche tutti quei cittadini che sono interessati nei cinque milioni di procedimenti penali pendenti e nello straordinario numero di cause civili quasi immortali.
I procedimenti penali che riguardano B. hanno un rilievo particolare, perché non sono privi di implicazioni politiche, stante che eventuali condanne definitive nuocerebbero certamente alla persona dell’ex presidente del Consiglio dei Ministri, ma anche al suo partito, che patirebbe senza dubbio una decapitazione giudiziaria del fondatore. Con conseguenze per gli equilibri tra forze politiche, capaci di minacciare  gli assetti dell’attuale  esecutivo – definiti ipocritamente imperturbabili dalle vicende giudiziarie di B. - del quale il PDL è uno dei maggiori azionisti.
Per nostra sfortuna il nostro sistema giudiziario soffre profondamente,  perché la domanda di giustizia supera l’offerta, perché le carceri scoppiano. Quando questo accade viene indebolito il presupposto del contratto sociale  che tutti siamo tenuti a rispettare. Di qui il dovere in capo a ciascuno di  edificare senza tregua uno stato di diritto, temperato da obblighi e condizioni, che chiamiamo doveri, richiamati nella Carta Costituzionale, cosa che è fondamentale per l’economia, la salute e la sicurezza  comune.
E’ vero anche che spesso questa domanda di giustizia è velleitaria. L’eccessivo ricorso ai tribunali maschera talvolta sentimenti di vendetta sociale, di facile arricchimento, che sono figli di una follia collettiva, cui non è estranea la cultura del capro o dei capri espiatori, che vuol trovare a tutti i costi con il responsabile di qualunque accadimento indesiderato l’occasione per  riprovevoli manifestazioni di  istinti punitivi, sempre vivi in una società sempre più imperfetta. Per non parlare del ruolo nefasto che accompagna l’enfasi di certe notizie di cronaca giudiziaria, che trasformano l’Italia agli occhi degli Italiani (e non) in una grande aula di tribunale, aperta giorno e notte. Dove i processi vengono celebrati sui giornali e in televisione, prima, durante e dopo quelli veri, con dovizia di particolari, indagini e speculazioni di ogni tipo, capaci solo di disturbare il sereno svolgimento delle attività giudiziarie. La distorsione del  sano diritto di informazione volta  al soddisfacimento di  curiosità morbose e il compiacimento di branco per la gogna mediatica cui viene sottoposto l’altro da sé non sono certo segni di civiltà e umanità.
E’ un dato di fatto che tutto questo ha un costo e che pesa onerosamente sui costi materiali e immateriali della giustizia. Dovremmo educarci  a controllare la litigiosità, sperimentare e incoraggiare sempre di più quelle forme di arbitrato extragiudiziario nelle cause civili (abbiamo circa 6 milioni di processi civili arretrati), ma è una impresa quasi impossibile nella selva di leggi e leggine infestanti i codici, la cui semplificazione aiuterebbe non poco il corso della giustizia.
Quanto a Berlusconi non credo, caro Amsicora (mi riferisco al tuo articolo del 26 giugno scorso), che alla fine delle sue disavventure giudiziarie troverà un capo dello stato motivato a concedergli una eventuale grazia, nell’ipotesi di condanna/e  definitiva/e. Sarebbe l’ennesima legge ad personam a favore eiusdem personae. Troppa grazia, non credi?! Quanto alla asserita ipotesi di nominare il Cavaliere senatore a vita la escluderei quasi a priori. Confido che il presidente Napolitano conservi una scala di valori utile per scelte più degne, anche in relazione ai limiti  imposti dalla legge.
Nulla avrei invece da eccepire se B. dovesse poter fruire di un eventuale provvedimento di amnistia; se cioè fosse trattato alla stregua di tutti gli altri cittadini, con la rinuncia dello Stato a perseguire i reati che il Parlamento dovesse individuare,  con estinzione degli stessi  e delle pene collegate.
Il beneficio dell’Amnistia andrebbe riconsiderato (l’ultimo provvedimento risale al 1990) come un atto di clemenza generalizzato, utile a far tabula rasa,  necessario a resettare i diritti di piena cittadinanza, riservando l’azione penale al perseguimento dei reati più gravi, per i quali dedicare spazi carcerari comunque dignitosi e riabilitanti, come vuole la Costituzione.
E’ di questi giorni un  decreto del Consiglio dei Ministri che va nella giusta direzione di considerare il carcere “come una delle plurime opzioni possibili”, ma non basta. Meno di 3 mq per detenuto per cella a Busto Arsizio e Piacenza hanno portato la Corte Europea a condannare l’Italia per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Se è lo Stato stesso a non rispettare le leggi, lo Stato nega se stesso. In Italia 66000 persone sono detenute in spazi che dovrebbero contenerne 45000  al massimo.  Il problema esiste, va affrontato e risolto. Con intelligenza e clemenza, ma per tutti. Con intelligenza: educazione civica, cultura, promozione dell’impegno sportivo, rieducazione, riabilitazione. Con clemenza: carcere ultima ratio.

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