In Italia il presidenzialismo ci riporterebbe a un sistema oligarchico

12 Giugno 2013
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Umberto Allegretti - Enzo Balboni

Dal sito www.c3dem.it  estraiamo e pubblichiamo un interessante intervento di due autorevoli costituzionalisti, Umberto Allegretti, dell’Università di Firenze, direttore della rivista “Democrazia e diritto”, ed Enzo Balboni, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sulle ipotesi di manomissione della Costituzione ad opera della maggioranza PDL-PD.

Con la nomina del Comitato di esperti e la prossima adozione da parte del Governo della legge di deroga all’art. 138 della Costituzione, sembra avviarsi l’itinerario della voluta riforma costituzionale. Sembra, diciamo, perché su tutto aleggia un atteggiamento di “opportunismo costituzionale” che potrebbe a un certo punto fermarla, come già in passato.
Ma di che riforma si può trattare se si vuol stare fedeli, come è necessario, ai principi democratici e costituzionali? Bisogna ovviamente ripetere che la prima obiezione riguarda i modi con cui ci si appresta a procedere, richiamando ancora una volta il fatto che il procedimento di revisione della Costituzione è stabilito proprio dall’art. 138, e che le  leggi di revisione devono essere puntuali  – anche perché possano essere oggetto ognuna di una pronuncia referendaria coerente e pienamente libera – di modo che una “grande riforma”, già del resto anch’essa più volte fallita, è da ritenere vietata.
Ma comunque, quale può essere il contenuto di queste revisioni?  Non il passaggio dalla forma di governo parlamentare a una presidenziale (in qualunque modo questa venga concepita, inclusa la molto citata versione francese; e senza considerare univocamente legata al presidenzialismo l’adozione di una legge elettorale che si preferisca maggioritaria). Come ogni costituzionalista sa e come più volte ha chiarito Gustavo Zagrebelsky, per esempio nella manifestazione bolognese del 2 giugno indetta con “Libertà e Giustizia” da più di cento gruppi e che ha visto la partecipazione di molte migliaia di cittadini, ogni regime  costituzionale è valido non in astratto ma in relazione al contesto del paese in cui opera. E in Italia il presidenzialismo rappresenterebbe un passo indietro definitivo verso un regime non democratico ma oligarchico, sia dal punto di vista politico (dato l’attuale stato dei partiti) sia da quello economico, sociale e culturale, per l’effetto di coagulo attorno al presidente dei gruppi privilegiati del paese che inevitabilmente si produrrebbe.
A noi sembra che il nucleo forte di ogni sano intervento debba essere la riforma del bicameralismo. La creazione al posto dell’attuale senato di una camera formata da rappresentanti in carica presso le giunte e i consigli regionali – magari con l’inclusione tra i membri eletti dai consigli di uno o più sindaci (come suggerito dal gruppo di lavoro presidenziale) – raggiungerebbe infatti in un colpo solo quattro dei più importanti obiettivi di ogni riforma in discussione. In primo luogo, costituirebbe la sede di collaborazione e di arbitraggio tra lo Stato centrale e le autonomie locali, affidata oggi a un quantitativamente abnorme ricorso alla Corte costituzionale. In secondo luogo, poiché il nuovo senato non sarebbe chiamato a dare la fiducia al governo, rafforzerebbe la posizione del governo stesso. Terzo, risulterebbe automaticamente diminuito il numero dei parlamentari eletti dal corpo elettorale in via diretta, anche con un risparmio finanziario dovuto al fatto che i senatori godrebbero già delle indennità delle loro cariche di origine e dovrebbero solo ricevere il rimborso per le periodiche presenze a Roma. Quarto, verrebbe a cadere il sistema dei premi elettorali previsti per l’attuale senato, che costituisce una delle anomalie della presente legge elettorale. Al nuovo senato spetterebbero d’altronde compiti tutt’altro che secondari: oltre quello generale di veto sospensivo nei confronti della legislazione approvata dall’altra camera (con la supremazia di questa nell’approvazione finale), sarebbero previste, come in Germania e altrove, leggi significative ad approvazione necessariamente bicamerale, come quelle di revisione costituzionale, le leggi che determinano i principi fondamentali per la legislazione regionale e forse alcuni trattati internazionali. Inoltre, il senato entrerebbe  nell’indirizzo e controllo del sistema amministrativo, assorbendo con maggior democraticità e trasparenza molti compiti attuali dell’ibrido sistema delle conferenze stato-regioni-autonomie locali esistenti oggi presso il governo.
Questo che può quasi apparire come una specie di uovo di Colombo guiderà i valenti costituzionalisti inclusi nel Comitato di esperti e poi la commissione interparlamentare? Noi osiamo sperarlo; gli altri problemi che pure potranno e dovranno essere affrontati, come un rafforzamento della figura del presidente del consiglio al modo, ad esempio, del cancelliere tedesco, la previsione di un giudizio contro le decisioni parlamentari sui titoli di ammissione dei propri membri, la precisazione delle competenze rispettive dello Sato e delle regioni, gli altri punti della legge elettorale e qualche altro aspetto – del tutto da escludere invece ogni intervento restrittivo dell’indipendenza della magistratura e della Corte costituzionale – potranno completare quello che a noi pare il nocciolo delle leggi di revisione da adottare.

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