Aldo Carra
Dopo le prime analisi trionfalistiche dei giornali, ormai in generale filogovernativi, iniziano ad essere pubblicati commenti al voto più meditati. Ecco sul voto di Roma questo di Aldo Carra , e a parte quello di Marco Bascetta, apparsi su il Manifesto.
Quasi certamente il centro sinistra riconquisterà con Marino il comune di Roma e questa è già una bella notizia dopo la disastrosa gestione di Alemanno.
La seconda bella notizia è che mentre a livello nazionale il centrosinistra si è diviso per la scelta del Pd di fare un cosiddetto «governo di servizio» con Berlusconi, a Roma l’alleanza di centrosinistra segna un altro punto sulla linea delle scelte coraggiose e innovative che hanno contrassegnato le conquiste di Milano, Cagliari, Genova. A Roma si accinge a vincere, infatti, un candidato critico sul governo Pd-Pdl, con una forte caratterizzazione laica, nettamente contrario ad altro consumo di suolo e che non è espressione della vecchia politica.
E qui finiscono le buone notizie perché questa vittoria avviene in un contesto di forte allontanamento degli elettori dalla partecipazione al voto. L’astensionismo, che si attesta ormai sul 50%, taglia perfettamente a metà le percentuali di voto (prendere il 30% dei voti significa rappresentare il 15% degli elettori) e se è vero che conquistare il potere di governare è meglio che lasciarlo agli avversari, è anche vero che quando questo avviene con un numero dimezzato di votanti si finisce per sganciare il potere dal consenso e per snaturare la democrazia.
In questo contesto le elezioni romane assumono una valenza nazionale perché si tratta della città con il più alto numero di elettori e strappata alla destra, ma soprattutto perché esse consentono di fare un confronto non solo con le elezioni politiche - cosa possibile per tutti i comuni - ma anche con le elezioni regionali che, nel Lazio, si sono tenute insieme alle politiche di febbraio.
I risultati sono noti e possiamo riassumerli con pochi numeri: Alemanno raccoglie 364mila voti (30%), il M5S 150mila (12,4%), Marino 533mila (42,6%). Per non dimenticare i numeri assoluti è bene ricordare che nel 2006 Veltroni prese 921mila voti e Rutelli, nel 2008, ne prese 761mila.
Il dato più clamoroso e inatteso è indubbiamente quello del M5S che alle politiche di febbraio aveva raccolto ben 437mila voti. Naturalmente era azzardato pensare che il Movimento 5 Stelle potesse prendere gli stessi voti delle politiche: quel risultato è stato possibile perché il voto di febbraio ha avuto una forte caratterizzazione politica e di protesta generale che difficilmente si può ripetere con la stessa intensità in una elezione comunale. Ciò sia per la scelta che caratterizza quel movimento di voler agire più sulla rete che sul territorio e per la sua giovanissima vita, ma anche perché il Movimento 5 Stelle a Roma non risulta insediato nemmeno con i meetup e il candidato sindaco era uno sconosciuto per di più abbastanza opaco.
L’insieme di questi fattori è sufficiente a spiegare il risultato?
Il segnale di una sfasatura tra elezioni politiche ed elezioni locali era emerso, e forse non è stato attentamente rilevato, nelle elezioni regionali che si sono svolte in contemporanea con le politiche: in quelle elezioni il M5S raccolse 317mila voti, böen 120mila meno che alle politiche svolte lo stesso giorno. Quindi in tre elezioni succedutesi nell’arco di due mesi il M5S è passato dal 27% delle politiche al 20% delle regionali al 12% delle comunali di oggi che, rapportato agli elettori significa un consenso effettivo del 6%. Un’analisi disaggregata per quartieri mostra una flessione media del 53% distribuita in tutti i municipi, con la punta più bassa nel I (-40%) e con quella più alta nel XV (-57%).
La domanda che nasce da questo tracollo è: potranno rappresentare queste elezioni per il Movimento 5 Stelle l’inizio di un declino, ripetendo, per questo movimento, il carattere carsico di tanti movimenti degli ultimi anni oppure sarà possibile una rapida correzione di rotta?
Il M5S ha giustamente vantato il merito di avere attratto elettori che altrimenti si sarebbero astenuti. Potranno rientrare? Non è detto che il M5S possa funzionare come una porta girevole per cui gli astenuti che prima sono rientrati e adesso ne sono usciti domani potranno tranquillamente rientrarvi. Il rischio più grosso è che la caduta della speranza che il Movimento 5 Stelle potesse cambiare la situazione possa diventare il distacco definitivo dalla politica e che questi livelli di astensione possano consolidarsi.
D’altra parte una cosa è certa: i voti che dai grandi partiti e soprattutto dal Pd erano andati al M5S non sono tornati a casa e, per fermarci al centro sinistra, l’insieme delle sue forze ha perso rispetto alle regionali ben 200mila voti.
Quindi il centrosinistra può certo cantare vittoria, ma si tratta di una vittoria mutilata che dovrebbe far riflettere sul fatto che ad esempio il Pd ha preso con la sua lista solo il 27% dei voti mentre alle regionali aveva preso il 32%. Non sembra affatto vero, quindi, che i suoi elettori «hanno capito» la scelta fatta a livello nazionale.
Un’ultima riflessione dovrebbe riguardare la sinistra: Sel è uscita abbastanza bene da queste elezioni, ma esse confermano che non riesce a catalizzare il diffuso malessere che pervade l’elettorato di sinistra. Il resto della sinistra, poi, non riesce a superare la soglia della testimonianza. Forse è giunto il momento di uscire tutti dai piccoli recinti e iniziare un percorso nuovo di ricostruzione.
Queste elezioni ci consegnano ancora qualche possibilità: prima che l’astensionismo si consolidi sarebbe il caso che il vasto mondo rappresentato dal M5S, da Sel e sinistra Pd e dai tanti delusi trovasse temi sui quali convergere e costruisse con gli elettori piattaforme di azione nel paese ed in parlamento.
Se non sapremo cogliere questa occasione il futuro sarà un altro: un ritorno al bipolarismo forzato e in parallelo un astensionismo massiccio.
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