Gian Mario Marteddu
Oggi Giovedi 13 giugno ore 17.30, ad iniziativa del Circolo Gramsci, Democraziaoggi e Ass. Imparare nella Sala Polivalente Monte Claro si tiene un’ Assemblea Pubblica pubblica con docenti universitari, storici, giornalisti sulle questioni istituzionali.
Noi proseguiamo il dibattito su questi temi, avviato ieri da Allegretti e Balboni, con un intervento sul semipresidenzialismo.
In questi giorni si parla molto di riforma del sistema istituzionale e della proposta, avanzata soprattutto da una parte politica, di introdurre in Italia il semipresidenzialismo alla francese.
Si tratta di una questione che buona parte dell’opinione pubblica ritiene irrilevante, in quanto si sostiene che il tema principale dell’agenda politica dovrebbe essere la ricerca di soluzioni dirette ad alleviare la drammatica situazione economica di migliaia di famiglie. Personalmente non condivido questa posizione, per un motivo molto semplice: la necessità di individuare adeguati strumenti per rilanciare l’economia non può e non deve escludere una elaborata ed efficace discussione relativa al miglioramento dell’architettura istituzionale del nostro Paese. L’attenzione del Governo e del Parlamento non può focalizzarsi esclusivamente su un determinato ambito, ancorché estremamente rilevante com’è, appunto, quello economico. Pertanto, fermo restando che l’esigenza di intervenire in sostegno dei soggetti maggiormente in difficoltà deve indurre la classe politica ad uno sforzo immediato e concreto in modo da ottenere risultati tangibili nel breve termine, ritengo che si debba affrontare con la stessa concretezza il tema della riforma istituzionale, su cui si rinvia ormai da troppo tempo.
Entrando nel merito della questione, credo sia opportuno partire dall’analisi delle cause che determinano le difficoltà di funzionamento del sistema politico-istituzionale, al fine di valutare se l’introduzione del semipresidenzialismo possa eliminare, almeno in parte, tali difficoltà.
È pacifico che aspetti critici derivino dall’attuale bicameralismo perfetto, che rende l’iter legislativo lento e farraginoso. Il principio bicamerale trova giustificazione laddove intende valorizzare le autonomie territoriali, consentendo loro una partecipazione alla formazione delle decisioni statali. Nel nostro ordinamento, tuttavia, la seconda camera (il Senato) non è formata da rappresentanti delle regioni. Appare, quindi, priva di fondamento la struttura bicamerale del Parlamento, se non ovviamente per la conservazione di poltrone e relative indennità.
Si potrebbe procedere allora a rendere il Parlamento monocamerale, ovvero a trasformare il Senato della Repubblica in un ramo del Parlamento effettivamente rappresentativo delle autonomie territoriali. In quest’ultimo caso, diverse dovrebbero essere anche le competenze attribuite alle due camere, in modo da evitare sovrapposizioni e veti reciproci.
Ulteriore causa di disfunzione si ritiene derivi dagli scarsi poteri attribuiti al Governo. Invero, diversi sono gli strumenti a disposizione dell’esecutivo per svolgere l’attività di indirizzo politico; basti pensare alla possibilità di porre la questione di fiducia e di emanare decreti legge (tra l’altro, per entrambi gli istituti spesso si configurano abusi evidenti). Interventi potrebbero aversi, anche solo a livello di regolamenti parlamentari, per consentire all’esecutivo di avere un ruolo più decisivo nell’indirizzare l’attività legislativa del Parlamento.
Queste considerazioni mi inducono a rispondere negativamente al quesito posto inizialmente, ossia se l’introduzione del semipresidenzialismo sia necessario per migliorare il sistema politico-istituzionale. L’impressione è che coloro i quali sostengono questa forma di governo abbiano a cuore più le sorti giudiziarie di un possibile candidato alla elezione diretta del Capo dello Stato che una trasformazione positiva delle istituzioni rappresentative.
Soprattutto al fine di rendere più equilibrato e snello il rapporto tra Governo e Parlamento sarebbero sufficienti pochi ma incisivi interventi, senza necessità di stravolgere la Costituzione attualmente vigente. Essa, infatti, può non essere la più bella del mondo, come spesso viene definita dai suoi difensori, ma le numerose disfunzioni che sono state descritte derivano non tanto dal modo in cui le istituzioni sono state previste e regolate dai Padri Costituenti, quanto da coloro che momentaneamente le rappresentano.
(pubblicato anche su cagliari.globalist.it)
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